Aveva odiato
quella bambola sin dal primo istante in cui ne aveva avvertito la presenza,
quattro giorni prima. Anche senza averla vista, infatti, Ambra aveva aggrottato
la fronte alla vista di quella borsa che la zia le aveva portato durante la sua
festa di compleanno.
“C’è un regalo per te!” le aveva detto
con quel solito sorriso gentile al quale era estremamente difficile dire
cattiverie. Così aveva accettato il dono e si era sporta per sbirciare dentro
la borsa. Ciò che aveva visto andava oltre la sua immaginazione: era qualcosa
di veramente spaventoso.
La bambola
era stata fabbricata a mano, unendo pezzi di stoffa di recupero. Il volto,
incredibilmente asimmetrico, era il risultato della cucitura forzata di almeno
cinque parti differenti, con relative tinture improbabili. Proprio a livello
del naso, inoltre, una cicatrice a punti rendeva arcigna l’espressione del
fantoccio, e a nulla era valso quello sghiribizzo rossiccio che doveva fungere
da bocca.
Per il
vestito era stato scelto un colore che, nella sua mente di bambina, Ambra aveva
identificato come “grigio dei temporali”, il che non aiutava certo a renderle
simpatico quel pupazzetto.
Ma il
dettaglio che più la impressionava, quello che le faceva avere degli incubi
tremendi, erano i suoi artigli; non pensava di poterli chiamare altrimenti,
quei bastoncini legnosi che proiettavano ombre lunghissime verso di lei al
momento di addormentarsi.
Se la
bambola – a cui non aveva chiaramente
dato un nome – non era ancora stata dirottata verso la soffitta e sepolta per
sempre sotto la polvere, era soltanto perché la mamma l’aveva guardata
malissimo quando aveva accennato all’eventualità. La zia era stata gentile a
portarle un regalo dall’Africa, e lei non lo avrebbe certo fatto scomparire
così, per capriccio; come aveva apprezzato quel nuovo, tenero orsacchiotto
donatole dalla nonna, si sarebbe abituata anche a lei, col tempo. Pensandoci, ad Ambra questa cosa sembrava
giusta; solo che quella bambola, proprio quella,
le faceva una paura tremenda.
Per tre
giorni l’aveva tenuta a fianco del letto, senza poter dormire sonni tranquilli.
Poteva sopportare di averla accanto di giorno, quando la luce del sole la
faceva sembrare quasi innocua, ma non certo dopo il tramonto; era arrivato
quindi il momento di mostrarle la sua nuova casetta notturna: il cassettone dei
giochi.
Quella sera
Ambra richiuse soddisfatta il coperchio e fissò il gancio, assicurandosi che
non si potesse aprire in nessuna maniera. Si addormentò di sasso.
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Finalmente!, pensò il pupazzo in un moto
di soddisfazione. Era stata dura liberarsi, e gli ci era voluto tanto tempo, ma
ora aveva campo libero! L’unico ostacolo che si frapponeva fra lui e la bambina
era stato aggirato.
Ripensò a
quegli occhioni a bottone, a quella faccia sfigurata e a quello straccetto
sporco che la vestiva. Si era erta a difesa della marmocchia lottando
strenuamente contro di lui, negli ultimi giorni.
Ma ora non
avrebbe potuto fare nulla: relegata nel cassettone! Che smacco!
Era giunto
il momento di agire: spiccò un balzo giù dalla mensola e trascinò le zampe per
farsi sentire dalla bambola che – sconfitta – emise un mugugno soffocato
dall’interno della sua prigione.
Tippy l’orsetto
esultò definitivamente, mentre si preparava a spiccare un salto sul letto di
Ambra.
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