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25 marzo 2022

Maionese.

Ho fatto la maionese stasera, e l'ho fatta per due ragioni. 

La prima è che ne avevo una voglia smisurata, eppure mi sono dimenticata , sabato scorso, di comprarla al supermercato. Mi pareva insopportabile l'idea di non poter farcire il mio panino con la maionese.

La seconda è che tu mi piaci da impazzire. Lo dico - e te l'ho scritto - riferendomi al senso letterale dell'espressione. Quando penso a quanto mi piaci, ecco, mi sembra di impazzire. Impazzisco talmente tanto da condividere con te cose che non direi a nessuno, come appunto il fatto che mi piaci da impazzire. 

Dovevo in qualche modo riempire il silenzio con cui mi hai risposto, quello non certo dovuto al fatto che tu non abbia nulla da rispondere, non certo dovuto al fatto che io non ti procuri lo stesso effetto. Un silenzio dovuto al fatto che non c'è nient'altro da dire, perché ciò che affermo è vero. E tu lo capisci. Dovevo in qualche modo riempire il silenzio dei tuoi occhi che mi guardavano dall'altra parte dello schermo con qualcosa che rischiasse di impazzire, come me, ma che non lo facesse. Che se ne restasse buona buona lì.

Così ho mischiato tuorlo e olio di semi come se non ci fosse un domani, perché a volte anche se le cose ce le meritiamo noi e non qualcun'altro, beh: non le otteniamo comunque. Fine della storia. Così va la vita.

Per questo, appunto, per tutto questo ho fatto la maionese stasera. E poi ho bevuto uno spritz. E adesso non c'è nessun modo differente in cui vorrei dire quello che sto dicendo. 

È una fortuna che io abbia un panino da farcire, è una fortuna che la maionese non sia impazzita, è una fortuna avere te, da qualche parte nel mondo.

Buon appetito.

8 novembre 2021

Privarsi dell'anima comporterebbe una lauta ricompensa.

Versione web richiesta: 


Sei tornato quasi rinvigorito, dissetato, senza una minima consapevolezza di ciò che quei giorni hanno significato per me.

La colpa, di nuovo, non esiste. Mi hai insegnato a farla cadere dalle spalle come uno zaino troppo pesante da trasportare e quindi da abbandonare a terra senza troppe smancerie. La colpa non esiste, dicevo: non è né tua né mia.

Non sai, semplicemente, cosa implichi gestire l'assenza di qualcuno senza poter minimamente conoscere la sua localizzazione, il suo stato di salute, la sua integrità fisica. Non sai quanto terribile sia ignorare se quell'individuo condivida ancora la sua esistenza con te, sulla Terra. Cosa rappresenti il soppesare le ultime parole dette - spesso a vanvera - le azioni fatte e soprattutto quelle non fatte. 

Sono cambiata di nuovo, in un clic. Quali sono le cose davvero importanti, ora? Cosa sono disposta a perdere e cosa no? Cosa desidero in modo davvero simile ad assaggiare quelle increspature sulle tue labbra?

Da cosa devo partire? Da cosa devo ripartire, di nuovo?

C'è così tanto silenzio che mi sembra di morire.

 

2 novembre 2021

Del pescare.


Io che di tempo ne ho impiegato tanto, con la pesca, da piccina, so che un bravo pescatore è silenzioso, attento, paziente. Guarda con diffidenza ogni refolo di vento e sa contare sulla sua lenza sottile, per riempirsi lo stomaco la sera.

È rispettoso, il pescatore vero, e quando sa di non avere il diritto di prendere ributta il pesce troppo piccolo in acqua, senza manipolarlo troppo con le mani per non procurargli dolore inutilmente. Sopporta spine, creste, ami nella pelle, pioggia battente, odore stagnante. Sa aspettare e non prende mai le giornate sfortunate come accanimenti, ma come tappe necessarie lungo un sentiero scosceso. 

Per questo, credo, quando ti penso la mia mente si popola di immagini di pesci. I pescatori siamo io e te, in un'alternanza magica che sa di predatore che si scopre preda - ricordi? Lo dice anche la tua coscia  -. Le esche sono parole, opere ed omissioni, ma la colpa non si dà, perché è un termine che a te non piace e di cui io ho imparato a sorridere. Il pescato è sempre abbondante e sazia di una pienezza rara e tanto bella, quasi da doverne lacrimare. 

