9 dicembre 2016

Non volevo.

Oggi ripensavo a uno di quegli episodi che rimangono impressi nella memoria in quanto assimilabili a marchi impressi a caldo nell'emotività bambina.

Sono in gita in montagna, con la mia classe. 
Stiamo facendo una gita nei boschi e fa un freddo becco.
Si vede la neve e il sentiero, per me che non sono esattamente in forma, non è facile. Resto in coda al gruppo in compagnia del fiatone e dell'insegnante di italiano, vecchietta e malconcia pure lei.
Beh. Arriviamo a questo torrente che nonostante il freddo scorre come se nulla fosse.
Ci sono dei piccoli sassi che affiorano sulla superficie e le guide ci mostrano che dobbiamo saltellare su di loro per passare dall'altro lato.
Io mi sento subito a disagio. Non ce la farò mai, lo so.

Con questi pensieri nella mente, arriva il mio turno.
Riesco a beccare il primo sasso, poi il secondo. Al terzo passo il piede non si appoggia saldamente, scivola sulla superficie rocciosa e io, per non perdere l'equilibrio, devo infilare la gamba in acqua. Il sasso su cui ho perso la presa si inclina e si inabissa.
L'acqua del torrente è davvero gelata, ma a dire il vero non sono abituata a scandalizzarmi, così cerco di cavarmela senza far notare a nessuno che ho fatto una figuraccia. In quel momento, però, mi raggiunge la guida. Ha una brutta faccia e, a dirla tutta, non ne capisco subito il motivo perchè nessuno mi guarda mai con aria di rimprovero. Mantenere un profilo basso è il mio mantra quotidiano.

"Hai notato cosa hai fatto?" mi chiede. "Quello era l'unico passaggio che tutti gli altri potevano usare per passare sull'altra sponda! Grazie mille!".
Io non dico niente. Lo guardo dispiaciuta e desidererei tanto dirgli che non volevo. Non l'ho fatto apposta, anche se avevo previsto che sarebbe finita così. Sono imbranata, sono grassa e fatico a restare in equilibrio. Non prendo bei voti in ginnastica, non riesco a fare tanti giri del campo e non riesco a sollevare il mio corpo sulle spalliere di legno della palestra. In bicicletta ho fatto un incidente contro una macchina parcheggiata. Quando sarò grande non prenderò mai in mano una macchina, glielo giurerei seria.

La verità è che a volte non ci si rende conto di ferire gli altri in maniera tanto irreparabile. Ricordo di essere andata avanti senza più accorgermi di quanto bella fosse la neve, di quanto splendore mi circondava. 
Pensavo solo a quando sarebbe finito il percorso e a quali insormontabili ostacoli avrei incontrato dopo la curva successiva.

A volte mi ritrovo col pensiero davanti a quel torrente, di nuovo in procinto di saltellare sui sassi che affiorano e con la certezza che non riuscirò mai a toccare terra senza aver provocato danni. È strano come certi meccanismi, certi timori bambini intendo, si ripropongano nella vita adulta vestiti d'altro, eppure sembrando così famigliari. Così sempre simili a se stessi.

Non c'è mica un lieto fine per questa storia. Non per ora, almeno.
Solo la consapevolezza che per attraversare il torrente, se proprio va fatto, sarebbe meglio trovare un modo meno doloroso e più sicuro. Magari più lungo, sì. 
Ma sicuro.



4 dicembre 2016

Tutta colpa dello Zecchino.

Di quando aspettavo il 25, perchè Babbo Natale (la mia nonna) mi portava la cassetta dello Zecchino.

Mi manchi.
No, non Babbo Natale.
Mi manchi, così mi viene naturale cantare.


26 novembre 2016

Come il formaggio.

Oggi sono sei anni che mi sono laureata.
Lavorare come logopedista è un qualcosa che si inizia - se si ha fortuna - sin da subito; essere una logopedista, invece, ha bisogno di una maturazione lenta e graduale. 
Come, il vino, penso. Ma sono astemia, quindi va beh. Come il formaggio, ecco.

Essere una logopedista è qualcosa che riempie e svuota, tante volte addirittura in contemporanea. Chiunque dicesse che versamenti e prelievi si controbilancino sempre, beh, sarebbe un grande bugiardo. Ci sono periodi bui, in questo mestiere. Come nella vita.
Ci sono volte in cui varchi la soglia dello studio senza la minima energia, chiedendoti come farai, quel giorno, a ricorrere alla magia. Perchè è solo con la magia che si può essere una logopedista. Ci sono attimi in cui ti attiveresti per creare fogli su fogli di materiale, giochi, pagine plastificate, documenti a disposizione di chiunque ne necessiti e mille altre cose. Poi succedono i tempi stretti, la stanchezza, le tristezze, la sfortuna, la vita.

Ho letto di qualcuno che diceva che se hai passione per qualcosa, il tempo lo trovi.
Non è cosí. Alle volte il tempo non c'è. Ma non c'è proprio, non per finta.
8-19 tutti i giorni non lascia scampo. Il tempo te lo devi conquistare a forza di battaglie e denti stretti, lacrime che vengono trattenute negli occhi e rivoluzioni.
E le persone in difficoltà sono a volte - per fortuna non sempre - candelotti di dinamite da maneggiare con cura, che se scoppiassero incidentalmente distruggerebbero loro stessi e anche te.

Poi ci sono le soddisfazioni, chiaro; sono grandi e belle, e risplendono come una carezza il giorno di Natale. Ma non ne parlerò adesso, no. 
Ne ho già parlato troppe volte e mi sembra di dare sempre poco spazio, invece, alle fatiche. Non è tutto bello, non è tutto buono.

Sei anni fa nevicava, al mattino. Sono partita in macchina con delle scarpe troppo alte e ho aspettato tesa, in piedi, fino alle quattro del pomeriggio. Per le due settimane successive non ho avuto sensibilità alle dita dei piedi. Forse era un anticipo di ciò che mi sarebbe successo dopo, ma io lo colgo solo ora, e sto sorridendo.
La neve era per me, io lo so. Era qualcuno che mi voleva stare vicino nonostante non fosse più fisicamente con me.
Le scarpe, d'altro canto, me le ero scelte io; anche questo fa un po' ridere.

