19 novembre 2022

Come nei minimondi di Mighty Max

Mentre io e la sua mamma parlavamo di come fosse andata la seduta logopedica, L. ha iniziato a girovagare per la stanza cercando disastri da fare perché la nostra attenzione si calamitasse nuovamente su di lui. Entrambe lo seguivamo con la coda dell'occhio assicurandoci semplicemente che non si cacciasse nei guai.

Non appena si è avvicinato all'archivio dove tengo le cartelle di tutti i pazienti con inseriti dati sensibili, tuttavia, mi sono avvicinata a lui e cercando di restare dolce gli ho spiegato che quel cassettone appena spalancato doveva essere richiuso immediatamente perché conteneva cose che non potevano essere disordinate come i mattoncini Lego.

L., 5 anni, si è arrabbiato e ha sbattuto il cassetto, per poi andarsene dalla stanza senza nemmeno rivolgermi la parola e senza salutare, nonostante si fosse divertito tanto nei 45 minuti precedenti.

Pensavo solo che il modo in cui incassiamo i "no", dice tanto di quanta instabilità e incertezza ci contraddistinguano. C'è chi è disposto ad attendere il momento giusto e le spiegazioni, chi è flessibile e paziente. C'è chi invece è rigido, coi piedi piantati in fosse a forma d'impronta come nei minimondi di MightyMax.

Ma non è cattiveria, è semplicemente insicurezza.
Un'insicurezza immensa.




11 novembre 2022

Provarci.

Correndo da lavoro in stazione controllo lo stato del treno che devo prendere. 23 minuti di ritardo. Smetto di correre. Capisco che avendo 9 minuti di tempo per non perdere la coincidenza, mi dovrò armare di pazienza e arrivare a destinazione un'ora dopo.

A meno che - sussurra la mia mente brillante - a meno che anche la coincidenza sia in ritardo, e allora avresti un incastro fortunato degno di nota. Sorridendo controllo l'app. La coincidenza è stata soppressa. Mi fermo sul posto, il telefono nella mano, lo zainetto stipato, gli stivaletti piantati sui sanpietrini.

Ci fosse una cosa, UNA SOLA, che vada dritta come voglio io. No. Fermo i pensieri che mi bloccano il problem solving. Arrivo in stazione. Vado sul binario. Un uomo si avvicina allungandomi il cellulare: "Scusa, devo cancellare questo numero, non lo voglio più". "Ma non è salvato", ribatto, "È solo nella memoria del registro chiamate". Mi guarda come se gli stessi spiegando il funzionamento di uno spettrometro di massa. Anche io mi sento non salvata e sicuramente non salva, penso, così decido di aiutarlo. "Fa niente. Aspetti". Seleziono, premo il bidone e l'esistenza di quel numero non salvato sparisce. "Fatto già?", domanda l'uomo. Annuisco. Se ne va.

Ricomincio a pensare a ciò che posso fare. Nel frattempo mi scrivono mille pazienti che hanno scelto proprio questa giornata, proprio questa fascia oraria, proprio questo momento preciso, per condividere con me richieste o problemi di ogni sorta. Le chiedo di contattare entro sera la coordinatrice delle insegnanti. Quando posso chiamarla per chiederle una cosa? Mi daresti il prossimo appuntamento? Per caso la mia bambina ha lasciato il giubbino da voi in sala d'attesa?

Ignora. Ignora. Ignora. Ignora.

L'altoparlante rimbomba nella stazione. Sta arrivando un altro treno. Segue una tratta diversa rispetto alla mia ma so che in un modo o nell'altro potrei riuscire a raggiungere la mia destinazione anche da lì. Inforco il sottopasso e salgo di volata, mentre acquisto dall'app un biglietto non più acquistabile perché è passato l'orario. Ne prendo uno di un orario successivo mentre mi preparo a dover litigare col capotreno pignolo perché oggi sta andando tutto male. No: sta andando tutto malissimo. Invece faccio le mie tre fermate senza intoppi. Scendo. Guardo il tabellone. La mia coincidenza sta arrivando, ripartirà fra venti minuti.

Ce l'ho fatta. Mi siedo, sono l'unica con una ffp2 indossata. Passa un ragazzino dell'università, anche lui porta una ffp2. Mi guarda. "È libero?", chiede. Annuisco. Ce l'ho fatta. Arriveró con soli 20 minuti di ritardo rispetto al programma iniziale.

Non è che non capisca la morale, la capisco eccome. Le cose trovano sempre modi arzigogolati per andare, nella mia vita. È solo che sono malata di una stanchezza infinita. Non avrei bisogno di dormire, avrei bisogno di sparire. Come quel numero non salvato. O non salvo, non ricordo più.

Mi lascio cullare dal ritmo del treno, assecondandone i movimenti. Sprofondo nel giubbotto messo a mo' di scialle con la musica nelle orecchie, conscia di non poter sbagliare: la mia fermata è il capolinea. Non è successo niente. Va tutto bene. La giornata è finita, non può che migliorare, mi convinco.

All'improvviso, però, un ronzio dal telefono.
"Allora, l'ha sentita la coordinatrice?".

Una cornice dalla tela imbarcata.