21 dicembre 2014

Let it snow.

Nonna era una grande donna.
Mi ha insegnato ad ascoltare, a non giudicare mai senza sapere e nemmeno quando so, a profumare la casa di lavanda con le bombolette, a cavarmela da sola anche se non guido, che un taxi c'è sempre quando le corriere non passano e le gambe sono troppo stanche per macinare chilometri. 
Conosceva tante persone, nonna. Aveva sempre due parole per tutti e si sbatteva per gli altri. Era buona e sapeva le cose giuste da fare anche se sulla lista della spesa scriveva "candegina, prosiutto e ammorbidiente". E profumava di buono, per coinvolgermi in ciò che avrebbe potuto fare anche da sola mi dava in mano il pettine a conchiglia e mi diceva "ho qualche buco tra i boccoli dietro la testa? Riempilo tu!".
E mangiava pesche e albicocche prima di coricarsi a dormire, nel buio della cucina mentre guardavamo Don Camillo. E rideva di gusto, quando lo faceva.
Si sfregava le mani e le fedi doppie sull'anulare facevano un rumore che mi piaceva sentire. Aveva fazzoletti di tela a non finire, in ogni cassetto. Il pane che comprava lei è il più buono che io abbia mai mangiato, e ora non riesco a trovare lo stesso sapore.

Sono passati sette anni e ancora mi manca da morire, soprattutto vicino alle feste. Ha perso tante cose belle di me, cose di cui so che sarebbe orgogliosa. Avrei voluto mi vedesse diventare grande. Ma sono soddisfatta di ciò che sono, e questo mi basta per sapere che lo sarebbe anche lei.

Nonna aveva lo stesso potere e la stessa consistenza della neve. Delicata, impalpabile ma al tempo stesso concreta, mi faceva meravigliare e sorprendere come un bimbo che appiccica il naso al vetro congelato per ammirare i fiocchi. Era magica, era speciale. E mi manca tanto, un po' come la neve.


13 dicembre 2014

Regali.

Credo che dire a qualcuno "sei il mio posto sicuro", sia una delle cose più belle.
Sicuro vuol dire casa. Casa è amore, è protezione, è "insieme".
È "non sola". È "non sei così stramba da dover essere messa in quarantena".
È "ti capisco". È "sono qui". È tepore. 

Dover scegliere un oggetto, con un pacchetto e un biglietto, e un colore, una consistenza, una forma, una dimensione e una funzione che esprimano tutto questo nella maniera più vera possibile..è difficile. Punto.


Fare i seri.

6 dicembre 2014

Elenco di quindici #4

Tempo di quasi feste, tempo di desideri, di "e se..?", di viaggi con la fantasia.
E allora viaggiamo nel meraviglioso mondo delle ipotesi.
Di seguito, l'elenco di 15 delle cose che vorrei, vorrei tanto, dire a qualcuno. E libertà sia.

