13 febbraio 2016

Forse dentro sono un po' Re Magio.

Ci sono delle volte in cui risento in bocca il sapore dei ciucci di zucchero alla Coca Cola che la mamma mi comprava al mercato. Dico quel sapore di allora, mica quello che sentirei se ne mettessi in bocca uno adesso.
La sensazione della plastica del microfono del Cantatu sulle labbra, il tocco delle pagine dei libri da leggere sui polpastrelli - libri che allora si leggevano rigorosamente dalla pagina 1 in fila, mica saltando le pagine noiose -. 
L'odore pesante dell'acqua stagnante della lanca quando la domenica mattina andavo a pescare, l'ondeggiare del cimino e le vibrazioni che si ripercuotevano fino al mio polso.

Ripenso a tutto questo e concludo che vorrei tanto averlo indietro, come cimelio da rigirarmi fra le mani nei momenti difficili, quando sembra che non si riesca ad andare avanti.
Sì, perchè allora avanti si andava sempre, cazzo. Nonostante tutto, nonostante tutti, la vita sembrava qualcosa da imparare provando, gli accadimenti una serie di ingranaggi concatenati, il cui risultato finale non si poteva prevedere o capire.
Ed era bello. Era emozionante. Era quello che vedo tutti i giorni nei loro occhi.

Bambini.
Bambini.

Quello che imparo da loro - sì! - è che si va avanti. Anche non parlando, anche non camminando, anche soffrendo. Si continua sempre, perché il mondo è una cosa tanto bella da scoprire. E li vedo, sapete? Piccoli soldati impettiti che marciano verso l'unica battaglia che - ho imparato col tempo - abbia davvero un senso. E sanno essere contagiosi. Sanno strappare sorrisi e adesioni alle loro lotte di capriole sui tappeti Ikea, assaggi gratuiti di pasta di plastica e tè fatto d'aria, diagnosi sperimentate auscultando le piante dei piedi e guarigioni ottenute con la cura più bella di tutte: il sorriso.

Vorrei tanto avere di nuovo la stessa forza, il diritto di credere che faccia più male una spada di cartapesta di una parola cattiva, che il problema più grande sia aver perso il peluche della buonanotte, che il male vero sia sbucciarsi il ginocchio tentando di scavalcare il muretto del giardino. Perchè credere a tutto questo significa avere fantasia, coraggio, ma soprattutto fiducia.
Mi domando come facciano le persone che non hanno accanto i bambini tutti i giorni a ricordarsi che si può (si deve) andare avanti. Perchè non so se ne sarei capace, io.
Forse mi sarei fermata chilometri fa.

E in questi momenti, ora, ecco, mi sento fortunata. Libera, tipo.