31 agosto 2021

Facce.

Sì, è vero. Ho smesso già di essere costante. Perché? Beh perché ho ripreso a lavorare. Passerà questa settimana come passa la vita. Attendendo.

Ho lanciato i dadi ed è uscito questo:

Mettendo insieme il tutto si può dire così: la piccola pulcina saltellò con le zampette giù per la scala, salì sul suo mezzo a motore e sospirò pensando che soltanto una gigantesca mongolfiera avrebbe potuto allontanarla a sufficienza da quella lunghissima giornata di merda.

Si capisce?

28 agosto 2021

And it burns, burns, burns

Non mi ricordo più chi sono, stamattina. 
In generale, non mi ricordo più chi sono.
È che uno passa il tempo ad allentare i buchi della cintura, sì, e poi si trova coi calzoni alle caviglie.

Uno passa tanto tempo a difendersi dalle batoste, che quando incontra un cuneo che fa leva su un solco già esistente sente bruciare anche l'anima.


23 agosto 2021

Rappresentazioni.

Mi sono imbattuta per caso in un portale che traduce, partendo da un termine chiave, parole e frasi in lingua dei segni (italiana e non solo).

Anni fa per via del mio lavoro ho seguito un corso che mi ha dato un'infarinatura generale della lingua, e già allora ero rimasta affascinata dall'utilizzo che viene fatto delle immagini e di quanto esse vengano riportate nei segni (non gesti, segni è il loro nome).

Indipendentemente dall'uso del corpo o delle mani, il mio modo di comunicare è ricco di immagini. Sarà che ho a che fare con bimbi con problematiche di linguaggio, ma l'atteggiamento si è esteso al mio comportamento comunicativo in generale. Ho anche amiche che mi prendono in giro per come, a mio modo e assolutamente senza attingere alla LIS poiché non sono segnante, i concetti prendano vita attraverso i movimenti.

Ad ogni modo, tutto questo era per dire che sono rimasta affascinata dal modo in cui si traduce in lingua dei segni italiana "ti amo".




Qualcosa che mi si presenta come: "Vedi? Questo è il mio cuore, nel mio petto. Ora appartiene a te, tieni".

Niente, va bene. Sono qui che piango come una rincoglionita. Ciao.

21 agosto 2021

Elenco di quindici #11

1. Sono sempre quella che si veste di buoni propositi e poi non conclude un cazzo. Vi starete chiedendo come si presenta un outfit di buoni propositi: beh è scintillante e apparentemente comodo, con sbuffi di tessuto qua e là.
2. Sono sempre quella che cerca ciò che non dovrebbe nei posti in cui meno dovrebbe, tipo una scatola di biscotti nel frigorifero.
3. Non è vero che non mi manca. Vaffanculo, mi manca ogni singolo secondo di ogni singolo giorno.
4. Riesco a stare al passo coi miei obiettivi quando sono da sola, altrimenti mi adatto alla nullafacenza altrui.
5. Non riesco a non tentare di boicottare le cose belle che mi devono capitare nella vita.
6. Mi mangerei qualsiasi cosa.
7. Resterei senza mangiare per tre giorni.
8. Ripenso ai lucernari, alle mattonelle bianche, alle travi a vista, al rumore del pub sotto casa, al mio letto vuoto, alle porte bianche, a tutto il tempo per me.
9. Non voglio ricominciare a lavorare, succederà fra più di una settimana e già io mi rovino giorni e umore al pensiero della ripresa.
10. Sono stufa di incitare gli altri, non ho nemmeno forza per credere in me, figuriamoci nelle battaglie degli altri.
11. Essere presa. Questo è ciò di cui ho bisogno.
12. E cantare. C'è qualcuno che abbia voglia di strimpellare qualcosa in sottofondo mentre io canto, in una saletta dove il mondo non possa sentire nulla di tutto ciò?
13. Adesso ho bisogno di autunno. Settembre mi fa sempre paura, perché so che adoro fare cazzate nel nono mese dell'anno, ma non fa niente. Andrebbero bene anche le cazzate, a questo punto.
14. Devo continuare a scrivere, ma già oggi sento di aver quasi mancato l'obiettivo. Capita per caso a 20:33 che io pigi questi tasti. Non va bene.
15. Mi manca anche la terapia. Ogni tanto mi chiedo se avrà mai fine. Probabilmente sì e quando succederà mi sentirò male. Fa ridere.



