Io che di tempo ne ho impiegato tanto, con la pesca, da piccina, so che un bravo pescatore è silenzioso, attento, paziente. Guarda con diffidenza ogni refolo di vento e sa contare sulla sua lenza sottile, per riempirsi lo stomaco la sera.
È rispettoso, il pescatore vero, e quando sa di non avere il diritto di prendere ributta il pesce troppo piccolo in acqua, senza manipolarlo troppo con le mani per non procurargli dolore inutilmente. Sopporta spine, creste, ami nella pelle, pioggia battente, odore stagnante. Sa aspettare e non prende mai le giornate sfortunate come accanimenti, ma come tappe necessarie lungo un sentiero scosceso.
Per questo, credo, quando ti penso la mia mente si popola di immagini di pesci. I pescatori siamo io e te, in un'alternanza magica che sa di predatore che si scopre preda - ricordi? Lo dice anche la tua coscia -. Le esche sono parole, opere ed omissioni, ma la colpa non si dà, perché è un termine che a te non piace e di cui io ho imparato a sorridere. Il pescato è sempre abbondante e sazia di una pienezza rara e tanto bella, quasi da doverne lacrimare.
E non so. Non so come meritarmi tutto questo. So solo che ho imparato a capire che tu mi.
Che io ti.
Che post meraviglioso.
RispondiEliminaSembra una poesia della Szymborska, in prosa.
Cerco di esprimere a parole uno dei tesori più preziosi che mi siano mai capitati tra le mani. Non ci riesco, sai? Nemmeno lontanamente.
EliminaGrazie per le tue parole.
Appeno comincio a leggere sento che stai per dire parole belle, importanti.
RispondiEliminaSenza sacrificio ci sfugge tutto. Ognuno ha quello che si merita.
Vengo da una tradizione famigliare di questo tipo, in cui il sacrificio è virtuoso: lavorare fino a spezzarsi la schiena, non avere festività e malattie, uscire prima che schiarisca e rincasare col buio. Ho imparato che a volte questa mentalità è una gabbia, Gus. C'è anche chi ottiene senza sacrificio, e non ha torto alcuno. Ma capisco ciò che dici, e ti sorrido. Grazie.
EliminaNella vita di ognuno di noi quello che si chiama sacrificio credo sia l'obbedienza alla propria coscienza.
RispondiEliminaA volte la propria coscienza detta percorsi duri da seguire, ai quali certamente si ovvierebbe, potendo (e con potendo intendo dire se si fosse singoli, individui non legati ad altri). Ma laddove si comprende l'utilità del sacrificio, la propria responsabile risposta al richiamo, ecco che il sacrificio assume un valore grandissimo.
Ciao Martina.
"che io ti, che tu mi" un universo racchiuso senza parole, ma che illumina incredibilmente..
RispondiEliminaSì, lo fa in un modo tutto suo, speciale. Ti sorrido.
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