E non so. Non so come meritarmi tutto questo. So solo che ho imparato a capire che tu mi.

Che io ti.

28 settembre 2021

Ditemelo voi (pillola di logo #non ricordo, poi la cerco)

Come sempre a fine seduta, questa piccola bimba selvaggia si arrampica sullo sgabello e gioca con la casetta di legno mentre do il rimando alla sua mamma. 

Oggi le sto dicendo che le cose vanno più che bene. In una manciata di mesi sua figlia ha recuperato praticamente tutto l'inventario fonetico e lo sta generalizzando alla velocità della luce. È passata da un eloquio quasi completamente incomprensibile a un linguaggio ricco e fluente, deliziosamente maturo in certi momenti. La informo, quindi, che ho deciso di diradare le sedute e la invito a prepararsi a terminare il percorso di riabilitazione logopedica a breve. Lei sospira e porta una mano al petto, gli occhi lucidi. 

Dice il nome della piccola, la chiama vicina e in un istante quell'esserino spettinato sul quale i vestiti - seppur meravigliosi e curati - sembrano sempre delle pezze raffazzonate e appiccicate alla bell'e meglio, fa capolino al suo fianco, lo sguardo ampio e mai distratto. 

- Hai sentito cosa ha detto Martina? Tra poco avrai finito di lavorare con lei, non verremo più qui! -.

Lei saltella sulle gambe magre e lunghe. Due stuzzicadenti, quasi mi chiedo come possano resistere a tanto sforzo senza mai spezzarsi.

- Sì. Ho sentito. Ma non è vero: Martina resterà sempre, per me -. 

E quindi funziona così, in questo momento dove sento così vuoto il mio, di fianco. In questo momento dove non capisco che ruolo voglio avere. Ora, qui ed ora, che mi sento il solito scarabocchio. Adesso, che fa così dannatamente freddo nonostante l'estate si sia rotta da poco. Che guardo la felicità altrui e la invidio così profondamente, così violentemente da sentirmi in colpa e controllo gli occhi, le lacrime, i sentimenti, per non lasciare trapelare nulla di questo nero che ho dentro.

Funziona così, e so che ragione ne ha da vendere, quello scriccioletto selvatico tutto scombinato: io ci sarò sempre, per lei. 

E lei ci sarà sempre, per me. 

E, mi dico io, se questo non è un edulcorato, strambo e quasi indecente modo di essere madre, allora, io davvero non so che cazzo è. 

Ditemelo voi, che cazzo è.

20 settembre 2021

Si è rotta l'estate.

Niente, non riesco in alcun modo a distogliere la mia mente da questa manciata di parole: si è rotta l'estate.

Il motivo per cui vorrei liberarmene è che non è mia, l'espressione, ma del mio ex. Il motivo per cui non riesco a farlo è perché mi è sempre piaciuta follemente.

Ricordo un'estate di qualche anno fa, era agosto inoltrato, e stavamo camminando in mezzo alle bancarelle di una festa politica (ovviamente); una folata più rigida delle altre ci ha fatti stringere nelle nostre felpe e tu hai esclamato: "Ecco. Si è rotta l'estate. È fatta, non tornerà più indietro". Ed era vero. 

Quell'estate non ci sono stati più pomeriggi torridi, serate in magliettina leggera, piroette sul letto alla ricerca di una qualsivoglia corrente d'aria. L'estate si era rotta, semplicemente. Era il caso di fare i conti con settembre, con tutti i propositi lasciati in sospeso a giugno, con le agende da riprendere a compilare. Con la conclusione di tutti quei giri che ci facevamo in gelateria.

A volte l'estate si rompe ad agosto, ho imparato. Altre a settembre. Quest'anno, l'estate, si sta rompendo adesso. Io lo sento, voi lo sentite? Chissà. 

Mi chiedo se abbia pronunciato anche lui queste parole, ultimamente. A volte ripenso a come finiscono le cose. A come ci si allontana improvvisamente da chi ci è sembrato prima così vicino. È che nel nostro caso non si era rotta solo l'estate. Si era rotto un po' tutto. E in un modo che nemmeno la supercolla avrebbe saputo risolvere. In un modo che nemmeno un giro in gelateria sfidando i primi freddi avrebbe saputo risolvere.