1. Domani sarò mestruata, quindi è meglio evitare di rompermi i coglioni oggi.
2. No, signora, non lavoriamo ancora di sabato per necessità varie. Lei invece da quando è costretta a praticare sesso anale?
3. Sì, ogni tanto vedo lucine negli occhi, mi si informicola una mano o metà faccia, il tutto seguito da emicranie lancinanti. È tanto simpatico sentirsi dire "che culo che vai a casa a dormire, anche io mi faccio venire un po' di mal di testa magari". Simpatico quanto soffrire di dissenteria il giorno di Natale.
4. Non ho una stracazzo di opinione in merito, sto dicendo sì sì perchè non avrei elementi per argomentare il mio dissenso.
5. Dovevo spaventarmi, raggelarmi? Sono - credimi - solo amareggiata che il mio responsabile mi consideri un pacco facilmente sostituibile e che consigli al "suo team" di cercare altrove se c'è malcontento.
6. Se appoggi cose l'una sopra l'altra sino a farne una torre, poi non sorprenderti se i mattoncini ti cadono sopra al mignolo del piede.
7. Non sorprenderti che un mattoncino che cade sul mignolo del piede faccia male.
8. Grazie per essere il mio motivo per sorridere; qualcuno ti considera semplice soluzione a molti problemi, ma non è così. Sei molto di più, sei problema e soluzione. Sei male e bene. Sei dolore e gioia. Sei vita.
9. Sono stufa di ascoltare, di leggere per altri, di scrivere per altri, di pensare per altri, di parlare per altri, di pazientare, di fare silenzio, di ingoiare rospi, di far finta di niente, di soprassedere, di accontentarmi, di mediare, di mantenere la calma, di non avere tempo, di respirare piano, di stringere i denti.
10. Non avrai mai il mio consenso. Non dopo che ho scoperto chi sei veramente, non dopo le idiozie, le manie, le cose inutili, le cattiverie, le macchinazioni che ho sentito uscire dalla tua bocca.
11. Ah. Non vuoi fare il puzzle delle principesse con me e chiudere la bocca quando dici "pa", continuando a dire invece "ha"? Benissimo, bambina: esci da questa stanza, vai in segreteria ed informa tua madre che hai deciso di rinunciare spontaneamente alla terapia contro il parere della logopedista. Vai, e apponi la tua firma in calce con la data corretta, grazie.
12. La tua voce mi fa piangere ed è qualcosa che va oltre la tristezza o la felicità, e non te lo so spiegare. E le tue canzoni ormai mi seguono e fanno da contorno alla mia vita e se dovessero sparire un giorno, dimmi: io - senza cornice - dove cazzo finirei?
13. Sogno di prendere colori tra le mani e spalmarli sulla faccia, ma non capisco perchè poi qualcuno dovrebbe sgridarmi. Perchè le persone sgridano i bambini quando si pitturano la faccia?
14. Difenditi da sola. Io l'ho sempre fatto, e quando sapevo non ce l'avrei fatta, ho evitato di mettermi nella situazione di dovermi difendere.
15. Natale, dove sei? Voglio le luci, il freddo, i campanelli, la neve, le guance rosse, le canzoncine, le ferie e i glitter colorati di cui rivesti ogni cosa senza preoccuparti di sporcare o dare fastidio, che a te nessuno poi ti sgrida se sporchi le facce della gente. Tu puoi.


30 novembre 2014

Sottigliezze.

Capisci di avere qualcosa di speciale in un luogo quando smetti di "andarci" semplicemente, e inizi invece a "tornarci".


21 novembre 2014

Etimologia.

Era dalle medie - avendo poi frequentato un Istituto Tecnico Industriale - che qualcuno non mi faceva riflettere seriamente sull'etimologia. Solitamente in mezzo a citazioni latine e greche mi sento più spaesata di un riccio sulla Paullese, però ammetto che la cosa ha un suo fascino e un suo perchè. Questo vale sempre, soprattutto quando una persona generalizza la curiosità per cose che riguardano tutto all'infuori del lavoro. Ovvio.

Stabilità. Ho pensato a questo. Ho pensato che chiunque mi chiedesse la cosa che bramo di più, quella sarebbe la stabilità. L'abilità di stare, etimologicamente parlando. Il che - riferito a me - fa un po' ridere.

Io sono quella che agisce, che REagisce, che si alza e va avanti, che si muove dalle stasi, che piuttosto di fermarsi un attimo si strangolerebbe con i lacci delle sue consumatissime All Star tarocche. 
Stabilità, abilità di stare. Mi rendo conto che solo ultimamente mi sto abituando a farlo, e manco è venuto da me, l'input. Coerente, al mio solito.

Stabile. Abile a stare, non ad andare. Andare dove, poi? Altrove, credo. In qualunque posto che non sia lo stesso di questo momento. In un pensiero che non sia quello formulato e sedimentato e al quale ci si sia abituati. Ah: in quest'ultimo caso, soprattutto, sono  sempre stata la regina delle fughe. Escapologia pura.

