20 gennaio 2019

Riordinare. #10yearschallenge

Disclaimer: sarà lungo, se non ve ne foste accorti.

Ieri ho guardato la scrivania e le mensole a casa dei miei, e mi è venuta questa insana voglia di metterci mano.
Due ore e quattro sacchi di spazzatura dopo (due di carta e due di secco), ho sentito il bisogno di farmi una doccia.
È stato soprattutto quando ho visto la polvere e lo sporco degli anni passati scivolare giù nello scarico che mi sono sentita svuotata quasi quanto le mensole.
Piena quasi quanto i sacchi di spazzatura che straripavano.
Vedete, ho questo terribile difetto: mi sento sempre più povera rispetto al mondo.
Povera di esperienze. Povera di idee. Povera di contenuti. Povera di parole. Di gesti. Di coraggio. Di tutto.
E questo mi condiziona. Durante i confronti mi fa sentire perdente in partenza, mi blocca dal difendere me stessa perchè tanto sarebbe inutile, quella sbagliata sono io a prescindere. E - farà ben ridere ciò che sto per dire ma - sbaglio di nuovo.

Mi sono passati fra le mani dieci anni di vita (no, molti di più). E mi sono ricordata, perchè forse lo avevo dimenticato, che io ho fatto tante cose coraggiose e diverse tra loro, e nessuno me le toglierà mai dal curriculum. Nessuno. Ora si indovini: arriverà un elenco.
Sì, perchè gli elenchi sono me. O io sono loro. Ecco alcuni estratti di ieri:

1. "Grazie per tuto quello che ai fatto per me: ti voio bene". Uno dei miei pazientini dimessi.

2. Un numero di telefono nascosto: una ragazza conosciuta in seconda superiore, un'amica, che aveva deciso di scappare con il ragazzo del quale era rimasta incinta per non essere costretta ad abortire dalle suore dell'istituto in cui stava. Aveva una pelle scura, bellissima. Occhi neri, rotondi. Labbra sempre dipinte da rossetti un po' sbagliati per l'età che aveva. Spero stia bene, ora.

3. Gli appunti tradotti dall'inglese per la tesi di laurea. Lasciata a piedi con il primo progetto a giugno del 2010 dal relatore precedente (mazzata sulle gengive, sì), mi sono rimboccata le maniche e mi sono laureata con tutti gli altri a novembre dello stesso anno. Centodieci.

4. Il primo bonifico cartaceo della stanza in subaffitto presa a Milano l'ultimo anno di università. Allora non c'era la possibilità di farli online. Ricordo che avevo perso il conto delle valigie fatte e sfatte, dei magoni che mi venivano il lunedì mattina alla partenza, dei treni in ritardo, degli sfizi che non mi sono tolta per risparmiare, dei chili persi, delle pulsazioni delle mie palpebre sottoposte a stress continuo.

5. Una pagina strappata da chissà quale quaderno, ricoperta da una scrittura non mia, ma che ho riconosciuto subito. Una foto rapida, un invio su Messenger, dopo due minuti la risposta: "inconfondibilmente, unicamente, schifosamente mia (questa calligrafia)". Ma lo sapevo già, non avevo bisogno della conferma.

6. Una miniatura di Piazza dei Miracoli, un dono da parte di un mio pazientino. Un souvenir sciocco, inutile, comprato a una di quelle bancarelle turistiche, eppure per me così importante. Importante quel sapere che ero stata pensata, anche là, anche in vacanza, nonostante in terapia lui non fosse mai apparentemente contento e mi strappasse i disegni alle pareti nei momenti di rabbia. Ero nei suoi pensieri.

7. "Buon Natale da C. e N.", un bigliettino di un panda, vergato da quella calligrafia quasi da analfabeta, sicuramente in origine accompagnato a una banconota di piccolo taglio. Ti ho vista pian piano spegnerti nel letto di un hospice, durante un anno brutto in cui avrei voluto pian piano spegnermi anche io, magari al posto tuo, così. Ma di te ricorderò sempre la gioia nel trovare la polvere di meringa alla base della coppetta Algida variegata all'amarena. La tua felicità nell'affondarci dentro la paletta di plastica.

8. Fatture, locandine, appunti di corsi pagati e strapagati da me, per l'aggiornamento.

9. Fogli per la plastificatrice, pagine fotocopiate, piani di trattamento, liste, elenchi (ma va?), polaroid di amici, biglietti di auguri, braccialettini, orologi (che non metterò mai, scordatevelo), canzoni stampate, orecchie da coniglio.

10. Palle di Natale, palline antistress, rompicapo portatili, libri, cannucce, franchi svizzeri, la collezione delle 500 lire diverse, figurine di wrestling (viva la raza), penne, dvd, cd, bamboline, cellulari, fili, occhiali...vita. VITA.

Di ogni cosa ricordo l'origine, il momento, il mio stato d'animo.
Questo perché vivo tutto così intensamente da farmi ferire, lasciare solchi, modificare. Io credo che la maggior parte delle persone non intuisca il mio essere in questo modo. Penso che dall'esterno non trapeli sempre, forse ho installato un filtro come quelli di Instagram. Il tutto deve uscire con un'aura brumosa che ovatta il tutto.
Fatto sta che la gente si stupisce quando legge ciò che scrivo, quando mi sente cantare, quando mi vede irrazionalmente persa, sperduta e annichilita dalle mie stesse emozioni che a trent'anni suonati non so ancora gestire. Ma mi va bene così. Sono questo. Sono questa, per ora.

Wow. Ho scritto (pianto) tantissimo. Il post più lungo di tutto il blog.
Al 20 di gennaio forse è il caso di trovare un buon proposito per il 2019, e sarà quello di avere il coraggio di stipare le mie mensole, ancora, con qualcosa per cui fra dieci anni varrà ancora la pena di respirarsi polvere e di arrampicarsi sulla sedia.
Il proposito è quello di prendermi tutto il tempo necessario per me stessa, che da se stessi non si scappa mai.
Di darmi tregua, di valorizzarmi, di credere alle mie parole, alle mie sensazioni.
Di sorridere. Di conoscere persone, perchè io del mondo non ho mai avuto paura, guai a chi osasse affermarlo, o anche solo crederlo.

Il mio proposito sarà essere me stessa, che me stessa è bello.
È donna.
È vita.
È mondo.

Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano (1911)