4 novembre 2014

Discalculica.

Discalculica. Sì, perchè mi rendo conto di non contare più, di non sapere più contare. Almeno non nel senso comune del termine. 
Scrivo adocchiando un foglio e il 12 ottobre, che pare alla mia testa così lontano, scopro, in realtà è meno di un mese fa. 
E quanto possono essere difficili da contare 60 giorni? Un pugnetto di date e numeretti che si scombinano nella memoria per dare origine a qualcosa che non riesco a leggere neppure se mi metto a testa in giù. Seduta sul pavimento, le chiappe al freddo e la schiena appoggiata al calorifero.

Quante cose sono state omologate nelle nostre equivalenze? Quante prima di scoprire che un chilo son mille grammi e che a dire l'uno o l'altro si dice esattamente la stessa cosa? Quante equazioni e parentesi graffe a bordare i giorni che da miti si son fatti umidi e poi freddi? Quanti problemi da risolvere senza calcolatrice, che i calli alle dita fan troppo male per poter schiacciare tasti? Quanti scontrini senza resto, quello dallo alla vita, che altrimenti qualcosa in cambio lo chiede a me in persona, ed ora io son troppo ricca di una cosa sola, che non la voglio dare a nessuno. Che è mia, mia soltanto. Mia. 

E le percentuali? Quelle mi osservano sempre, da lontano. Chiedono le fette che io non ho mai saputo fare con precisione, perchè mi son sempre affidata al cuore per dare la giusta dimensione alle cose. Che "affetto" non è verbo ma nome, e nemmeno astratto, ultimamente. E nel palmo della mano riconosco i contorni di un cuore che batte ancora; roba poco scontata, tornando ai numeri.

E quindi discalculica, sì. Perchè non conto più, non nel senso canonico del termine. Con le monete non l'ho proprio mai saputo fare, e ora anche con i giorni. Non voglio più contare, non ne sono capace.
Voglio invece contare per qualcuno, qualcosa che non siano numeri, che non siano tabelle, che non siano ore e giorni e stagioni. Che se non ci sono più le mezze, di stagioni, allora inventiamoci le doppie, le triple, o le frazioni più piccine. 
Che ad attaccare etichette ai quadri, se ne preoccupano solo i commercianti o i compratori, ed io non ho nè esperienza nè soldi a sufficienza per essere uno di loro.

Io sono un'esperta di altro.
So tutto di quello che chiudi gli occhi la sera, e alla mattina li riapri stanca, consapevole di aver viaggiato tutta la notte.
Io sono un'esperta del sogno bambino.
Io sono un'esperta del sogno, bambino.

"Autumn elegy", L. Afremov

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