E quindi sono passati sei anni. 
Le cose non si sono fatte più semplici, perciò quello che sto scrivendo è una virtuale pacca sulla spalla per dirmi che il percorso è appena cominciato. 
Che di lottare non smetterò mai. 
Che di cose da imparare ce ne sono milioni, forse miliardi. 
Che devo rispettarmi di più, perchè anche il Titanic è affondato, una volta impattato l'iceberg. 

Per dirmi che la bicicletta l'ho voluta io, alla fine.
E mo'...eh. E mo' pedala, cretina.

A me il formaggio piace.

19 novembre 2016

Black Moon. No, black tutto.

Ecco. Questo non sarà uno dei miei Learnings e nemmeno un Elenco di 15. 
Sarà un elenco giusto per fare un elenco. Perchè a me gli elenchi piacciono molto, se non si fosse capito. Mettono le cose in fila.

1. Essere felici per gli altri è giusto e bello, fino a che non si arriva ad un limite. Poi una vorrebbe anche farsi gli affaracci suoi e via col liscio.
2. Mi chiedo quando c'è stato questo passaggio per cui prima piangevo per la biro multicolor a cui si era scaricato il verdebosco e invece adesso piango per la vita.
3. Una inizia a metà novembre a pensare ai ragali perchè per una volta vuole fottere la sua naturale tendenza a posporre e il fato le si rivolta contro.
4. Le maschere peel off. Sento di essere chimicamente legata al loro ideatore. Se mi stai leggendo, beh. Contattami.
5. Certe volte capita che stai immersa nella merda fino alla radice dei capelli e, tanto per non farti mancare niente, vai a fare un giro per campi e ti tuffi in una montagna di letame. Credo sia per testare la propria personale resistenza.
6. Pizzoccheri, taleggio, pizza alla diavola, tortelli e castagne. 
7. Non passerà. Non con il solo tempo.
8. Può darsi che se una non si è tolta uno sfizio, poi sia un casino allucinante resisterci.
9. Se me lo dite in tanti che canto bene, forse mi convinco che qualcosa di bello c'è, e faccio un corso di canto. No, non è vero. Ahah.
10. Secondo me la colpa è della zingara che si è dimenticata di farmi vedere che è da anni che ho pescato la Luna Nera. 'Sta vacca.



11. La voglia di buttare dal balcone il telefono. A me dispiace tanto, ma uno di questi giorni lo spengo e sparisco.
12. Se dovessi mai sparire non cercatemi.
13. Per fortuna iniziano ad esserci quelle cose carine tipo le luminarie, il freddo, la neve, i lustrini, i nastri, i campanellini, i disegni olografici, Santa Lucia e tutto sembra meno schifoso. Nah. Oggi non ci credo manco io.
14. Voglio uno di quei maglioncioni superpesanti in stile natalizio che fanno venire in mente la pippaggine dei pranzi coi parenti mitigata solo dalla bontà della crema al mascarpone finale sul pandoro.
15. E mica finirò col numero quindici, che davvero lo dovevo chiamare "Elenco di quindici", 'sto post? Ma porcaccia la miseria. Io e il Disturbo Ossessivo Compulsivo.

29 ottobre 2016

Tesori.

Io non so cosa voglia dire essere genitori, però so di sicuro che per essere bravi ad esserlo, occorre conoscere i propri figli nelle loro essenze più pure.

Nella mia vita è qualcosa che ha a che fare con tanti aspetti.
Volermi bene, per esempio, anche se l'ultima volta che l'ho abbracciata - e maldestramente, anche - è stata quando è morta la prozia, 4 anni fa.
Apprezzarmi anche quando la sera al telefono, incazzata come sono con il mondo, le rispondo a monosillabi e se mi dice "ti voglio bene" (sempre lei, per prima), ribatto svogliata "anche io", sforzandomi di aggiungere le successive tre parole come eco alle sue, per non farla rimanere male.
È esserci anche se nel tragitto Crema - Cremona o viceversa in macchina io non spiaccichi parola eppure lui riesca a capire se son stanca, arrabbiata o triste e non mi dica nulla in aggiunta al solito "mangiamo una caramella alla menta?", perchè sa che star zitta è il mio modo di guarire.
È decidere di coccolarmi con gli sguardi anzichè con le braccia, perchè sa che odio le persone che mi toccano, mi baciano sulle guance, mi cingono le spalle o mi accarezzano, perchè sono cose che solo i bambini e l'Amore possono fare.

Non condannano, mamma e papà, il senso di inutilità che mi fa annaspare dopo un'uscita con le persone "normali", cosa che capita nella vita di tutti, prima o poi.
Intendo quelle che si baciano sulle guance, appunto, e discutono dei viaggi, dei libri, dell'attualità, del tempo balordo, delle foto belle, mentre io sono impegnata ad osservare le dita del cameriere che scorrono sui bordi dei piatti e mi chiedo come faccia a portarne quattro in equilibrio senza farli cadere. 
Le persone che snocciolano aneddoti come se non ci fosse un domani mentre io mi ripeto nella testa che devo tenere la schiena dritta e le spalle distanziate e perdo inevitabilmente il filo del discorso. 
Di solito sono le stesse che sono infastidite dai miei silenzi, le mie ancore di salvezza alla sopravvivenza. 

La verità è che passare la vita sperando mi capiscano è un sacco faticoso.
E io faccio tanti tentativi per cercare di non deludere le aspettative.
Per esempio, mi sono obbligata a crescere e ora ho un paio di stivali alti, metto vestiti con le gonne e ho un lavoro di responsabilità. 
Dentro, però - dentro, dico - sono ancora quella che si stupisce dell'approvazione degli altri tanto quanto dell'aria novembrina che taglia le guance al mattino presto. Quella che crede nel Natale magico. 
Quella che i sassolini colorati nell'orto della nonna erano pietre preziose. 
Ecco, i sassolini che, se li raccoglievo con la paletta e una volta filtrati col setaccio, finivano nel secchiello di plastica, non nel portafoglio.

Perchè era lì - lì, sì! -. 
Era lì che andavano i veri tesori.


