Sì, ci si racconta altro per abitudine, ma siamo soli.
Nei pensieri, nelle paure, alla mattina con le cuffie nelle orecchie, alla sera con le cuffie nelle orecchie, l'ombrello sulla testa e la pioggia che picchietta e cade ma non la senti per la musica e gli altri passanti non usano l'ombrello e tu ti dici: "Ma piove davvero? Piove davvero o lo penso solo io che mi sento una merda che avanza fiera e dritta alla sua meta?".
Siamo soli, dicevo.
E un'idea che fa capolino, cambiare vita, cambiare opinioni su qualcosa e poi dirsi "cazzo, non fa ridere, non dovevi prendermi alla lettera". E persone; persone che parlano con voci non loro, voci del passato che hanno uguali sfumature, uguale insensatezza, uguale blaterio, blateramento, blaterazione, blateratura, come si dirà? E le stesse frasi.
Volersi trasformare in una statua; una statua avrebbe ben ragione di non proferire parola alcuna, avrebbe una scusa, un motivo, e manco lo dovrebbe dire. Un bel blocco di marmo scolpito, cagato da piccioni e tortore e lavato dalla pioggia, osservato dai passanti e di sostegno a barboni e bambini.
Non dover pensare alle conseguenze, a stare nei tempi, a non urtare nessuno, alle cose importanti, a stilare liste, a stilare liste di liste, a levare la polvere nell'angolo, al vestire tiglio o rosa, al fare la doccia rapida così poi i capelli si asciugano in tempo, mangiando in linea perfetta per digerire e non star male come un cane.
Esser soli per propria natura, tipo.
Soli, che tanto nessuno capisce. Nessuno.
E domandarsi cose senza senso, per concludere pensieri pesanti.
Qualcosa del tipo: ma come si sentono le stelle?