20 agosto 2021

Chiamatemi Giovanna d'Arco.

Oggi mi sento un po' più frastornata del solito. La colpa è di tutti questi sogni che popolano le mie notti, sogni che non posso definire certo riposanti.

Due notti fa stavo cercando di estrarre qualcosa dalla bocca di chi qui non ha ancora etichetta. Nulla di incomprensibile, dopotutto: è la mia proiezione di ciò che vorrei accadesse. Un po' meno silenzio e più condivisione. Ma so che non è il momento, perché siamo entrambi in vacanza. Almeno credo. Ad ogni modo stavo estraendo qualcosa di grande e sporco, che aveva le sembianze di una foglia di sottobosco umida e incrostata di terriccio. Ci sono argomenti, ultimamente, di cui so gli costerebbe parlare. Ma me ne ha accennato, mi ha accennato di come lo fanno stare, e questo è qualcosa di nuovo, a tutti gli effetti. 

Stanotte invece ho sognato che un amico perdeva un pollice. Era una situazione strana per cui ci arrampicavamo su delle rocce per sfuggire da una trappola, o qualcosa del genere. È la classica eventualità che nel plot di un film d'azione farebbe pensare allo spettatore "ma non ne avevano già passate abbastanza questi? Pure il dito mozzato?". Tranquillizzavo sua moglie in lacrime e continuavo ad arrampicarmi.

E ora mi sento frastornata. La faccio, la colazione, non preoccupatevi (ma con chi parlo, di nuovo? Chiamatemi Giovanna d'Arco).



19 agosto 2021

Alternative.

Così sono arrivata al giovedì della seconda settimana di stop. È strano perché io non ho mai fatto tante ferie tutte assieme, ma più passano gli anni e più mi accorgo che meno faccio, meno farei. Che poi non è proprio vero, ma tendenzialmente sì. 

In questo momento sono in cucina e ho fatto colazione (il che è un passo avanti indiscutibile) e sono impegnata ad osservare un essere vivente con troppe zampe e antenne attaccato alla parete di fronte a me. È posizionato eccessivamente in alto perché io possa occuparmene senza il rischio che mi cada addosso provocandomi un attacco isterico, ma per quanto posso saperne, per me è uscito direttamente dal paleozoico.

Mi fa tornare alla mente il mio vecchio monolocale, quel posto orrendamente arancione che mi presentava ragni e insetti di ogni tipo (quelli che di solito spuntavano dal mio letto incassato nel mobile), persino di plastica (proverò a cercare il link del post e lo incollerò QUI). Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora. 

Comunque: probabilmente dovrò cancellare la prenotazione in montagna della settimana prossima. Danno un tempo terribile tutti i santissimi giorni e con appresso un cane lupo cecoslovacco non è il caso di rischiare di ritrovarsi con un pulcino gigante bagnato e perdipelo tutto il tempo. Troveremo delle alternative. Le troveremo.

Le troveremo, no?

18 agosto 2021

Non sono un cazzo (montagna).

Ci sono semplicemente momenti in cui è necessario essere poco clementi con sé, come ho scritto anche altrove. Darsi uno o due schiaffoni in piena faccia per poter assorbire la vibrazione e il dolore dell'impatto. Portare il proprio fisico al limite per assaporare tutte le conseguenze nei giorni successivi.

