A volte anche nella vita dei bambini succedono cose sbagliate, improvvise, destabilizzanti. Cose che, ad esempio, riguardano la morte di qualcuno di importante. Per questo, all'ingresso, la mamma mi prepara ad un bambino che sarà - a detta sua - esplosivo. È il modo in cui metabolizza le cose da sempre, dopotutto.
Lui entra in stanza e si siede. Prende il quaderno e noto per la prima volta queste mani dalle dita così lunghe che sembrano rami in inverno. Dita così incapaci di fare che neppure quelle leggerissime pagine riescono a girare. "Non ci riesco", dice. Lo aiuto.
Mi chiede poi di stampare una storiella e, mentre la commentiamo, lancia una biro alle sue spalle guardandomi, provocatorio. Dopo un po' gli chiedo se può raccogliermela, perché ho bisogno di scrivere. "Ma certo", risponde.
La prende, mi guarda, e la scaglia con una forza incredibile contro il vetro alle mie spalle. Mi passa a pochi centimetri dalla faccia e mi sembra che mi lasci un solco, ma dentro.
Non reagisco in nessun modo. Lui mi circumnaviga, la raccoglie di nuovo e me la porge gentilmente.
Sceglie infine di giocare con i mezzi di trasporto. Di solito succedono disastri e incidenti incredibili. Oggi, invece, la betoniera è il capo dei lavori e tutti i veicoli lavorano insieme, uniti.
Lo guardo ancora, e in un battito di ciglia mi chiedo come sia possibile spiegare ad un bambino che la vita è fatta così, come quelle sue dita a forma di rami in inverno. Talvolta gentili e armoniose, talvolta crudeli e violente, talvolta ancora incapaci e frustranti.
"Andiamo dalla mamma adesso?", mi domanda poi.
Ed è a questa richiesta così semplice e naturale che concludo che quella che non sa spiegarsi la vita sono io, dopotutto. Quella che ancora cerca un equilibrio in ciò che mai l'avrà. Quella che si stupisce dei boati che il silenzio produce.
Io, con le mani aperte, dal palmo a cuore.