4 agosto 2013

Scadenza

In quella foto, risalente alle elementari, Nan aveva le sopracciglia folte e lo sguardo da bimba imbronciata.
Pensava fosse proprio quest’ultimo che lo aveva fatto innamorare, insieme alle lentiggini.

Erano passati quindici anni da allora, e lei aveva fatto tanta strada.
Si era laureata (in qualcosa che lui non aveva ben compreso), si era sposata con uno dei ragazzi dell’oratorio con cui era cresciuta, si era trasferita (fortunatamente per soli tre mesi) negli Stati Uniti dopo la cerimonia e aveva coltivato le sue passioni più grandi: corsa, fotografia e arrampicate.

Sembrava felice. Il giorno del matrimonio l’aveva spiata dal bar posto in fronte al sagrato della chiesa. Era una dea, non una donna di venticinque anni. Era una dea che qualcuno aveva posato lì sul cemento, per far capire a tutti che il paradiso esisteva. Non era tanto il vestito vaporoso – tulle bianco ovunque –, né le spalle e le braccia abbronzate che avrebbero fatto invidia a qualsiasi essere umano. Non erano i lunghi capelli scuri acconciati nella crocchia, non il collo che disegnava una linea morbida verso il seno. Era il suo sguardo: suggeriva carattere, forza, fortuna. Chiunque ne sarebbe rimasto estasiato.
Con un bicchiere d’acqua fredda davanti a sé, al tavolino del bar, lui si era innamorato di Nan una seconda volta.

Circa sei mesi dopo era arrivato l’invito per la cena di classe, stampato su carta bianca dove era stata aggiunta alla bell’e meglio quella vecchia foto. Intuiva da chi potesse essere sorta l’idea; la solita rompiballe ficcanaso – lo era stata sin dall’asilo – che conosceva gli affari di tutto il paese. “Sarà come tornare ai vecchi tempi”, diceva l’invito. “Un modo come un altro per aggiornarci. Nessuno ha il diritto di mancare!”.
Lui ci aveva pensato molto, ma alla fine aveva deciso di presentarsi alla serata.

L’ultima volta che aveva avuto a che fare con Nan era stato dopo il matrimonio. Le aveva lasciato un biglietto firmato, appoggiato al tavolo degli sposi durante il pranzo (al quale non era stato invitato, chiaramente). L’aveva osservata  mentre lo leggeva, per poi guardarsi attorno smarrita con quel solito sguardo imbronciato. Le aveva scritto, semplicemente: “Io sarò sempre qua, lo sai”.
Aveva rispettato la promessa per tutti quei mesi, tranne durante il soggiorno in America. Erano stati giorni difficili: aveva potuto mantenere i contatti solo attraverso i social network e le fotografie da lei postate, tramite amicizie in comune. Ma alla fine Nan era tornata, più bella che mai.

Si era arreso da tempo. Nan non lo avrebbe mai amato.
Del resto, quello che lui poteva offrirle era soltanto terra. Campi coltivati, cascine, animali da allevamento. Era ben lontano dal possedere lo charme o le conoscenze del marito che lei si era scelta. Lui era per la pratica, non per la teoria. Il suo lavoro lo sapeva fare bene, gestiva le attività in maniera oculata, ma sempre di agricoltura e letame si trattava. L’odore di merda – come soleva dire il nonno tanto tempo prima – non lo poteva togliere nemmeno il più potente profumo di lillà. Attecchiva, si spargeva subdolo, per poi pungere le narici alla prima occasione.
Non era fatto per stare con Nan. Questo non escludeva il fatto che lui comunque l’amasse.
L’avrebbe amata per sempre.
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La sera della cena di classe il tempo era mite.
Lui, jeans neri e camicia a quadri con le maniche arrotolate, si appoggiò ad un muretto a lato del parcheggio. Aveva già visto entrare alcuni ex compagni, ma aveva cercato di non dare nell’occhio. Stava aspettando Nan; se avesse avuto un colpo di fortuna, sarebbe riuscito ad intercettarla prima dell’ingresso nel locale e avrebbe scambiato qualche parola con lei.
Proprio in quell’istante vide la sua auto. Il grigio metallizzato si rifletté nei suoi occhi gelidi, provocandogli una palpitazione rapida che cercò di soffocare deglutendo a vuoto.
Si avvicinò piano al veicolo, dando a Nan il tempo di accorgersi della sua presenza.
Lei uscì con lo sguardo puntato verso il suo. Indossava un abito lungo e nero, con maniche a tre quarti e la linea semplice, volta a sottolineare il corpo snello ed atletico.
Appoggiò la mano sulla portiera, e lui si mise a fissare la fede sull’anulare.

-          Sei venuto… - commentò lei.
-          Ho sbagliato? -.
-          Puoi fare ciò che vuoi. Solo mi pare strano -. Vide in lei una finta freddezza che non aveva mai notato, come se patisse un male ovattato e profondo.
-          Perché strano? Ti ho detto che ci sarei sempre stato -.
-          Appunto. Non è andata così, mi sembra -.
Lui sorrise appena, ma continuò a guardare Nan con uno strano disagio addosso.
-          Sono sempre stato con te. Sempre -.
-          No. Mi hai lasciata sola, anche quando pensavo che avresti fatto qualcosa per riprendermi. Mi hai lasciata andare. Al matrimonio.. -.
-          Non mi hai invitato! – la interruppe.
-          Scuse. Dovevi venire e portarmi via da lì. Non l’hai fatto -.
-          Avrei rovinato il tuo… -.
-          Scuse, scuse, scuse! Non hai fatto niente. Non sono abbastanza importante. Non ne vale la pena. Va bene così -.
-          Dimmi cosa devo fare -. Allargò le braccia.
-          Adesso? Nulla. Hai avuto un paio di occasioni per fare. Avevi una data… -.
-          Una data? – le chiese lui non capendo. Lei annuì.
-          Una data di scadenza - gli disse, dirigendosi verso il ristorante. Poi si voltò ancora verso di lui, il solito sguardo imbronciato rivolto ad un punto impreciso fra lei e l’infinito.
-          Sei scaduto – aggiunse.


E se ne andò.

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