Se mi chiedessero cosa sia per me la morte, risponderei qualcosa di simile all'impossibilità di comunicazione, sia essa di qualsiasi tipo.
Quindi è chiaro che prima di tutto sia venuto il silenzio, a spaventarmi.
Il silenzio, ho imparato, relega in un cantuccio impermeabile, genera la creazione di habitat nei quali le orecchie ricevono stimoli ovattati, sia dall'esterno che dall'interno.
Si resta lì, nel tempo, convincendosi erroneamente di appartenere ad uno status quasi privilegiato, poichè apparentemente protetto. Nulla cambia, nulla increspa la superficie dell'acqua e la tempesta è lontana dal proprio orizzonte. Peccato ci si accorga troppo tardi che il livello della stessa acqua nella vasca - che non è decisamente un mare - salga lentamente sino a lambire il proprio mento, e che l'annegamento sia vicino, pericolosamente vicino.
Dopo il silenzio è arrivato il vuoto.
Quella è stata la sensazione, dopo tanta fatica, di aggrapparsi con forza al niente. Come l'erigere con sacrificio un'impalcatura di zucchero filato esposta alla pioggia, destinata a dissolversi in pochi istanti lasciando una pozzanghera dolceamara.
Ed è parso come se l'aver rotto quel silenzio fosse stato inutile, giusto un giochetto che, si sapeva, era bello poichè durava poco.
Infine c'è stata la consapevolezza, unita ad un po' di rabbia.
Insomma: ho paura.
Sogno una quotidianità in cui non si proceda con il paraocchi e lo sguardo puntato ai numeri. Un presente in cui esista del tempo da dedicare al guardarsi in faccia e trovare il modo di condividere i desideri di tutti, senza paura delle conseguenze.
Sogno anche un mondo nel quale la morte non sia una vignetta di satira da sbattere sul primo quotidiano a tiratura internazionale, un mondo dove la gente che fino al giorno prima ha augurato l'annegamento di uomini sui barconi non finga di scandalizzarsi inutilmente.
Sogno una realtà in cui non sentirmi inutile, una voce sola in un oceano di silenzio tranquillo; vorrei trovare le forze e le modalità per realizzare tutti i progetti che mi passano per la mente, almeno quelli che ritengo buoni.
Vorrei che si ritornasse ad avere un po' più di rispetto, quello che una volta ci insegnavano a casa e a scuola e che risultava più importante della connessione WiFi e delle spunte blu sull'applicazione.
Il rispetto per le persone, per il lavoro, per la libertà; perchè ciò che abbiamo o non abbiamo più è sempre il risultato dello sbattimento di qualcuno che ha creduto in ciò che stava facendo, ecco. Qualcuno che ha affrontato il silenzio e il vuoto.
E ha vinto.
A dispetto di tutto e tutti, sì.
Ce l'ha fatta.