15 ottobre 2016

Elenco di quindici #8

Tipologie di genitori e/o pazienti che potrebbero capitare nel caso in cui si lavorasse per un servizio di Neuropsichiatria Infantile.

1. NEGAZIONISTI. Quelli che se dici: "Ehi, devi forse soffiarti il naso?", ti guardano e rispondono: "No!" come se avessi proposto di amputare loro un braccio, leccandosi le caccole arrivate fino al livello del mento.
2. DITTATORI. Quelli che sovrintendono i lavori e con le mani piantate sui fianchi esordiscono con: "Allora adesso giochiamo con Masha e Orso, Peppa Pig e poi facciamo le bolle". Sono, per intenderci, gli stessi con cui passerai dieci minuti impegnata nell'arduo tentativo di convincerli che se anche ogni tanto fai la cretina, loro sono i piccoli e tu l'adulta.
3. SUBACQUEI. Quelli che se lasciano cadere la matita, il colore, il pezzo di puzzle o di lego per terra, poi ci impiegano ore per raccoglierlo e tu temi che siano riversi sul pavimento a corto di ossigeno, con le gambette che sbattono sulle mattonelle.
4. TUTTOFARE. Quelli che: "Coloro io la scheda!", "Taglio io!", "Incollo io!", "Butto via io la carta!", che se mettessero lo stesso entusiasmo negli esercizi di articolazione batterebbero Mentana nelle gare di spelling e battute al minuto.
5. RIVOLUZIONARI. Quelli che è tutto "No". "Lavoriamo?", "No". "Coloriamo?", "No". " Giochiamo?", "No". "Restiamo qui?", "No". "Allora andiamo dalla mamma?", "No". Occhei.
6. ENTUSIASTI. Quelli che si stupiscono di qualsiasi cosa vedono. "Oh!! Il gioco di Peppa! Un libro arancione! Le pagine di carta! La colla appiccica! L'acqua è bagnata! Sono vivo!!". Se non fosse diseducativo, sarebbe da chiedere loro il nome del pusher di fiducia.
7. ZOMBIE. Sono quelli che si muovono e/o lavorano soltanto in cambio del loro personalissimo cervello da gustare. Di solito macchinine, dinosauri, bolle o disegni da colorare.
8. EVERGREEN. Sono quelli che vengono in terapia da tanto tempo, talmente tanto che arrivano a conoscerti e a preoccuparsi per te più della tua stessa madre. "E la micia come sta?". "Le vacanze al mare sono andate bene?". "Devi andare a casa a piedi con la pioggia?".
9. ILLUSI. Quelli che, quando compili la cartella per la dannatissima burocrazia, strabuzzano gli occhi e chiedono: "Oh, mancano poche righe! Quando è tutto scritto questo foglio vado via e non ci vediamo più?". Ehm no. Ne prendo uno nuovo e ricomincio, gioia.
10. AGENTI IMMOBILIARI. Sono quelli che sono tanto interessati a sapere se di notte, quando i bimbi vanno via dal centro e le luci sono spente, io mi metta a dormire nella mia stanza di terapia. È bella, è verde, ha giochi e disegni ma no. Alla sera scappo a gambe levate.

Quindi. I genitori:
11. TRADUTTORI. Quelli che il bimbo dice: "Maoeididi?", e loro sanno che vuole sapere dov'è il "Didi", il dinosauro. "Òonamotia?", ma certo, dopo andiamo dalla zia. "M73hdmwodpo#wueiuw*edbwk". Ah, vuole accertarsi che il lascito testamentario venga condiviso anche con Bobi, il cagnolino di pezza.
12. RICATTATORI. Quelli che: "Se Martina mi dice che hai fatto il bravo, dopo ti compro il gelato, altrimenti no". Che se la seduta è andata maluccio mi viene un coccolone al momento dell'uscita, insomma.
13. GIUSTIFICATORI. Quelli che: "Eh, le liste da leggere non siamo proprio riusciti a farle, non abbiamo avuto tempo questa settimana". Che, cazzo!, 120 secondi netti per leggere una cinquantina di parole non trovati sono una cosa grave in 7 giorni; significa non aver tempo di far pipì o cacca. E la mia conseguente esplosione non è ira, ma grave preoccupazione per la diuresi del ragazzino.
14. CATERPILLAR. Sono quelli che non mostrano un minimo di entusiasmo o flessibilità manco se il figlio torna da loro recitando la Divina Commedia a memoria. Al contrario. Con un bavaglio in bocca.
15. CUOCHI. Sono quelli che della vecchia storiella della mela alla maestra hanno fatto una sicurezza nella vita. Per il compleanno del figlio, il compleanno della terapista, il compleanno della segretaria, gli onomastici, Pasqua, Natale, Epifania, hanno sempre un dolcetto da portare al centro.

Tanto per dimenticare che la vita sa essere difficile. 
Per affogare nelle calorie.
E morire. 
Felici.
Amen.

25 settembre 2016

Learnings #14

1. L'uomo, per sopravvivere, necessita di cambiamento. Grazie al cazzo, direbbe Darwin.
2. Se esci tardando dal lavoro dopo esserci stata 11 ore, hai il ciclo simil cascate del Niagara e le scarpe rotte ti fanno sanguinare i piedi, non hai comunque il diritto di sederti sul marciapiede e piangere come una bambina (anche perchè un ciclista ti potrebbe falciare all'istante, incurante della tua esitenza. Insisto, sì).
3. A volte ci si accorge di essere ottimi ascoltatori e pessimi oratori.
4. Riformulo: io non ho le parole necessarie per parlare a qualcuno davvero di come sto.
5. Vorrei avere il tempo di organizzare le idee che mi ronzano in testa in un elenco tipo quello che sto scrivendo ora.
6. L'amore, quello vero e forte e profondo, quello che non avevo mai provato, ultimamente mi sta salvando la vita.
7. Alle persone, in generale, non è che freghi molto.
8. Va bene, proviamo anche questa maschera anti stress al salice bianco e BIO timo. Se è bio, fa bene, no?
9. Quanto è difficile essere entusiasta quando vorrei solo nascondermi sotto il piumone con uomo e gatto che mi si accoccolano intorno?
10. Non ho tempo.
11. Ho dato un'occhiata a master e corsi di specializzazione. Perchè l'ho fatto? Io. Non. Ho. Tempo.
12. Internet può essere un mezzo eccezionale. Devo racimolare idee e coraggio e farmi avanti.
13. Voglio scrivere, cantare, creare di più.
14. Non voglio "vivere". Voglio vivere.
15. Ripetersi le cose aiuta a fissare i concetti.
16. Non voglio "vivere". Voglio vivere.