Sono riflessioni che spesso dopo una giornata in montagna mi riservo di fare. Sempre, ogni volta, con la certezza di essere una di quelle persone che guardano le rocce sotto ai propri piedi, invece del panorama, se non in discesa. Guardo ogni passo che faccio, lo avverto dentro di me, inspirando ogni dolore nell'esterno coscia, nelle vesciche sui piedi, nelle labbra scottate e nell'arsura in bocca. Come se fosse una terapia.

Rifugio Tita Secchi


Lago della Vacca

La montagna, o meglio ciò che rappresenta, per me, è qualcosa che mi urla che io non sono un cazzo. Non lo siamo, nessuno escluso. 



Non siamo eterni. Non siamo belli o intelligenti o simpatici. Siamo organismi mortali, pieni di difetti e pronti a cedere e fallire e abbandonare il percorso.
Quindi bisogna camminare. 
Farsi il culo. 
Andare avanti. 
Respirare.

Respirare.





16 agosto 2021

Chi sei?

Dico tu, tu che stai leggendo: chi sei? Cosa ti porta qui? Vorrei osservarti bere un caffè, se è tua abitudine farlo.

Ad ogni modo, domani sarà una giornata lunga e faticosa, e io non voglio - almeno per ora - perdere continuità in questo mio parlare a me stessa in questo spazio protetto da occhi indiscreti. Beh, non da tutti gli occhi, ma tanto mi basta.
Perciò sono qui, intorno a mezzanotte, e ho sempre addosso quelle 4 ore scarse di sonno perché la scorsa notte alle 2:00 ero qui a pigiare tastini piangendomi addosso.

Il lago della Vacca. Sarà quella la mia meta domani. Sono fuori forma e fuori allenamento, e oggi c'è stato un discreto rovescio che mi fa prevedere fango a non finire. Non importa.

"No". Quanto può tagliare la faccia, un "no" detto al momento giusto? Peggio di una lattina passata sul bordo del labbro, ad aprirsi un sorriso in più.
"No".
D'accordo. "No" è "no". Vorrei solo vedere anche quello al di sopra di una tazzina di caffè. Serio. Austero. Inflessibile. Un "no" fatto bene.

Sono pensieri sconnessi, me ne rendo conto. Forse sono finalmente riuscita a fare quell'esercizio. Non so se è bene o male. Ma ora ho sonno.
Buonanotte, sì.



Dovrebbe.

Dovrebbe esserci qualcosa che renda queste due di notte sensate. Qualcosa che mi faccia capire il motivo per cui si può scegliere di non salire una manciata di scale per prendersi ciò che si vorrebbe. Ciò che sarebbe da prendere. 

Dovrebbe esserci qualcosa che distolga il mio pensiero da questo stomaco in subbuglio, quello che mi ricorda la bellezza che sento mi appartenga quando ho a che fare con te, persino quando discutiamo. Persino quando non ci capiamo. Persino quando le trame degli spazi non si lasciano allargare e io devo stare qui, ad aspettare in religioso silenzio.

Dovrebbe, cazzo, dovrebbe esistere un modo per farti arrivare all'orecchio la forza con cui pronuncio il tuo nome, la disperazione racchiusa dentro questo silenzio urlato, questo singulto così ordinato e composto che ricalca i contorni delle regole che ci siamo dati per poter esistere.

Dovrebbe esserci anche un modo per toccarti più di quanto non sappiano fare il pensiero, la parola, il sogno, l'intenzione. Un modo perchè tu possa mordere la punta delle mie dita protese ("scricchiolo, scricchiolo le costole dannatamente, scricchiolo") davanti al tuo naso. Morderle piano, a scatti, a sangue, fino a lasciare le impronte sui polpastrelli.

Dovrebbero esserci parti di te a trattenermi dal mio scomposto abbandonarmi senza lasciarmi andare mai, a slacciare nodi che questa nausea mi impone di rafforzare perché non esca tutto il malessere che avverto. Un picco incandescente che mi acceca, acido.

