21 novembre 2018

Colpo di coda.

No, niente.
Questo post fa parte del mio "FARE". Che uno si domanda: fare cosa? Cosa fa? Beh. Fa tante cose.

1. Fa freddo.
2. Fa niente, a me il freddo garba proprio.
3. Fa male, quando qualcuno torna e mette nell'orecchio parole dimenticate.
4. Fa incazzare, quando - porcaccialamiseria - devi finire di lavorare prima e finisci comunque dopo e pure male. Oh.
5. Fa schifo la barbabietola. Sa di erba zuccherata al sentore di acqua di bollitura del cavolfiore. Però ha un colore interessante, mi ci farò la tinta.
6. Fa strano sentire la propria voce cantare in modo potente. #nellavitamai
7. Fa piacere tornare in una casa calduccia col temporale fuori e ticchettacchettà sui lucernari.
8. Fa 4. Due più due fa quattro.
9. Fa 30. 2018 meno 1988 fa trenta. Cioè ciao.
10. Fa sospirare, tutto questo. Sospiro e penso che non ce la farò mai, dopotutto. Sono sempre la ragazzina con le gambe storte che cerca il posto esterno della fila, per escludersi un po' già da sola. Per defilarsi senza far scomodare nessuno. Per dare un'occhio al gruppo, alla massa, avere tutto sotto controllo. Per mantenere un profilo basso. Per essere notata solo dal ragazzino strambo che osserva una mosca volare e la vede posarsi sul mio banco, vicino alla mia mano. Vedrà che le mie dita tamburellano, infastidite dal tempo. Vedrà il polso attaccato alla mano, la felpa ripiegata a livello del gomito. I miei capelli un po' viola che si allungano sulle spalle. Probabilmente mi vedrà commossa per quel pensiero che improvvisamente mi passa per la mente, come una nuvola che, per prima, oscura il cielo di ottobre e non ne conosce il motivo. Mi guarderà e penserà che sono bella, nel mio modo strano e invisibile, e giusto, e prezioso. Forse un giorno troverà anche il coraggio di dirmelo. Sí, lo troverà.


11. Fa strano; farà strano, sì. Io a quel "Sei bella" non crederò davvero mai.

17 novembre 2018

FARE.

Ma, allora. Questo sarà un post di cose random dette in una sorta di flusso di coscienza. Sarà tuttavia un flusso di coscienza ordinato, che detta così suona da potente rincoglionimento, cosa che non proverò a smentire.

Innanzitutto questo è il periodo della frustrazione. Mi frustro se vedo che uno spazio libero lavorativo é stato riempito da qualcuno senza avvisarmi. Se la serata-divano subisce repentine modifiche diventando una serata-ho un impegno. Se il bambino che ho davanti continua a dire 'tole' nonostante dica una S meravigliosa in produzione isolata. Se voglio fare una buona azione e questa mi viene cassata. Se mi voglio impegnare nel credere davvero che la mia insalatina sia gustosa e soddisfacente e qualcuno dal salotto mi sussurra "se aspetti venti minuti son pronte le lasagne!".

Ovviamente la frustrazione si tramuta in un impellente bisogno di dare testate al forno. Al muro. A mia madre. Al tavolo.
Le testate cerco di non darle, quantomeno per il benessere di mia madre, se non per il mio. Allora mi butto su altro (sì, sta per arrivare un elenco con molte parentesi):

- lo shopping su Wish (le cose fanno cagare e arriveranno - forse - tra un mese, quindi: perchè?)
- il cibo (sono a dieta, stramegacazzo)
- un immotivatissimo hype per Natale (mi sento già in merda coi regali)
- la scrittura (che esce poco e male, quindi il tutto crea un circolo vizioso allucinante)
- il nervoso (che sento nello stomaco, nel collo, nelle spalle. Ah! Nel sonno - che come la scrittura risulta poco e mal..va beh, avete capito -)
- corsi online, lettura di appunti, studio a caso (rilassantissimo)
- lotte contro mulini a vento (per me o per chi mi sta intorno, ma che sono perse in partenza, potenzialmente fatali, ingarbugliate, insensate. Che rock, cazzo).

Una cosa è certa: devo fare. FARE. Qualsiasi cosa. Fare.
Se mi fermo esplodo. Se mi fermo collasso.
E io - no, no e no - non me lo posso permettere.

Ciao.

13 novembre 2018

Camere oscure.

Attendo sempre la sera per ritrovare momenti in cui "silenzio" vuole davvero dire assenza di rumore. Solo prima di dormire, infatti, esistono attimi in cui, tentando di acchiappare un pensiero nella mia testa, proprio non ci riesco. Lì, so, anche il desiderio più complesso e irrealizzabile diventa possibile. Non servono parole per etichettarlo o per spiegarlo, solo lampi di luce per partorirlo e osservarlo.
Quello che mi resta addosso, lì nell'ombra, é una bruma di irrealtà. Una coperta per la notte, uno scudo tiepido sotto il quale ripararmi in attesa del giorno successivo.

Vorrei saper estendere quei momenti a mio piacimento. Ritrovarli la sera, sul marciapiede, gli auricolari nelle orecchie e il mondo fuori ovattato. Ridefinirli mentre sorseggio il caffè macchiato, un solo pallino di zucchero, al mattino. Farli rimbalzare nella testa al posto delle paure, delle preoccupazioni, delle ansie, degli obiettivi metodicamente stesi a mò di elenco della spesa proprio lì, dietro le rughe di espressione sulla fronte. Se solo sapessi quale bottone premere, quale percorso imboccare per manipolarli, quale formula magica pronunciare tra i denti.

Forse la chiave di tutto sta nella notte. Al buio i minuti si dilatano e diventano controllabili, quasi flessibili. Una fisarmonica il cui mantice è regolato dal flusso dei respiri.
Mi servirebbe una camera oscura portatile. Un luogo protetto dove anzichè appendere fotografie in fase di sviluppo, io possa appendere pensieri; quelli non ancora adatti per essere formulati alla luce del sole, non adatti - addirittura - per essere pensati.

E allora sì che riuscirei a far pace con me stessa. Riuscirei a darmi tregua, a trovare soluzioni, a non consumarmi sotto il peso dei problemi del mondo di cui mi faccio carico sempre.
Riuscirei addirittura a trovare altro tempo, a moltiplicarlo nelle mie mani.

Riuscirei ad essere serena.
A lasciarmi andare, forse.

A lasciare andare tutto il resto.