Una stanza PIENA di micini.

1 settembre 2016

Ed ora via.

Diciamola tutta.
Esiste il tempo per gli artisti maledetti, cupi e saccenti, che ti sbattono in faccia la loro arte e se provi ad accoglierla con positività ti mandano a fare in culo. Quelli che si fanno del male e dal loro male costruiscono una fortuna; quelli che fanno del male pure a te nel momento in cui ti avvicini. Quelli distruttivi, che la distruzione va accolta come risorsa ed ispirazione e se non li capisci tanto meglio, vuol dire che stanno facendo bene il loro mestiere. Quelli che se anche la forma non è perfetta, il contenuto è una bomba della miseria, quindi il resto lo si lascia passare.

Ecco. Poi c'è il momento in cui realizzi che il tuo artista tormentato ce l'hai avuto, e a dire il vero non è stata tutta 'sta meraviglia. Arriva il momento che sì: il mondo fa schifo e la vita è ingiusta e patiamo tutti insieme ma mi avete pure sfrangiato i maroni, poeti maledetti di stocazzo.
Lì si inizia ad apprezzare un altro tipo di artista, quello che sta nel suo cantuccio e le cose non te le urla in faccia, ma le sussurra. E usa parole delicate perchè conosce l'effetto che potrebbero avere e non ci tiene a sciupare le occasioni. Quello che con meno decibel esprime comunque concetti buoni e giusti, risplendendo della modestia rara e meravigliosa di chi sa di essere fortunato.

Io ho fatto la mia scelta, insomma.
Il rumore dell'acqua del mare, non della birra nel bicchiere.
La descrizione di un gesto, non di un incubo allucinato.
Melodie, non strozzature.
Le parole di tutti i giorni, non l'Enciclopedia Treccani.
Darsi tempo, non correre a perdifiato.
Che il segreto della cura è la magia, mica la morte.

Gli altri, per dirla a modo loro, "mi hanno rotto i coglioni".
Quasi come i ciclisti sul marciapiede, o forse di più.



9 agosto 2016

Learnings #13

Durante questa estate sto sperimentando un'alternanza continua di momenti in cui sembra tutto perfetto e altri in cui prenderei a mazzate la gente. 
Detto questo sono in ferie, quindi va tutto molto bene. Figuriamoci quando sarò anche in vacanza.

1. Credo che le proprie fortune non vadano sbandierate e mostrate al solo scopo di procurare invidia. Credo che vadano conservate ed osservate come piccoli gioielli preziosi, ma forse sono io che lo credo perchè durante la mia vita mi è stato insegnato a guadagnarmi le cose.
2. La gente non capisce quanto coraggio serva per indossare un costume a due pezzi.
3. A volte è necessario guardare film horror che - si sa - ti faranno cagare.
4. Ho sempre paura di disturbare la gente. Nel dubbio non faccio, non dico, non chiedo. Ed è sbagliato, perchè io non disturbo nessuno, lo so. Devo solo convincermene.
5. Quando scrivi un racconto e il finale è presente nella tua testa ma non si concretizza, è una rottura di scatole.
6. Ho una grande capacità di resistenza, e penso derivi dal fatto che so interpretare abbastanza i pensieri che si annidano dietro a quei comportamenti che farebbero incazzare pure il Dalai Lama.



7. Ho sonno ma non riesco a dormire.
8. Se passo un giorno al fiume col costume a due pezzi, poi ne passerò altri tre come minimo a grattarmi le scottature nonostante avessi la crema. È un'ingiustizia.
9. I gatti sono animali notturni e, quando ne hanno la possibilità, scappano dal balcone e non si sa dove vadano. Bisogna farsene una ragione, oppure ti ammazzeranno.
10. Ci sono menti affini. Punto.
11. Se l'acqua mi arriva al seno, anche se tocco e non sono in pericolo, io SO di poter morire. Lo so.
12. Concludo. I frullati di pesca con latte e ghiaccio tritato sono i migliori amici della mia estate. Grazie Magic Bullet tarocco. Grazie.


29 luglio 2016

Svastica.

Questa è la dimensione nella quale ritorno quelle volte in cui ho nostalgia di casa, quando avrei voglia di spaccare tutto ma poi non lo faccio perchè, anche se ne avessi il diritto, sono - in fondo - un essere pacifico. È la dimensione che mi accoglie ogni volta e mi dice che sono la benvenuta, che assicura che capirò motivi e ritmi senza sforzo.
È un racconto. Un racconto di Charles Bukowski, il primo per me che di suo non ho mai letto niente. Gli ubriaconi non mi stanno simpatici, a dirla tutta.


Il racconto narra del rapimento del Presidente degli Stati Uniti, e non di un Presidente qualunque, ma del prescelto; quello che, dopo l'organizzazione degli omicidi Kennedy, è l'unico che possa davvero diventare il destinatario più compatibile.
Un contenitore, a tutti gli effetti, di un'identità altrui; quella che appartiene ormai ad un vecchio uomo, un ex dittatore tedesco creduto morto e invece sopravvissuto al Tempo e alla Storia. Uno che non ha mollato le redini del potere e, imbracciata la potente arma del progresso scientifico, la utilizzerà per sovvertire la gerarchia mondiale.

Uno scambio di corpi, per la precisione: chi era canuto e claudicante diverrà potente e pericoloso. D'altro canto chi crederebbe a un vecchio che nemmeno ricorda il proprio nome, se dovesse affermare di essere il Presidente degli USA?
Verrà naturalmente rinchiuso in un ospizio, dove sarà richiamato per il pranzo e distolto dalle sue solite fantasticherie, compatito perchè la troppa passione per la politica lo ha ridotto ad uno straccio. 
Per non parlare di quei baffetti sotto al naso, così simili a vecchi estremismi decaduti.