Dovresti essere qui a prenderti ciò che ti spetta di diritto, qualcosa che ha ironicamente il volto di tutte le conseguenze che questa rabbia mi fa montare dentro. 

Invece mi ritrovo come sempre a combattere con i miei demoni da sola e ad attendere il momento che in fondo preferisco. 

Quello in cui i demoni vincono.

15 agosto 2021

Ferragosto.

Ieri sono stati qui Fratellopaziente e ragazza. E non so se siano strascichi della mia emicrania con aura, del caldo che ieri mi ha fatto particolarmente soffrire, della conseguente aria condizionata accesa, della birra che ho bevuto (ma da quando? Mi ha sempre fatto schifo) o del bicchiere di Porto finale, ma stamattina il mal di testa non mi dà tregua.

Non ero più abituata a qualcuno che fumasse e oggi la casa al risveglio mi sembrava un covo di latitanti costretti alla segregazione, motivo per cui ho spalancato tutte le finestre ricercando un filo d'aria che, beh: non c'è. Il 15 agosto sarebbe anche strano trovarlo, d'altronde.

"Pensavo a te". Così ha scritto verso l'ora di pranzo quello che ancora qui un'etichetta non ce l'ha ma che dovrebbe averla, nonostante la mia ritrosia. Quello che si comporta come la zanzara tigre che abita la mia cucina stamattina: la sento ronzare intorno alle orecchie, appoggiarmisi addosso, provare a pungere, eppure se provo a schiacciarla è molto più lesta e furba di me. Dannato mal di testa.

Effe dorme. Io scrivo e mi illudo di riuscire a prendere il master in mano e fare qualcosa di produttivo. Mi faccio ridere da sola, sì.

La verità è che sono io la cattiva ragazza. Da sempre, tipo.



14 agosto 2021

Terzo giorno

Stanotte ho fatto uno di quei miei sogni ansiogeni.

Mi trovavo in una casa nuova che mi apparteneva per chissà quale ragione dettata dal caso: non l'avevo scelta, né arredata, né acquistata. Eppure era mia. Era nostra, a dirla tutta. E, a dirla tutta tutta, in realtà era un'abitazione che non mi è nuova, perché ha popolato un sogno simile già fatto tempo fa.

Nella scena iniziale mi trovavo in cucina, sul lavello, e provavo ad aprire il rubinetto. Al posto dell'acqua scendeva una schiuma che mi consentiva di pulire il lavandino con facilità, cosa che mi faceva quasi pensare: "Beh, niente male questo optional".

Peccato che poi mi accorgessi che l'acqua non fuoriuscita dal rubinetto in realtà lo aveva fatto altrove, allagando il piano cottura e il portastoviglie (una sezione colorata di nero che ospitava teiera e un grazioso servizio da tè, sempre nero e lucido). Una volta andata in bagno - un enorme stanzone a mo' di docce della palestra, che mi faceva pensare "Beh, almeno il bagno è grande, non mi posso assolutamente lamentare" - mi accorgevo che anche qui al posto dell'acqua scendeva solo schiuma, e maledivo chiunque avesse fatto i collegamenti delle tubature, a mio pensare errati per colpa del mio coinquilino, ovvero il mio compagno, sempre lui.

[A questo proposito, dopo Uomodimerda e Naso, credo che occorra trovare un nomignolo anche per lui. Lo chiameremo Effe]

In casa mi raggiungeva anche mia madre, la quale non mi aiutava affatto, ma si limitava a predire le peggiori sfortune sventagliando le mani in aria per scongiurarle meglio, nella peggiore rappresentazione del gufaccio che è seriamente nella vita reale.

Una volta pulito e assorbito tutto quel macello alla bell'e meglio, come se non bastasse arrivava anche un gruppo di amici (non miei) che si dirigeva deciso al lavello per sciacquare della verdura, e prima che li potessi avvertire o bloccare, la casa ritornava piena di schiuma e allagata.