18 settembre 2021

🤟🏻

Sto qui appoggiata a un tavolino mammut a sentire questa metà di settembre che mi si incunea tra le costole. Ho accanto a me una borsa contenente dei mezzi di trasporto che si agganciano magneticamente, dei pupazzetti a dita e gli animali della fattoria.

Mi passano davanti agli occhi le immagini di quell'ambulanza e penso che sul lettino, lí, mezzo ustionato, potevi esserci tu. Poi un'altra immagine, una mano, per rassicurarmi, le tue tre dita alzate: "Rock 'n Roll babe".

Potevi esserci tu, sì.

Allora penso che sarebbe tanto meglio che le ambulanze fossero solo dei giocattoli con la calamita, da attaccare a autopompe dei vigili del fuoco fatte di plastica e alla volante della polizia con le sirene sempre ferme, dipinte.

Per fare solamente finta di.

Per fare finta.




3 settembre 2021

Habibi ya nour el ain.

Negli ultimi due giorni ho fatto tante cose.

Ho pianto (che però non è una novità).

Ho visitato una torre, credo. C'erano tanti gradini. Grate per osservare il panorama. E non ero sola.

Ho risentito voci dopo tanto, tantissimo tempo. Ed erano uguali e diverse da allora. 

Ho preso decisioni, un po' imponendomi.

Ho accolto preoccupazioni nelle mie mani, nelle mie orecchie. 

Ho sentito il sussurro dei ringraziamenti e la scossa del fastidio.

Ho contato e controllato, capendo che non dovevo farlo.

Ho sentito gli occhi bruciare, il corpo sudare, il piedi rompersi.

Ho sfidato posti nuovi, modalità sconosciute, riconoscimenti.

Ho capito di non essere sola. E forse si riduce tutto a quest'ultima cosa.

Grazie.

28 agosto 2021

And it burns, burns, burns

Non mi ricordo più chi sono, stamattina. 
In generale, non mi ricordo più chi sono.
È che uno passa il tempo ad allentare i buchi della cintura, sì, e poi si trova coi calzoni alle caviglie.

Uno passa tanto tempo a difendersi dalle batoste, che quando incontra un cuneo che fa leva su un solco già esistente sente bruciare anche l'anima.


23 agosto 2021

Rappresentazioni.

Mi sono imbattuta per caso in un portale che traduce, partendo da un termine chiave, parole e frasi in lingua dei segni (italiana e non solo).

Anni fa per via del mio lavoro ho seguito un corso che mi ha dato un'infarinatura generale della lingua, e già allora ero rimasta affascinata dall'utilizzo che viene fatto delle immagini e di quanto esse vengano riportate nei segni (non gesti, segni è il loro nome).

Indipendentemente dall'uso del corpo o delle mani, il mio modo di comunicare è ricco di immagini. Sarà che ho a che fare con bimbi con problematiche di linguaggio, ma l'atteggiamento si è esteso al mio comportamento comunicativo in generale. Ho anche amiche che mi prendono in giro per come, a mio modo e assolutamente senza attingere alla LIS poiché non sono segnante, i concetti prendano vita attraverso i movimenti.

Ad ogni modo, tutto questo era per dire che sono rimasta affascinata dal modo in cui si traduce in lingua dei segni italiana "ti amo".




Qualcosa che mi si presenta come: "Vedi? Questo è il mio cuore, nel mio petto. Ora appartiene a te, tieni".

Niente, va bene. Sono qui che piango come una rincoglionita. Ciao.

16 agosto 2021

Dovrebbe.

Dovrebbe esserci qualcosa che renda queste due di notte sensate. Qualcosa che mi faccia capire il motivo per cui si può scegliere di non salire una manciata di scale per prendersi ciò che si vorrebbe. Ciò che sarebbe da prendere. 

Dovrebbe esserci qualcosa che distolga il mio pensiero da questo stomaco in subbuglio, quello che mi ricorda la bellezza che sento mi appartenga quando ho a che fare con te, persino quando discutiamo. Persino quando non ci capiamo. Persino quando le trame degli spazi non si lasciano allargare e io devo stare qui, ad aspettare in religioso silenzio.