È una storia che insinua, insomma. Verrà infatti censurata per lungo tempo in Italia, esclusa dalla raccolta di cui fa originariamente parte, "Storie di ordinaria follia".
Ma il punto cruciale, per me, è un altro.

"Svastica" è - al di là delle insinuazioni appena citate - un racconto ben scritto, ben pensato, ben architettato.
È quella dimensione sicura e ben delimitata che assicura cinque minuti di lettura e l'attivazione del pensiero. Forse addirittura una notte tranquilla.
A chi scrive bei racconti dovrebbe essere dato un contributo economico, nessuno escluso: professionisti, principianti e appassionati amatoriali.

Chi scrive racconti, e forse Charles lo sapeva, ha una grande responsabilità: quella di avere poche parole e righe a disposizione per raggiungere lo stesso obiettivo che i grandi romanzieri ottengono con un libro intero, forse una saga: un sospiro di serenità.

E mica si dice merda, nè?

24 luglio 2016

Stamattina pioveva e mi son detta "auguri".

Su date sudate
piegate falangi
s'imprimono inermi;
lo smalto scheggiato
- un rosso corallo,
ricordo del bello,
entusiasta
motivo per cui
questo account ho voluto
creare -.

Ma il tempo
è una goccia
che cade
e cadendo
solleva zampilli
e polvere e i grani
s'infilano subdoli
- orpelli ancestrali -
negli occhi,
nei denti,
nei pori sudati.

Su dati mi prostro,
mi arrendo,
mi ignoro. 
Su dati intasati
prometto che mai
patirò del ritardo
quel triste supplizio
che annega la voglia
- mai più -:
l'iperfoga.


3 luglio 2016

Io speriamo che me ne vado.

Ecco. C'è questo aspetto del mio lavoro che riguarda l'equilibrio.
Quello che nella vita, fisicamente intendo, mi manca proprio. Sono in grado di sbilanciarmi stando su due piedi e in Pianura Padana, roba da cadere sbattendo il sedere senza manco accorgermi di come sono arrivata a baciare l'asfalto.
Eppure, appunto, il mio lavoro mi costringe ad una sorta di equilibrio pacato, quello che asseconda la corrente e si lascia lambire stando a vedere dove i flutti porteranno i detriti. È un meccanismo di salvaguardia importantissimo, perchè se mi permettessi uno sbandamento, il naufragio sarebbe all'ordine del giorno.

Avere a che fare con le persone, soprattutto quelle in difficoltà, è infatti un gioco sospeso su un filo a mezz'aria, dove l'instabilità è imprevedibile poichè i funamboli sono almeno due. A volte, parlando io necessariamente di bambini, anche tre o quattro. E mica è facile capire quale piroetta abbiano in mente. Sotto al filo, poi, non c'è la rete su cui cadere in caso di errore, no. C'è il vuoto.

E, accanto a questo equilibrio necessario, c'è l'importanza delle parole. Beh, sì, questa è deformazione professionale. È inevitabile.
Oltre ai funamboli, anche le parole hanno infatti il potere di far dondolare il filo, addirittura in maniera pericolosa. Una parola sbagliata può tranciare la fune di netto, sfilacciarla irreparabilmente o farla sussultare in un improvviso guizzo. Tutto sta nell'attutire l'impatto, sia quello delle nostre azioni sull'intero sistema, sia quello degli agiti altrui sul nostro stato. 

E, come sempre, mi rendo conto che ciò che risulta fattibile nella mia professione, non lo è praticamente mai nella mia vita. Parlavo di una barchetta nel mare in tempesta, tempo fa. È ancora là, quella barchetta, in mezzo alle onde. 
Si è arricchita di nuove vele, di un vasto equipaggio, forse persino di un possente albero maestro. Ecco, l'imbarcazione sembra rimanere però sprovvista di qualcosa di fondamentale: le scialuppe di salvataggio.
Da lì non si può scappare, va affrontato tutto stando in piedi sul pontile, lacerandosi le mani a furia di tendere le funi, mentre l'acqua salata butta schizzi che bruciano i palmi. E forse è giusto così: non fuggire, ma affrontare gli ostacoli a testa alta, anche quando si vorrebbe avere un mucchio di sabbia nel quale nascondere la testa fino al collo.

Stare lì, mentre le parole piovono tempestose a poppa, mentre casa non è più casa perchè sembra aver perso la sua identità, mentre ciò che era certo diventa dubbio, mentre la spiaggia è così lontana e tutto ondeggia caotico. 
Mentre in fondo, l'equilibrio cambia i propri connotati. E diventa il tentativo di non sbattere le teste e i nasi, volgendoli verso un obiettivo comune. 
Che voglio credere che ci sia, nonostante gli stia dando pagaiate da tempo, per spingerlo in profondità e non farlo venir fuori manco per sbaglio.

Voglio credere che ci sia.
Io voglio credere.

2 giugno 2016

La Marti pescivendola.

Oggi ho fatto le treccine dopo essermi lavata i capelli; ci dormirò su, così domani quando le scioglierò avrò un ondulato naturale ottenuto senza calore, cosa essenziale per i miei capelli con le quadruple punte.
Poi ho cercato un film da guardare per stasera.
Quindi ho visto dei video su Youtube di beauty-tubers e cazzare-tubers che mi fanno sempre venire voglie strane. Del tipo che domani vado a comprarmi delle scarpe simil Espadrillas perchè nelle mie All Stars tarocche dei cinesi ho fatto un buco; non guidando cammino troppo e devo avere una camminata sbagliata, dato che rompo tutte le scarpe che compro. E non andarci, dai cinesi, cazzo!, mi dico. Per una volta non fare la tirchia e spendi un po' di più che della tua salute e della postura non ne puoi mica fare a meno, santa pace!
Dopo ho dipinto con gli acquerelli, alla fine ci sto provando da un po' e anche se la carta non è quella giusta e pensavo avrei combinato disastri, invece no. Ecco, mi piace e mi fa passare il tempo. Sto costruendo uno zoo di animali dipinti e Raffa è la migliore. Almeno fino ad ora. 