..quanto era inquietante, l'amico Houdini?
Ma, lo devo dire: la stabilità non sembra fare così schifo. Soprattutto quando deriva dalle cose giuste. È solo una novità, e io devo oltrepassare la paura che non mi consente di abituarmici (occorrerebbe usare il plurale, qui.."e dobbiamo oltrepassare la paura che non ci consente di abituarcici". Oddio. Si dice abituarcici? Ho dannatamente paura di no, ma oltrepasserò anche questa). 

Mica una ha bisogno di essere Houdini, dico.
Solo un po' più stabile. Mentalmente e non.

16 novembre 2014

Porto di mare: fermata Porto di mare.

Da quando ho abitato per un anno vicino alla fermata M3 "Lodi T.i.B.B" di Milano, ho scoperto che nomi delle stazioni della Metro mi affascinano.
Sarà iniziato tutto proprio perchè quel T.i.B.B. non sapevo - e non so ancora oggi - cosa volesse dire, ma indipendentemente da quello, l'idea che qualcuno abbia intitolato le tappe di una lunga marcia nella città mi suggerisce qualcosa di solenne e al tempo stesso genialmente fresco (non so se si capisca davvero).

La realtà è che credo ci si possa associare di tutto, a quei nomi. Credo che gli ideatori abbiano fatto qualcosa di meraviglioso. A loro modo, molte fermate hanno etichette evocative, potenti ecco.
Ieri, obbligata a un viaggio della speranza per un corso di formazione (pessima idea, essendo rincasata dopo le 21), riflettevo su "Porto di mare". Mi è sempre stata simpatica: era l'ultima fermata prima di Rogoredo ai tempi dell'università, e Rogoredo voleva dire "treno per tornare a casa". Mi ha sempre dato l'idea di una zona franca prima del confine da oltrepassare per essere felice. Chiamatemi scema, ma è così.

Ieri "Porto di mare" sembrava il nome più azzeccato, dato il nubifragio. Ma non solo.
Ho un po' questa sensazione, ultimamente, di essere una barchetta di carta in un mare in tempesta. Non trovo pace, ci sono venti che mi fanno sbandare di qua e di là e non mi sento sicura, perchè non ho ancore che mi fissano al fondale nè funi che mi legano al molo e che impediscano che mi perda in mare aperto. 
C'è mare ovunque, e io non so nuotare. E mi sento in pericolo, disorientata, e i venti che portano acqua salata mi graffiano la faccia. Ho la certezza che il mio "Porto di mare" sia da qualche parte qui vicino; lo sento che mi chiama, lui con il suo faro, ma il cielo nero e la burrasca mi rendono impossibile stabilire quale sia la direzione giusta da seguire.
Non ho voce perchè ho la gola malata, e mi è difficile anche chiedere aiuto e spiegarmi in queste condizioni. So che occorre farlo, però, che forse è necessario provare a parlare anche a costo di ingoiare un po' di acqua salata e sentire bruciare l'esofago.
Così non mollo. Vado avanti, perchè come so da sempre andare avanti è l'unica cosa che so fare bene davvero.

E così, nel frastuono umido di una metro che si sente solo se ci stai attento (non capita lo stesso con molte cose della vita, dico io?), una scopre che una rana salterina non è così diversa da una barchetta di carta che sussulta sulle onde. 


9 novembre 2014

Elenco di quindici #3

Dunque: ora vi spiego cosa capita. Capita che un personaggio a caso mi dica, in una situazione ben particolare: "Beh, questa frase che hai appena detto dovrebbe andare in uno dei tuoi famosi elenchi di 15. Facile farlo con gli altri e fare la figa: perchè non lo fai con le cazzate che dici tu?". Ebbene: se provocata io reagisco e accetto la sfida. Che non sia mai che La Marti si tiri indietro.

