31 luglio 2013

Perché mordere una Mou?

"SOLI.
L'HAN FATTO DA SOLI, LO GIURO.
hANNO MORSO DA SOLI
E ADESSO...
NON POSSO PIU' PARLARE,
INCOLLATA, APPICCICATA.
INCASTRATA.
FREGATA.
DA DUE GRAMMI DI MOU."

Che uno si chiede perché. Perché i denti - da soli, se non si fosse capito - hanno deciso di farlo.
Sapevano - subdoli - che il tutto si sarebbe impiastricciato in bocca.
Cavo orale come prigione appiccicosa.
Ma. Ma.
L'hanno fatto lo stesso.
Hanno masticato la Mou. Che era mezz'ora che me la ciucciavo stando attenta a non farle toccare la corona dei denti.

E uno (a cazzo, tipo io) pensa ai casi della vita.
Quei casi in cui sai già ti impiastriccerai in maniera irreversibile (tipo con la mostarda, ma di quella parlerò altrove e in altri momenti). Ma lo fai. Ti ci butti. A tuffo. Altro che la Pellegrini, Dio bono.

Poi, per l'appunto, uno si chiede il perché. E i casi sono svariati:
- MASOCHISMO
- TORNACONTO PERSONALE
- INCOERENZA
- SOLITUDINE
- COSì A CAZZO
Io, se a qualcuno interessasse, faccio parte della prima e della terza situazione. Decisamente.
Anche della quinta, dai.

Nel frattempo la Mou si è sciolta, diciamo. Resta una patina tra smalto e gengiva, abbastanza fastidiosa. 
Ma tant'è.
Tant.
E'.

30 luglio 2013

Stereognosia

Apri e tocchi, come sempre.
Confini. Mostrameli, i miei confini.
Ettagono spigoloso con una lima in mano
per smussare. Smusso. Smusso.
Muso duro e smusso.
Lacrimo e smusso,
con l'orecchio caldo - il destro - 
perché il sinistro non ce la faceva più
a sentire.
Dita. Dentro. Tutte attorno. Fuori.
Dita di bimbo con le unghie mangiate.
Smussate. Bagnate, la colpa è mia.
Non dire "diversi", dì "in bisogno".
Bisognanti. 
Bi-sognanti.
Che lo siamo, noi.
Sognatori (due) che non sanno
che sogno prendere,
su quale saltare
per dormire tranquillo, tu
e per sapere chi sono, io.
Chi sono?
Dormi?
Ssst. E io smusso. Smusso e saltano via 
trucioli. 
Trucioli ovunque.

E tu tasta, che un nome lo saprai dare.
Folle esercizio di stereognosia.
Tocca.

29 luglio 2013

Il regalo


Aveva odiato quella bambola sin dal primo istante in cui ne aveva avvertito la presenza, quattro giorni prima. Anche senza averla vista, infatti, Ambra aveva aggrottato la fronte alla vista di quella borsa che la zia le aveva portato durante la sua festa di compleanno.
C’è un regalo per te!” le aveva detto con quel solito sorriso gentile al quale era estremamente difficile dire cattiverie. Così aveva accettato il dono e si era sporta per sbirciare dentro la borsa. Ciò che aveva visto andava oltre la sua immaginazione: era qualcosa di veramente spaventoso.

La bambola era stata fabbricata a mano, unendo pezzi di stoffa di recupero. Il volto, incredibilmente asimmetrico, era il risultato della cucitura forzata di almeno cinque parti differenti, con relative tinture improbabili. Proprio a livello del naso, inoltre, una cicatrice a punti rendeva arcigna l’espressione del fantoccio, e a nulla era valso quello sghiribizzo rossiccio che doveva fungere da bocca.
Per il vestito era stato scelto un colore che, nella sua mente di bambina, Ambra aveva identificato come “grigio dei temporali”, il che non aiutava certo a renderle simpatico quel pupazzetto.
Ma il dettaglio che più la impressionava, quello che le faceva avere degli incubi tremendi, erano i suoi artigli; non pensava di poterli chiamare altrimenti, quei bastoncini legnosi che proiettavano ombre lunghissime verso di lei al momento di addormentarsi.

Se la bambola – a cui non aveva chiaramente dato un nome – non era ancora stata dirottata verso la soffitta e sepolta per sempre sotto la polvere, era soltanto perché la mamma l’aveva guardata malissimo quando aveva accennato all’eventualità. La zia era stata gentile a portarle un regalo dall’Africa, e lei non lo avrebbe certo fatto scomparire così, per capriccio; come aveva apprezzato quel nuovo, tenero orsacchiotto donatole dalla nonna, si sarebbe abituata anche a lei, col tempo.  Pensandoci, ad Ambra questa cosa sembrava giusta; solo che quella bambola, proprio quella, le faceva una paura tremenda.

Per tre giorni l’aveva tenuta a fianco del letto, senza poter dormire sonni tranquilli. Poteva sopportare di averla accanto di giorno, quando la luce del sole la faceva sembrare quasi innocua, ma non certo dopo il tramonto; era arrivato quindi il momento di mostrarle la sua nuova casetta notturna: il cassettone dei giochi.
Quella sera Ambra richiuse soddisfatta il coperchio e fissò il gancio, assicurandosi che non si potesse aprire in nessuna maniera. Si addormentò di sasso.

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Finalmente!, pensò il pupazzo in un moto di soddisfazione. Era stata dura liberarsi, e gli ci era voluto tanto tempo, ma ora aveva campo libero! L’unico ostacolo che si frapponeva fra lui e la bambina era stato aggirato.
Ripensò a quegli occhioni a bottone, a quella faccia sfigurata e a quello straccetto sporco che la vestiva. Si era erta a difesa della marmocchia lottando strenuamente contro di lui, negli ultimi giorni.
Ma ora non avrebbe potuto fare nulla: relegata nel cassettone! Che smacco!

Era giunto il momento di agire: spiccò un balzo giù dalla mensola e trascinò le zampe per farsi sentire dalla bambola che – sconfitta – emise un mugugno soffocato dall’interno della sua prigione.

Tippy l’orsetto esultò definitivamente, mentre si preparava a spiccare un salto sul letto di Ambra.

28 luglio 2013

E' la pressione

La linea di confine è poco netta ultimamente.
Il piede va a destra sono con te, a sinistra sono sola.
Zigzagante confusione autoprodotta, ricercata.
Suona un allarme, e in sottofondo spiegano
a mamma come si dosano gli ingredienti per la pastella.
Vorrei pastellarmi io.
Immergermi e friggermi lievemente per creare un involucro in più.
Poi tu mangiami. 
Mangiami nella mia pastella fumante.
Pastella. Pastelle.
Pastello verde in un occhio. 
Verde oliva - ovvio - per non sprecare
un verde bosco.
Ti basta un occhio solo per vedere quanto sono imperfetta.
A me ne servono due perché in uno
tutti i tuoi difetti non ci stanno,
o ci stanno, ma stretti.
E se la pressione sale poi mi sanguina il naso a sinistra.
Sangue, una cascata.
Che mi dicono "è l'emozione".
No, dico io.

E' la pressione.

Iniziare.

25 anni.
Logopedista.
Mezza scrittrice.
Scrit- o -trice non fa differenza.
Complicata.
Canto.
Il verde lo preferisco.
Il verde bosco ancora di più.
Sa di vento.