Dovrebbe, cazzo, dovrebbe esistere un modo per farti arrivare all'orecchio la forza con cui pronuncio il tuo nome, la disperazione racchiusa dentro questo silenzio urlato, questo singulto così ordinato e composto che ricalca i contorni delle regole che ci siamo dati per poter esistere.

Dovrebbe esserci anche un modo per toccarti più di quanto non sappiano fare il pensiero, la parola, il sogno, l'intenzione. Un modo perchè tu possa mordere la punta delle mie dita protese ("scricchiolo, scricchiolo le costole dannatamente, scricchiolo") davanti al tuo naso. Morderle piano, a scatti, a sangue, fino a lasciare le impronte sui polpastrelli.

Dovrebbero esserci parti di te a trattenermi dal mio scomposto abbandonarmi senza lasciarmi andare mai, a slacciare nodi che questa nausea mi impone di rafforzare perché non esca tutto il malessere che avverto. Un picco incandescente che mi acceca, acido.

Dovresti essere qui a prenderti ciò che ti spetta di diritto, qualcosa che ha ironicamente il volto di tutte le conseguenze che questa rabbia mi fa montare dentro. 

Invece mi ritrovo come sempre a combattere con i miei demoni da sola e ad attendere il momento che in fondo preferisco. 

Quello in cui i demoni vincono.

15 agosto 2021

Ferragosto.

Ieri sono stati qui Fratellopaziente e ragazza. E non so se siano strascichi della mia emicrania con aura, del caldo che ieri mi ha fatto particolarmente soffrire, della conseguente aria condizionata accesa, della birra che ho bevuto (ma da quando? Mi ha sempre fatto schifo) o del bicchiere di Porto finale, ma stamattina il mal di testa non mi dà tregua.

Non ero più abituata a qualcuno che fumasse e oggi la casa al risveglio mi sembrava un covo di latitanti costretti alla segregazione, motivo per cui ho spalancato tutte le finestre ricercando un filo d'aria che, beh: non c'è. Il 15 agosto sarebbe anche strano trovarlo, d'altronde.

"Pensavo a te". Così ha scritto verso l'ora di pranzo quello che ancora qui un'etichetta non ce l'ha ma che dovrebbe averla, nonostante la mia ritrosia. Quello che si comporta come la zanzara tigre che abita la mia cucina stamattina: la sento ronzare intorno alle orecchie, appoggiarmisi addosso, provare a pungere, eppure se provo a schiacciarla è molto più lesta e furba di me. Dannato mal di testa.

Effe dorme. Io scrivo e mi illudo di riuscire a prendere il master in mano e fare qualcosa di produttivo. Mi faccio ridere da sola, sì.

La verità è che sono io la cattiva ragazza. Da sempre, tipo.



19 giugno 2017

Elenco di quindici #10

Aggiornamento di questo post QUI. Ribadisco. Stai con un musicista se:

