1 settembre 2018

Rane.


Credo che occorra ripartire da qui, cioè dalle rane.
È un po' per via del fatto che ho definito questo posto uno stagno, e anche perché quello mi sento, spesso: una rana.
Una rana, sí, un esserino verde che altro non sa fare se non saltare avanti, lasciandosi alle spalle il passato.

Voglio avvisare me stessa del fatto che settembre è arrivato, alla fine. Il nono mese è ormai giunto e, sottolineando l'ironica somiglianza con una gravidanza (ma no, non sono incinta), posso dichiarare a tutto il mondo (o circa) di quanto io me la stia facendo sotto.

Perché settembre è il mese degli inizi. Delle fini. Dei punti di rottura. Delle rotture, sì, di coglioni. Delle novità. Delle farfalle nella pancia. Dei salti nel vuoto. Dei "Martina: che caspita stai combinando?". Dei sorrisi strani. Dell'amore. Delle prime notti senza zanzare. Delle maglie più pesanti. Dei compromessi. Dei desideri.

E io, che ancora fatico a credere di non dover più preparare lo zaino con astuccio e diario, mi invento ogni volta meccanismi arzigogolati perché settembre significhi per me la stessa cosa di quando ero bambina: l'inizio di una nuova me.
Perciò, ogni anno, la Marti ranocchia fa un salto (quello solo, sa fare) da me. Mi chiede se sono pronta a saltare anche io dal precipizio. Mi informa che potrei spiaccicarmi al suolo, che potrei ferirmi, che il posto da raggiungere non è detto sia migliore del precedente.
Ma mi ricorda anche e nonostante tutto, che sono sempre sopravvissuta.
Che me la sono sempre cavata.
Che posso contare su me stessa.
Così salto. Sempre. Di nuovo.

Buon settembre, Marti.
Buon tutto, col cuore.
Buon salto.



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