Al termine di tutto questo ho pensato che avrei potuto togliere lo smalto dalle unghie e rimetterlo anche se non è così brutto, giusto per far passare il tempo, solo che sapevo che sarebbe stato solo per far passare il tempo e la cosa mi ha trovata restia e perplessa. E ho concluso che odio i giorni di festa in cui sono a casa e le mie ansie e i pensieri prendono il sopravvento, è meglio fare 14 terapie al giorno con mezz'ora di pausa pranzo e dover pisciare in fretta quando uno dei pazienti arriva un minuto dopo l'orario esatto e ti dici "Ahh, era da tre bimbi che me la tenevo, la vescica stava per esplodere!". E sei contenta così.

Ecco: penso che dovrei fare la pescivendola. La Marti pescivendola potrebbe trattare a pesci in faccia la gente  (ha i pesci per farlo, va da sè) e - se necessario - potrebbe pigliare a salmoni in faccia anche se stessa quando mai si atteggiasse a "quella figa" che non ha mai problemi, che è super sicura e che non ha bisogno di essere gelosa perchè se dovesse mai succedere qualcosa reagirebbe con tali fermezza e decisione che Xena Principessa Guerriera je fa 'n baffo. La Marti pescivendola puzzerebbe e non avrebbe fidanzati fighi con la parlantina sciolta e la prestanza fisica e la cultura e gli interessi e la vena artistica e quelcertononsochè di cui preoccuparsi perchè si è folli e ci si preoccupa per cose inesistenti e idiote. La Marti pescivendola starebbe con uno scorfano, si sa. E sarebbe più tranquilla, lo so.

Io devo cambiare lavoro, questo è il punto.
E le vacanze fanno male.

7 maggio 2016

Learnings #12

1. Io sono importante.
2. Non sono abituata a lamentarmi. Non lo faccio perchè penso di essere fortunata, e perchè credo che le cose brutte succedano a volte a me perchè sono in grado di superarle.
3. La gente non è abituata a sentire qualcuno che non si lamenta, così a volte dice che io sono strana perchè a me va bene tutto. 
4. A me non va bene tutto, ma di lamentarmi non sono capace. Quindi non lo faccio. Ed è una scelta precisa e consapevole.
5. Dormire è fondamentale.
6. Guardare tutorial su youtube fa credere alle persone di essere plausibilmente competenti in arti e mestieri. Il che è inesatto.
7. Vorrei provare a dipingere con gli acquerelli perchè ho visto dei tutorial su youtube.
8. Scrivere per me è importante. È importante, io non me lo devo dimenticare.
9. Le coroncine di fiori in testa e i pantaloni hippie sono fighi.
10. Non avrei mai pensato in vita mia di dire che i fiori o qualcosa di floreale fossero fighi.
11. Quando amo, io amo tanto.
12. Ho comprato una crema solare protezione bambini e un cappello bianco; ci ho messo quasi 28 anni, ma l'ho capito che contro il sole non sono imbattibile.
13. Non so quasi niente.
14. Io vado avanti, sempre.
15. L'estate mi fa paura.
16. Molte cose mi fanno paura, tipo i pipistrelli, guidare, le persone cattive e l'idea di perdere qualcuno che amo senza capire il perchè.
17. Vorrei sedermi sulle rive di un laghetto di montagna con un panino con la mortadella in mano e pucciare i piedi nell'acqua mentre mastico.
18. Oltre al sole, c'è anche un'altra cosa che non posso sconfiggere: il tempo.
19. Le scelte che ho preso e prendo, piccole o grandi che siano, fanno di me ciò che sono e del presente la mia vita.
20. Io sono importante.


30 aprile 2016

Pillole di logo (33)

Da quando ha iniziato il suo percorso terapeutico gli obiettivi logopedici raggiunti sono stati pochi. Tuttavia, quelli personali, comportamentali, umani - mi dico - sono stati immensi.
Non lo vedo sorridere come fa ultimamente da mai. E se il mio contributo rispetto a questo progresso si situasse attorno allo 0,001% penso che sarebbe comunque un qualcosa di cui potermi ritenere soddisfatta.

Resta il fatto che lui è un bambino capace di distrarsi in una stanza vuota e bianca, magari osservando il pulviscolo atmosferico raggiunto da un fugace raggio di sole. Che, peraltro, in questa giornata che sa di autunno non c'è manco per sbaglio.
Stiamo lavorando su lettura e comprensione di frasi brevi brevi. Ma molto brevi, se non si fosse inteso. In pratica lui deve leggere e, una volta compreso il concetto, lo deve rappresentare con un disegno. 
Lui diventerà un fumettista da grande. Io lo penso davvero.

Arranca sulle parole che gli ho scritto in stampato maiuscolo.
- "CI..no..CHI E DO..SSSS CUUU SA..A..LA..MAMMA!" - dice.
- Bravo! "Chiedo scusa alla mamma". Dai, prova a disegnare nel rettangolo sotto -.
Vedo che si ferma a pensare, e forse si perde nel suo rimuginare infinito.
- Allora!! Oggi ci stiamo perdendo in un bicchiere d'acquaaaa! - gli dico scuotendo la mia bottiglietta di plastica vicino all'orecchio. Lui si mette a ridere, poi prende la matita e si mette a tracciare il disegno.

Inizio a compilare la cartella di oggi e poi rialzo gli occhi. Quando lo faccio, sbuffo con disappunto.
- Ma dovevi disegnare "Chiedo scusa alla mamma"! Cosa sarebbe questo bambino con la testa pasticciata? Se stai disegnando non ti devi distrarre e fare gli scarabocchi..era un bel disegno, giusto! Mi spieghi? - dico con durezza, mentre afferro la gomma.
Lui osserva il foglio mogio mogio.
- E va bene, scusami. Era un bimbo che voleva prendere i biscotti in alto, ma ha fatto cadere la scatola e gli è finita in testa e è tutto sporco, vedi? E allora vuole chiedere scusa alla mamma perchè non si fa..non si fa vedi? E va bene, e va bene scusa..dammi la gomma -.
E sono io ora che mi sento sporca. Non in testa ma dentro. Dentro. 
E mi viene voglia di piangere.