1. "Suoniamo alle 21, quindi partiamo alle 15". We love soundcheck. Anche no.
2. "Suoniamo alle 21, quindi saremo a casa per le 3 stanotte". We love anche i ritardi che fanno figo e aspettare tutte le band che suoneranno successivamente. Perchè siamo una grande famiglia.
3. "Tu prendi il borsone dei vestiti". Sì, quello con la maglietta nera col logo figo, la maglietta chiara che se fa caldo non si sa mai, la camicia che se si alza l'arietta poi sto male, la felpina leggera che metti che diventa nuvoloso, la felpa pesantina che va bene che è estate ma siamo in collina/semimontagna, i calzini doppi no che sono già infilati nel cruscotto e..ah! Le solette di ricambio che mi puzzano i piedi.
4. "Si sentiva la fisa? E la tastiera? E la voce nei cori?". Tutto questo dopo che durante il concerto lui ti fa cenni segreti che manco il miglior giocatore di briscola in coppia.
5. "Tu suoni nel gruppo?". No. "Ah canti?". No, sono la ragazza del... "Aaaah, sei la GROUPIE!". Mi stai dando della pu-..va beh. Quello che vuoi.
6. "Facci un po' di foto, mi raccomando". Fa niente se il mio Lumia fa foto sgranate e sfuocate anche se mentre clicchi fai un respiro troppo sentito.
7. "Ho pubblicato la foto del concerto, hai visto?". Ho visto. Vedo tutto. Anche tutti i "mi piace" delle zoccole, cosa credi?
8. "C'era uno che mi ha chiesto se mi andasse di suonare con lui". Sicuro. Di notte. Tra le 3 (visto che si torna a quell'ora - vedi punto 2.) e le 4.
9. "Sai quell'impegno che abbiamo fissato da un anno e mezzo? Non ci sono. Ho un concerto".
10. "Ah, fai gli anni proprio il 24? E non puoi spostarlo di un giorno che il 24 suono?".
11. "Cosa dicono le tue amiche che sono venute a sentirmi suonare? Sono piaciuto?". È chiaro che sei piaciuto, altrimenti non sarebbero nella mia cerchia di amicizie. Ma con non troppo entusiasmo, perchè non ho amiche troie, IO.
12. "Senti questo punto dell'arrangiamento in questa canzone. È un genio. Cambia tutto". Captare segnali alieni, ci stai riuscendo. Io meno.
13. "Tranquilla, ci sono anche le fidanzate di tutti gli altri". Non ci sono, mai. Perchè sono più furbe di te.
14. "È un musicista particolare. In pratica sperimenta dei nuovi suoni pur rimanendo sul classico. Ti piacerà". Farà cagare.
15. "Buongiorno amore, ben svegliata. Stasera suoniamo alle 21, ma prima del concerto facciamo le prove, quindi partiamo tra cinque minuti".

Bello de zia.

4 dicembre 2016

Tutta colpa dello Zecchino.

Di quando aspettavo il 25, perchè Babbo Natale (la mia nonna) mi portava la cassetta dello Zecchino.

Mi manchi.
No, non Babbo Natale.
Mi manchi, così mi viene naturale cantare.


25 settembre 2016

Learnings #14

1. L'uomo, per sopravvivere, necessita di cambiamento. Grazie al cazzo, direbbe Darwin.
2. Se esci tardando dal lavoro dopo esserci stata 11 ore, hai il ciclo simil cascate del Niagara e le scarpe rotte ti fanno sanguinare i piedi, non hai comunque il diritto di sederti sul marciapiede e piangere come una bambina (anche perchè un ciclista ti potrebbe falciare all'istante, incurante della tua esitenza. Insisto, sì).
3. A volte ci si accorge di essere ottimi ascoltatori e pessimi oratori.
4. Riformulo: io non ho le parole necessarie per parlare a qualcuno davvero di come sto.
5. Vorrei avere il tempo di organizzare le idee che mi ronzano in testa in un elenco tipo quello che sto scrivendo ora.
6. L'amore, quello vero e forte e profondo, quello che non avevo mai provato, ultimamente mi sta salvando la vita.
7. Alle persone, in generale, non è che freghi molto.
8. Va bene, proviamo anche questa maschera anti stress al salice bianco e BIO timo. Se è bio, fa bene, no?
9. Quanto è difficile essere entusiasta quando vorrei solo nascondermi sotto il piumone con uomo e gatto che mi si accoccolano intorno?
10. Non ho tempo.
11. Ho dato un'occhiata a master e corsi di specializzazione. Perchè l'ho fatto? Io. Non. Ho. Tempo.
12. Internet può essere un mezzo eccezionale. Devo racimolare idee e coraggio e farmi avanti.
13. Voglio scrivere, cantare, creare di più.
14. Non voglio "vivere". Voglio vivere.
15. Ripetersi le cose aiuta a fissare i concetti.
16. Non voglio "vivere". Voglio vivere.


Una stanza PIENA di micini.

2 giugno 2016

La Marti pescivendola.

Oggi ho fatto le treccine dopo essermi lavata i capelli; ci dormirò su, così domani quando le scioglierò avrò un ondulato naturale ottenuto senza calore, cosa essenziale per i miei capelli con le quadruple punte.
Poi ho cercato un film da guardare per stasera.
Quindi ho visto dei video su Youtube di beauty-tubers e cazzare-tubers che mi fanno sempre venire voglie strane. Del tipo che domani vado a comprarmi delle scarpe simil Espadrillas perchè nelle mie All Stars tarocche dei cinesi ho fatto un buco; non guidando cammino troppo e devo avere una camminata sbagliata, dato che rompo tutte le scarpe che compro. E non andarci, dai cinesi, cazzo!, mi dico. Per una volta non fare la tirchia e spendi un po' di più che della tua salute e della postura non ne puoi mica fare a meno, santa pace!
Dopo ho dipinto con gli acquerelli, alla fine ci sto provando da un po' e anche se la carta non è quella giusta e pensavo avrei combinato disastri, invece no. Ecco, mi piace e mi fa passare il tempo. Sto costruendo uno zoo di animali dipinti e Raffa è la migliore. Almeno fino ad ora. 