1. "Era a te che avevo già fatto il tè ai frutti rossi in casa?". Inutile spiegare che non fosse lui, l'uomo in questione.
2. "Ma dai: grosso non vuol dire grasso!". Inutile dire che l'interlocutore avesse problemi di peso.
3. "No, ma questo è proprio uno dei miei casi disperati ed impossibili: non potrei mai frequentarlo, tranquilla". E poi lo frequento.
4. "Come va oggi Ma?". Si chiamava Luca.
5. "Sì, bello quel racconto lì. Cos'è che volevi esattamente dire?".
6. "Mica mi dirai che sei uno che estate vuol dire mare, la domenica il calcio e il sabato sera discoteca fino alle 5? Ahahah!". Sì. Ah.
7. "Ma ti posso assicurare che non me l'hai mai detto, figurati!". Mi presenta le prove scritte.
8. "Va beh, ma è giusto: se devi andare a fare qualcosa vai e ci vediamo un altro giorno, senza problemi". Alle 20.32.
9. "Sì, ti prego vieni da me". Alle 21.04.
10. Alla domanda "Che fai?", "Mi faccio compagnia. DA SOLA". Perchè il sottinteso è sempre una carta vincente.
11. "Che palle. Mi sono rotta. Non ci vediamo da gennaio e tu ogni 3x2 spunti fuori come un fungo. Voglio dire: se ci pensi è assurdo". In altri casi, la chiarezza è tutto.
12. "Belli. Sono i baffi da attore porno anni '80. Belli.".
13. "Che faccia da rincoglionita quella". Quella, che dopo due secondi lui saluterà, sua amica da una vita.
14. "Ah, ma li metti davvero quei guanti per guidare?". Non era una candid camera.
15. "Ho detto più su!". Questa non la spiego.

Che non si dica che non ho fegato, miei cari.
Ce l'ho. Anche troppo.

4 novembre 2014

Discalculica.

Discalculica. Sì, perchè mi rendo conto di non contare più, di non sapere più contare. Almeno non nel senso comune del termine. 
Scrivo adocchiando un foglio e il 12 ottobre, che pare alla mia testa così lontano, scopro, in realtà è meno di un mese fa. 
E quanto possono essere difficili da contare 60 giorni? Un pugnetto di date e numeretti che si scombinano nella memoria per dare origine a qualcosa che non riesco a leggere neppure se mi metto a testa in giù. Seduta sul pavimento, le chiappe al freddo e la schiena appoggiata al calorifero.

Quante cose sono state omologate nelle nostre equivalenze? Quante prima di scoprire che un chilo son mille grammi e che a dire l'uno o l'altro si dice esattamente la stessa cosa? Quante equazioni e parentesi graffe a bordare i giorni che da miti si son fatti umidi e poi freddi? Quanti problemi da risolvere senza calcolatrice, che i calli alle dita fan troppo male per poter schiacciare tasti? Quanti scontrini senza resto, quello dallo alla vita, che altrimenti qualcosa in cambio lo chiede a me in persona, ed ora io son troppo ricca di una cosa sola, che non la voglio dare a nessuno. Che è mia, mia soltanto. Mia. 

E le percentuali? Quelle mi osservano sempre, da lontano. Chiedono le fette che io non ho mai saputo fare con precisione, perchè mi son sempre affidata al cuore per dare la giusta dimensione alle cose. Che "affetto" non è verbo ma nome, e nemmeno astratto, ultimamente. E nel palmo della mano riconosco i contorni di un cuore che batte ancora; roba poco scontata, tornando ai numeri.

E quindi discalculica, sì. Perchè non conto più, non nel senso canonico del termine. Con le monete non l'ho proprio mai saputo fare, e ora anche con i giorni. Non voglio più contare, non ne sono capace.
Voglio invece contare per qualcuno, qualcosa che non siano numeri, che non siano tabelle, che non siano ore e giorni e stagioni. Che se non ci sono più le mezze, di stagioni, allora inventiamoci le doppie, le triple, o le frazioni più piccine. 
Che ad attaccare etichette ai quadri, se ne preoccupano solo i commercianti o i compratori, ed io non ho nè esperienza nè soldi a sufficienza per essere uno di loro.