- No, sai? È una storia meravigliosa, quella che hai inventato. È bellissima e giusta. Non c'è mica bisogno della gomma, stai facendo bene. Continua, per piacere - dico a bassa voce, piena di vergogna. Aggiunge una mamma a braccia conserte e continua come se non gli avessi fatto nessun torto, perchè i bambini sono così. Puri.
O forse perchè sanno che gli adulti sono stupidi.
- È così perchè è arrabbiata - mi dice drammatizzando la scena, tutto divertito.

Bene, penso. È proprio successo, e io non me ne sono accorta.
Devo essere diventata grande, tutto d'un colpo.

È tanto triste.


18 aprile 2016

La fiera di San Pietro.

Ricordo una sera di quando ero piccola in cui desideravo a tutti i costi andare alla fiera in città.
Solo che in quel periodo - quando ancora la Tamoil non era diventata il mostro da rinchiudere e il mio papà ci lavorava ancora - c'erano sempre manutenzioni da fare nella raffineria, e lui tornava sempre ad orari improbabili.
La mamma mi disse che non poteva assicurarmi che papà sarebbe tornato in tempo per poter fare un giro sulle giostre.

Così mi misi sulla poltrona davanti alla tele, nella mia vecchia casa, e affondai la faccia nel tessuto del bracciolo. Non vedevo niente, solo nero.
E - non so per quale assurda ragione - mi convinsi che se avessi pensato a papà che in quell'istante usciva dalla raffineria, si dirigeva in macchina, accendeva il motore eccetera..beh: lui sarebbe tornato in tempo. O meglio: sapevo che l'avrei visto comparire nell'esatto istante in cui lo avrei immaginato abbassare la maniglia della porta di casa.
Ricordo di essere stata meticolosa, quella volta. Vidi le strade, calcolai i tempi di percorrenza, i semafori che l'avrebbero visto imprecare, la cenere della sua Marlboro che sarebbe caduta dal finestrino abbassato di due dita esatte.

Non so dire come, ma la magia funzionò.
Ebbi il tempo di immaginarlo salire le scale e bussare poichè la mamma aveva chiuso a chiave l'ingresso. Poi lui entrò davvero in casa. Alzai la testa dal bracciolo e mi sentii così felice e potente che per quell'istante mi dissi che davvero bastava credere a qualcosa, per farla succedere. Fu una serata meravigliosa, e tutto sapeva di estate che stava per iniziare, pantaloncini corti e caramelle.

Ci sono dei momenti, ora, in cui mi sembra di aver esaurito tutta la mia magia. Affondo la faccia nel cuscino, di notte, ma quello che ottengo è una sensazione di soffocamento. Forse è soltanto che non so che cosa immaginarmi; forse è che il futuro pare una massa globosa e astratta, che quello che voglio non è più così netto e definito, che ciò che resta della raffineria è ipoacusia, articolazioni andate e un deposito vuoto, che alla fiera non vado più da anni, le giostre le odio e la folla mi mette ansia. Forse è che dovrei ancora desiderare cose piccole, semplici, sempliciotte.

Qualcosa del tipo: andiamo a prendere i trasferelli e riempiamo le pagine dell'agenda? Nel frattempo succhiamo un lecca lecca alla cocacola, che se stiamo attenti e non ci facciamo prendere dalla foga, la cicca nascosta sotto rimane integra da masticare. Chi ce la fa vince il primo giro sull'altalena. 
Con l'altalena si può arrivare vicino al cielo, e - se qualcuno ci spinge poi - ancora più in alto, fino a toccare le nuvole, le stelle. In men che non si dica si può annusare lo spazio infinito, per tornare infine indietro ma diversi, sì, diversi da ora. 

Più belli, più puliti.

Più pieni.
Aldo Angelo Cortina _ Fiera di paese
È morto quando io sono nata. Peccato.

3 aprile 2016

Posti.

Ho tutta l'intenzione di segnarmi tutti i posti in cui vorrei andare.
Così, giusto perchè poi non mi si dica che non ho ambizioni o che non esprimo i miei desideri. Che poi non sono così estremi. Saranno quasi tutte destinazioni italiane o comunque vicine all'Italia. Il che mi fa anche pensare che sono un po' una sempliciotta. Ma va bene così. 
Magari lo faccio anche per riaprire questo post un giorno e depennare i numeretti (viva gli elenchi). E anche perchè a parlarne un po', le vacanze sembrano quasi più vicine e possibili.

1. Le Cinque Terre. In particolare voglio vedere per forza questo paesaggio proprio da questo punto di vista:

2. Firenze. Io non ho mai visto Firenze.

3. Il lago di Endine. Mi piace.

4. Marsiglia. Sarà che mi fa venire in mente il sapone, ma mi dà l'idea di un posto pulito.

5. Il Castello di Sammezzano, Reggello. Collegabile al punto 2, dato che si trova in provincia di Firenze. Ha questa stanza. No, dico:

6. Vari altri laghi (come idea il lago mi piace, se non si fosse capito). Ad esempio il lago di Misurina e quello di Braies.




7. La Foresta Nera. Ha un bel nome. E è un verdebosco.

8. Siviglia. Fa rima con Marsiglia, e quindi mi piace. Boh. Mi pare una ragione sufficiente.

Per ora basta, dai. Se no mi viene la depressione. Ciao.

26 marzo 2016

Il giardino di cemento.

È paradossalmente un libro che mi è piaciuto più recensire piuttosto che leggere, anche se devo ancora capire bene perché.
É una storia che ha a che fare con tutto ciò che scorre o meglio che si lascia scorrere; ah: e col cemento. Ma anche con qualcosa di morboso e sbagliato, anche se fatto (sarà poi possibile?) per ragioni apparentemente ragionevoli.