Al termine di tutto questo ho pensato che avrei potuto togliere lo smalto dalle unghie e rimetterlo anche se non è così brutto, giusto per far passare il tempo, solo che sapevo che sarebbe stato solo per far passare il tempo e la cosa mi ha trovata restia e perplessa. E ho concluso che odio i giorni di festa in cui sono a casa e le mie ansie e i pensieri prendono il sopravvento, è meglio fare 14 terapie al giorno con mezz'ora di pausa pranzo e dover pisciare in fretta quando uno dei pazienti arriva un minuto dopo l'orario esatto e ti dici "Ahh, era da tre bimbi che me la tenevo, la vescica stava per esplodere!". E sei contenta così.

Ecco: penso che dovrei fare la pescivendola. La Marti pescivendola potrebbe trattare a pesci in faccia la gente  (ha i pesci per farlo, va da sè) e - se necessario - potrebbe pigliare a salmoni in faccia anche se stessa quando mai si atteggiasse a "quella figa" che non ha mai problemi, che è super sicura e che non ha bisogno di essere gelosa perchè se dovesse mai succedere qualcosa reagirebbe con tali fermezza e decisione che Xena Principessa Guerriera je fa 'n baffo. La Marti pescivendola puzzerebbe e non avrebbe fidanzati fighi con la parlantina sciolta e la prestanza fisica e la cultura e gli interessi e la vena artistica e quelcertononsochè di cui preoccuparsi perchè si è folli e ci si preoccupa per cose inesistenti e idiote. La Marti pescivendola starebbe con uno scorfano, si sa. E sarebbe più tranquilla, lo so.

Io devo cambiare lavoro, questo è il punto.
E le vacanze fanno male.

7 maggio 2016

Learnings #12

1. Io sono importante.
2. Non sono abituata a lamentarmi. Non lo faccio perchè penso di essere fortunata, e perchè credo che le cose brutte succedano a volte a me perchè sono in grado di superarle.
3. La gente non è abituata a sentire qualcuno che non si lamenta, così a volte dice che io sono strana perchè a me va bene tutto. 
4. A me non va bene tutto, ma di lamentarmi non sono capace. Quindi non lo faccio. Ed è una scelta precisa e consapevole.
5. Dormire è fondamentale.
6. Guardare tutorial su youtube fa credere alle persone di essere plausibilmente competenti in arti e mestieri. Il che è inesatto.
7. Vorrei provare a dipingere con gli acquerelli perchè ho visto dei tutorial su youtube.
8. Scrivere per me è importante. È importante, io non me lo devo dimenticare.
9. Le coroncine di fiori in testa e i pantaloni hippie sono fighi.
10. Non avrei mai pensato in vita mia di dire che i fiori o qualcosa di floreale fossero fighi.
11. Quando amo, io amo tanto.
12. Ho comprato una crema solare protezione bambini e un cappello bianco; ci ho messo quasi 28 anni, ma l'ho capito che contro il sole non sono imbattibile.
13. Non so quasi niente.
14. Io vado avanti, sempre.
15. L'estate mi fa paura.
16. Molte cose mi fanno paura, tipo i pipistrelli, guidare, le persone cattive e l'idea di perdere qualcuno che amo senza capire il perchè.
17. Vorrei sedermi sulle rive di un laghetto di montagna con un panino con la mortadella in mano e pucciare i piedi nell'acqua mentre mastico.
18. Oltre al sole, c'è anche un'altra cosa che non posso sconfiggere: il tempo.
19. Le scelte che ho preso e prendo, piccole o grandi che siano, fanno di me ciò che sono e del presente la mia vita.
20. Io sono importante.