Io sono un'esperta di altro.
So tutto di quello che chiudi gli occhi la sera, e alla mattina li riapri stanca, consapevole di aver viaggiato tutta la notte.
Io sono un'esperta del sogno bambino.
Io sono un'esperta del sogno, bambino.

"Autumn elegy", L. Afremov

25 ottobre 2014

The others: il remake (SPOILER!!)

Avete presente "The others", con la Kidman?
Ecco, è stato recentemente girato un remake.
A casa mia. L'attrice principale è mia madre.

Sostanziali le differenze: la famiglia è sempre composta da 4 elementi, di cui due genitori e due figli (un maschio più piccolo - Fratellopaziente -, e La Marti). Il padre non è però deceduto al fronte e la casa in cui vivono (immersa nella nebbia della Bassa Padana anzichè della brughiera inglese) non è così esageratamente enorme.
Si aggiunga a tutto ciò un rinnovamento del focus attentivo che ruota attorno ai componenti domestici. Se, infatti, nella versione originale erano le porte a farla da padrone (ricordiamo la celeberrima battuta "Nessuna porta deve essere aperta prima che l'ultima sia stata chiusa, è così difficile da capire? Questa casa è come una nave e qui la luce deve essere controllata come se fosse acqua, aprendo e chiudendo le porte"), il remake viene costruito attorno ad un perno lievemente diverso: le finestre.

La trama, infine, racconta di questa madre fondamentalmente ossessionata dalla pratica di rinnovamento dell'aria all'interno delle stanze, di come la figlia (La Marti) lotti strenuamente inseguendola a destra e a manca per chiudere i vetri e di come alla fine (SPOILER!!!) quest'ultima si arrenda di fronte alla furia omicida del genitore.
Riporto soltanto, con criteri del tutto personali (in molti sensi) una battuta del film e la descrizione di una delle migliori scene del remake. Per la prima ho scelto: "Non sai che se non si cambia l'aria ogni tanto i germi e i batteri poi prolificano e qui diventa una fogna? Su, dai, anche se sono le 7.30 apro solo un paio di minuti". 
Per la scena, invece, vorrei sottolineare la profonda riflessione che suggerisce il passaggio in cui la figlia, ammalatasi di tonsillite e sofferente nel suo letto di dolore, estragga il piumone all'alba del 23 ottobre e vi si rintani sotto come un piccolo leprotto in cerca di rifugio per il letargo.

Indescrivibile. Solitamente non amo i remake, ma questo mi ha lasciata senza parole.
Lo consiglio, vale tutti i 7/8 euro del biglietto. Per chi fosse interessato al tour all'interno della casa, mi contatti privatamente. 



Inutile chiederlo, cocca: probabilmente è morta di polmonite.

E ricordate: stanotte allo scoccare del cambio dell'ora, è consigliabile un repentino cambio dell'aria. Per inaugurare l'inverno con una congestione paura. Buoni brividi a tutti!

20 ottobre 2014

Elenco di quindici #2

Mi accingo a restringere la categoria "esseri umani di sesso maschile" (presa peraltro in considerazione in questo post), riducendola a "esseri umani di sesso maschile praticanti la professione di Dottore di La Marti".
Tenete conto che tutto ciò che verrà riportato, oltre che essere veritiero al 100%, si è svolto in un'unica visita. Perchè - per chi non lo avesse ancora capito - l'ultima volta che mi sono ammalata avevo 5 anni e il mio dottore era un pediatra.

La Marti entra in sala d'attesa e si siede. Mancano una decina di minuti alle 8, il nulla più totale la circonda e le tonsille se potessero le darebbero dei pugni sul naso da tanto sono infiammate.
Cigolando, la porta si apre e appare lui. Big Doc. Saluta un'altra signora. Mi guarda.