Ora. So già cosa mi direbbe chi di dovere, ma va bene così. Oggi mi limito a riportare tutto questo in preda di una delle mie emicranie con aura, di cui non soffrivo da parecchio e che non mi mancavano affatto.

Ciao.



13 agosto 2021

Learnings #17

Non so perché mi ostino a chiamarli "Learnings", visto che poi puntualmente non imparo un cazzo. Dovrei chiamarli "Consapevolezze"; con la consapevolezza, nonostante alti e bassi, ci vado a braccetto. Ad ogni modo:

- Le persone sanno mancare in modi diversi, e quelle che lo sanno fare meglio sono quelle che non hai mai davvero avuto;
- Vorrei disperatamente non fare niente per sempre;
- Devo darmi una regolata col cibo senza che questo sfoci in un ipercontrollo sulle mie funzioni primarie;
- Devo forzarmi a fare cose, qualsiasi cosa;
- Uscire con le amiche mi ha fatto tornare nelle narici il profumo di tutto ciò a cui ho rinunciato (o forse era il profumo del ristorante messicano a cui siamo andate e mi sto confondendo);
- Devo muovere il culo;
- Riformulare lo stesso concetto in mille modo diversi non mi aiuterà a mettere in pratica proprio un bel nulla (cuore verde per te, piccola Marti);
- Mi spaventa un po' la terapia sospesa per tre settimane. Fa niente, va bene;
- Devo scrivere l'ultima relazione che mi manca, preparare delle presentazioni Power Point, procedere con il master e dovrei fare colazione ma so che non la farò;
- Pianificare continuamente la prossima settimana nella mia mente mi fa stare meglio, eppure una vocina mi dice che è patologico;
- Sono ritornata al punto di partenza secondo cui l'estate fa schifo. Lo credo fermamente;
- Devo mettere mano all'armadio e buttare via un sacco di cose;
- Io voglio una stanza così:

La casa interamente così. E qualcuno che mi aiuti nelle pulizie.


12 agosto 2021

Pattume.

Portare fuori la raccolta differenziata è una di quelle cose semplici, sulla carta. Basta riempire i sacchi con i rifiuti giusti, farci un bel nodo col laccetto perché la puzza non fuoriesca, scendere le scale e attraversare la strada per lasciare l'immondizia al punto di raccolta. 

La verità è che portare fuori il pattume è un compito che si evita come la peste. Perché è faticoso. È noioso. Lasciamo che a farlo siano gli altri e, se mai si lamentassero, diremmo loro che - oh, mamma mia, che sarà mai! - non è poi un impegno così gravoso.

È un po' come quando uno si impegna a buttare via la merda che ha dentro, dopotutto. Tira fuori le schifezze una dopo l'altra, ci mette le etichette giuste, impara a conoscerle dalla puzza, dal peso, dalla consistenza scivolosa che lasciano sull'anima, come macchie oleose che non se ne vanno da quel paio di pantaloni. Poi infila il tutto nei sacchi, si sobbarca l'onere di trasportarli sul marciapiede opposto, la schiena curva sotto il peso dei fantasmi che soffocano la sua vita da anni.

E poi, così, lungo il tragitto sbuca fuori quel vicino che non vedeva da mesi, lui e le sue odiosissime infradito hawaiane. Lui, che lo guarda sudare e sorride, beffardo. E gli dice che non ne vale la pena, che l'esistenza può essere molto più facile di così, che basta gettare il pattume fuori dalla finestra, senza fare tanta fatica. Che la montagna di merda non crescerà mai a tal punto da raggiungere il balcone, no?

E d'improvviso quel qualcuno si rende conto che non sono il lavoro su se stesso, l'energia spesa copiosamente, la spossatezza, l'ansia di non riuscire, no: non è per quello che si sente un idiota. Si sente idiota perché è l'unico a comprendere il motivo per cui lo fa.

L'unico, sì, nonostante si senta profondamente uno di quei sacchi di pattume da abbandonare sul bordo della carreggiata, senza curarsene troppo.