13 marzo 2016

Nè qui, nè là. La fiera degli accenti.

Immaginare una figura umana - o forse due, famigliari, -

camminare negli scorci digitali ricercati a caso,

fiutando colori e temperature miti, complice il negozio fotografico.

Nella speranza di una fuga, ancora lontana,

dall'oggi e dallo ieri che ancora imperversa, ciclico,

e spinge gli ingranaggi nella carne e pesa. Pesa. Ritorna.



Ritorna e pesa, in cucina, un etto di farina

- nella torta c'era un insetto - ed è così che penso

che nelle buone cose c'è sempre imperfezione.

Nei buoni intenti un po' di cattiveria,

che se anche canto fuori,

dentro taccio.



E allora essere qui o là - in mezzo ai photoshop -

non può far differenza.

La fa la testa. Il blu del cielo come contrasto.

I sandali ai piedi e la saliva che scende senza dolore in gola.

Fare l'amore liberi. Non per liberarsi.

Essere liberi. Non liberarsi.


13 febbraio 2016

Forse dentro sono un po' Re Magio.

Ci sono delle volte in cui risento in bocca il sapore dei ciucci di zucchero alla Coca Cola che la mamma mi comprava al mercato. Dico quel sapore di allora, mica quello che sentirei se ne mettessi in bocca uno adesso.
La sensazione della plastica del microfono del Cantatu sulle labbra, il tocco delle pagine dei libri da leggere sui polpastrelli - libri che allora si leggevano rigorosamente dalla pagina 1 in fila, mica saltando le pagine noiose -. 
L'odore pesante dell'acqua stagnante della lanca quando la domenica mattina andavo a pescare, l'ondeggiare del cimino e le vibrazioni che si ripercuotevano fino al mio polso.

Ripenso a tutto questo e concludo che vorrei tanto averlo indietro, come cimelio da rigirarmi fra le mani nei momenti difficili, quando sembra che non si riesca ad andare avanti.
Sì, perchè allora avanti si andava sempre, cazzo. Nonostante tutto, nonostante tutti, la vita sembrava qualcosa da imparare provando, gli accadimenti una serie di ingranaggi concatenati, il cui risultato finale non si poteva prevedere o capire.
Ed era bello. Era emozionante. Era quello che vedo tutti i giorni nei loro occhi.

Bambini.
Bambini.

Quello che imparo da loro - sì! - è che si va avanti. Anche non parlando, anche non camminando, anche soffrendo. Si continua sempre, perché il mondo è una cosa tanto bella da scoprire. E li vedo, sapete? Piccoli soldati impettiti che marciano verso l'unica battaglia che - ho imparato col tempo - abbia davvero un senso. E sanno essere contagiosi. Sanno strappare sorrisi e adesioni alle loro lotte di capriole sui tappeti Ikea, assaggi gratuiti di pasta di plastica e tè fatto d'aria, diagnosi sperimentate auscultando le piante dei piedi e guarigioni ottenute con la cura più bella di tutte: il sorriso.

Vorrei tanto avere di nuovo la stessa forza, il diritto di credere che faccia più male una spada di cartapesta di una parola cattiva, che il problema più grande sia aver perso il peluche della buonanotte, che il male vero sia sbucciarsi il ginocchio tentando di scavalcare il muretto del giardino. Perchè credere a tutto questo significa avere fantasia, coraggio, ma soprattutto fiducia.
Mi domando come facciano le persone che non hanno accanto i bambini tutti i giorni a ricordarsi che si può (si deve) andare avanti. Perchè non so se ne sarei capace, io.
Forse mi sarei fermata chilometri fa.

E in questi momenti, ora, ecco, mi sento fortunata. Libera, tipo.


26 gennaio 2016

Medie.

L'altra notte ho sognato che era di nuovo il primo giorno di scuola media. La preparazione dello zaino sembrava non finire mai, io non ricordavo se le lezioni iniziassero alle 14 o alle 14.30 e mia madre non sembrava affatto intenzionata a darmi uno strappo nel caso in cui proprio non riuscissi ad arrivare in tempo.
Alle medie vere, nella realtà intendo, avevo una bellissima bicicletta bianca e rossa che usavo nei giorni primaverili per andare a scuola. Ero una ragazzina strana, però non stupida. Ero brava a scuola ma non venivo presa in giro; è qualcosa che ha sempre caratterizzato la mia vita. Era come se le persone pensassero che era meglio non sfottermi. Così, per qualche assurda ragione. O forse perchè non ho mai mancato di rispetto a nessuno.