Ci sono Julie, Jack, Sue e Tom. Sono quattro fratelli e vivono in una casa enorme con i genitori. Il padre è un pignolo e burbero individuo che non tollera battute di alcun tipo relative al giardino (forse l'unica creatura che davvero sente sua) che cura con pazienza e precisione estreme. I ragazzi non pensano che lui li abbia mai amati veramente, o forse lo faceva in un tempo lontano.
Non lo fa, comunque, da quando un problema al cuore lo costringe al riposo quasi totale, e lui al giardino non può più badare. Le erbacce e gli insetti prendono il sopravvento su piante e fiori, così un giorno decide che sia meglio stendere una gigantesca colata di cemento e nascondere il suo eclatante fallimento.
Sarà proprio quella mattina assolata, mentre il sudore gli cola ai lati del viso, che infine verrà stroncato da un infarto definitivo, davanti agli occhi di Jack che lo sta aiutando.

Se già erano sorti dubbi sulla particolarità delle dinamiche famigliari in questa casa, sarà proprio a questo punto che ci si renderà conto che qualcosa non quadra. La morte del papà segnerà infatti un lento declino nella vita di tutti, complice l'estate in arrivo e quindi l'assenza di impegni e routines scolastiche.
Perchè è proprio ciò che avverrà fino alla conclusione della storia: si lascerà tutto scorrere. Così come deve andare.

Questo succede in primis alla mamma. Sembra che da sola non possa riuscire a portare avanti la famiglia. Si ammala infatti di un male che sa di desolazione e stanchezza infinite, e le medicine che continuamente assume non sembrano per nulla aiutarla. Morirà poco dopo nel suo letto, forse nel sonno - ipotizzano i bambini -, e a questo punto una soluzione la si dovrà trovare. Julie e Jack (i grandi del gruppo) analizzano la possibilità di essere separati ed inviati ad un orfanotrofio, ma forse si tratta ancora di bambini impauriti, o forse gli insegnamenti del padre hanno alla fine sortito effetto. Perchè la decisione che prendono è al tempo stesso semplice e morbosamente macchinosa.
Non c'è cosa brutta che una bella colata di cemento possa occultare, questo devono pensare; la madre finirà in un baule in cantina, murata in un parallelepipedo di legno ed immersa nella stessa sostanza che, in tempi non sospetti, l'aveva vista tanto contraria ai progetti del marito.
E si sa: quando si condivide un segreto di questo tipo, le cose non possono poi migliorare o volgersi in positivo. Ci si aspetta solo il peggio. Che arriverà, nonostante lo faccia con la lentezza dei giorni estivi e l'irrequietezza dell'adolescenza in cui tutti i fratelli - eccezion fatta forse per Tom - si dirigono precipitosamente.

Sì, perchè Jack - il personaggio di cui conosciamo il punto di vista nella storia - entrerà in pieno nella fase della conoscenza del proprio corpo, delle pulsioni sessuali, della ribellione nei confronti delle regole che la sorella maggiore gli impone non avendo il ruolo per farlo, del rifiuto dell'igiene personale, della violenza.
Sue si rintanerà in se stessa, nella sua stanza, nei libri che legge di continuo, nel diario segreto che sempre rivolge alla mamma morta, quasi fosse l'unico destinatario che possa comprendere i suoi drammi quotidiani.
Tom, abbandonato troppo presto da una madre chioccia ed essendo fragile e incerto sulle gambe, subirà una crisi di identità. Picchiato e preso in giro dai compagni a scuola, pretenderà prima di vestirsi ed atteggiarsi come una ragazza - "perchè le ragazze non vengono toccate" -  e poi di trasformarsi in un lattante, con tanto di culla e succhiotto.
Infine c'è Julie, la più grande. Julie che diventa ogni giorno più bella e vanitosa, che prende il sole in bikini su quel mare di cemento che è il loro giardino e spende i risparmi (quelli che la mamma prima della morte ha disposto che venissero versati mensilmente sul suo conto) in vestiti e scarpe. E ha un ragazzo, Derek. Un infallibile giocatore di biliardo che non impiegherà molto a mettere in fila e poi in buca le palle (in molti sensi) di questa famiglia.

Beh. A dire il vero un altro personaggio c'è. La casa.
Sì, perchè anche nel suo caso gli eventi appaiono scorrere come l'acqua impetuosa di un torrente in discesa, inarrestabili. Si trova intanto in un quartiere degradato, attorniato da grattacieli in rovina dove i ragazzacci della zona sono soliti appiccare incendi e sfogare la loro violenza sui detriti. I quattro bambini, poi, riescono solo saltuariamente a curarsi della casa. È enorme e infinitamente più noiosa rispetto alla loro nuova vita estiva dove non ci sono tempi, obblighi, regole o morale. Come dar loro torto?

Questo sfocia però in un mare di sporcizia che si accumula in cucina, in nugoli di mosche e insetti che ronzano attorno ai resti di cibo e, soprattutto, in un odore dolciastro, sempre più forte mentre i giorni passano. Quell'odore, scopriranno quasi subito, non ha niente a che fare con l'incuria in cui hanno abbandonato la casa.
Riguarda invece il loro piccolo segreto. Il baule in cantina, infatti, si è imbarcato sotto il peso del cemento in rottura e da una lunga crepa si intravede ciò che i ragazzi credevano sepolto per sempre.
Derek scoprirà tutto e, se in prima istanza risulterà essere complice della famiglia, quando Julie lo rifiuterà per sempre si vendicherà nel modo più ovvio.

È proprio la scena finale l'emblema di questa storia. I quattro ragazzi chiusi in una camera, proprio come succedeva una volta mentre i genitori litigavano; i corpi stretti, a contatto (nonostante adesso le pulsioni, le forme e i desideri siano diversi e, come già detto, morbosi), una vicinanza che sa di normalità e protezione.
E il mondo resterà fuori a scorrere come ha sempre fatto in balia di meccanismi lontani dalle loro teste bambine, che bambine non sono più ma non importa. Non sembrano adulti in quel momento Julie, Jack e Sue - figuriamoci Tom nel lettino di quando era piccolo -, non dopo il segreto che hanno condiviso, non dopo quell'estate. Non in quella stanza.
In mezzo alle parole sussurrate che sanno di perdono, condivisione, scuse e riavvicinamento, i lampeggianti blu fuori dalla finestra sembreranno solo una sfumatura del cielo dopo una giornata cattiva, una lunga giornata, che però alla sera mostra il bello di sè. E fa sorridere.