Beh c'erano questi due ragazzini più grandi, quando ero alle medie. E a loro piaceva tanto rubare la mia bicicletta e quella di un'amica per andare in paese a comprarsi la focaccia per l'intervallo. Odiavo quel momento, quello in cui ci attendevano al cancello della scuola, si mettevano davanti alla ruota e ci costringevano a lasciar loro le bici. Odiavo loro, a dirla tutta.
Ricordo che quell'anno, alla festa della scuola, avevo ritrovato la mia bici col manubrio tutto storto, buttata così, a caso, nell'erba del cortile. E ricordo di esserci rimasta male. Sembrava, allora, qualcosa che io non avrei mai avuto il potere di cambiare, come potesse durare in eterno, quale perenne tortura di chi non ha abbastanza voce per dire "no". Come se non potessi fottermene anche io, una volta tanto, pigiare forte i pedali e asfaltare i loro testicoli, la pancia, il collo, e proseguire avanti.

Non so che fine abbiano fatto, quei due imbecilli. Non mi importa molto.
Quello che conta è che le cose si ripetono, e ormai a 27 anni dovrei essermene fatta una ragione. E invece no.

Vedo questa foto dai colori arcobaleno, e quella faccia da rasatura fresca anche se la barba non deve essere tanta. Vedo l'espressione volutamente tormentata e vedo l'assenza dei segni che ho imparato a conoscere e ad amare in silenzio. Non ci sono perchè allora non c'erano, e quel ragazzo non è l'uomo che conosco e le ferite, le esperienze, la vita ancora non ha fatto troppi giri su quella faccia. 
E dentro - la sento - c'è la stessa inerzia, precisa, con cui mi ricordo scendere dal sellino e consegnare la bici bianca e rossa trattenendola un altro po' per il manubrio. C'è la stessa modalità di lasciare andare le cose come vanno, che mica c'è da condannarlo come atteggiamento, non è affatto sbagliato. Ma è doloroso. È subdolo, è qualcosa che si infiltra e si fa sentire, persistente. È freddo, è inverno buio.

E io non lo so. Non lo so cosa c'entri la mia bicicletta bianca e rossa con l'Amore, santa pace. So solo che sarebbe meglio raccoglierla dall'erba e raddrizzarle il manubrio, perchè con quel catorcio io di strada ne voglio ancora fare un bel po'.
Oh, sì. Un bel bel po'.

6 gennaio 2016

Sole.

Alla fine il sole tornerà sempre,
dopo il nevischio, le uvette nere, i tavoli allungati.
Tornerà dopo le fughe su canali veri o dipinti,
dopo i graffi sulla porta, le ore di ozio, il sonno rubato al pomeriggio.
Tornerà e riporterà alla mente vacanze lontane,
primi tentativi di un nucleo in formazione,
di uno e uno che fa uno e non due,
perché se anche non opinabile, 
la matematica a volte si adatta alla vita.
Il sole ritornerà e soffierà nel naso profumi futuri:
ci sarà un albero, allora, e una stanza sempre in disordine
con i colori mezzi aperti e cinque opere in corso;
ci sarà un tiragraffi in un angolo,
un piano, una poesia appesa alle pareti
- a ricordo costante dei punti di partenza
come bivio al contrario, che si debiforca
(e debiforca sarà accettato dai dizionari, nell'allora) -.
E il forno sarà sempre caldo,
google maps costretto a far calcoli
e scorci nascosti si paleseranno alle nostre fotocamere.
E a volte, ci saranno volte in cui
- come spesso mi capita - mi metterò a piangere
senza un perchè. Perchè son donna,
e mi piace pensare che solo le donne sappiano intuire
quando gli angeli soffrono, e ne soffrano, di conseguenza.
Beh, piangerò. E quando mi domanderai il motivo
- e io non saprò trovarlo -
nell'allora mi dirai, sorridendo in quel tuo modo bambino,
di non preoccuparmi mai.
Che il sole torna sempre, alla fine, dirai.
Di non preoccuparmi affatto.