1) LEI COSA CI FA QUI?
Oddio, vorrei dirgli, sembravano sedie tanto comode, da fuori, che sono entrata e mi pareva bello starmene qui un po'. Cosí,  per ravvivare l'ambiente. Invece lo osservo e mugulo un sommesso "eh, Dottore. Sto male".
2) AH, VA BENE. ALLORA ENTRI.
Non ricordavo che fosse un tipo così sospettoso, penso. Chissà..magari pensava gli volessi rifilare un Folletto, un'enciclopedia, un tappeto.
3) MA LEI È UNA PAZIENTE DEL COLLEGA MALATO?
Ehm..no. Sono una sua paziente, La Marti Vattelapesca...
4) ADESSO CONTROLLO. AH..SÌ, LA MARTI VATTELAPESCA. RESIDENTE IN VIA BLABLA NUMERO 26...?
Presente, signor maestro. Non mi sgridi.
5) MA LEI QUANTI ANNI HA?
Non glielo dirà il suo Supercomputer che sa il mio indirizzo? Ma pensa....26. Ne ho 26.
6) AH. VA BEH. MI RACCONTI..
Gli dico solo una cosa: le tonsille. Ho le tonsille disastrate. Me le sono guardata allo specchio e..
7) AH. ADESSO GUARDO SUBITO.
Estrae un astuccetto tanto carino da cui estrae un'altrettanto carina lucetta. Si avvicina, mi dice di girare la testa, di aprire le fauci e accenna un lento sì, col ciuffo che sballonzola.
8) SÌ, NON È UNA SITUAZIONE GRAVISSIMA MA I SUOI CORPI CAVERNOSI TONSILLARI SONO MOLTO DILATATI.... (blocco qui la frase ma poi continua).
La blocco perchè quando lo sento pronunciare "corpi cavernosi" mi immagino questa scena di me che reagisco tipo:

La amo.
9) ...DILATATI, PRONTI A RICEVERE...e non completa la frase.
Un telegramma, una mail, una micropopolazione di germi alieni, un ceffone sulla faccia al tuo posto? Che cosa, che cosa, Big Doc?
10) SAH, CHE COSA LE DEVO PRESCRIVERE? CE L'HA IN CASA L'ANTIBIOTICO?
Sì, di solito lo tengo fra la boccetta di cianuro, la semiautomatica e i candelotti di dinamite per uso domestico.
11) PER IL LAVORO FACCIAMO UNA SETTIMANETTA?
No, Dottore. Non sto morendo quindi non mi tappi in casa proprio ora. Io poi non mi ammalo mai...
12) AH ECCO PERCHÈ NON L'AVEVO MANCO RICONOSCIUTA AHAH!
Mai sentito che a tacere si fa meglio a volte? Nah, eh?
13) BENE, FACCIAMO CHE MI CHIAMA NEL CASO IN CUI DOVESSE STARE ANCORA COSÌ MALE?
Bravo, e mò ragioniamo.
14) MA ME LA DICA LA VERITÀ: DA QUANDO NON CI VEDIAMO IO E LEI?
Ehm. Dalla mia assunzione, quattro anni fa. Sono dovuta venire per chiedere un'impegnativa per gli esami del sangue. E chiudiamo in bellezza con:
15) AH, CAPISCO. VA BENE, ALLORA CI VEDIAMO PRESTO!

............MA ANCHE NO!

18 ottobre 2014

Io non mi ammalo mai.

Una potrebbe spendere parole per raccontare che a 5.20 si è svegliata con la laringe che pareva un secchio incastrato in pozzo e che non riusciva ad andare nè su nè giù.
Potrebbe dire che la testa pareva invece infilata in un forno.
Che pure il linfonodo gonfio del collo non ci voleva. 
Che 'fanculo è sabato e una di sabato non può stare male.
Che, stronzi, i bambini moccolosi l'hanno messa ko.
Che il dottore di sabato non c'è.
Che tanto succederà che non avrà febbre e si aggirerà zombica a fare quello che deve.
Che è incazzata nera.
Potrebbe dire tante cose, una.

Io dico solo: oh. Ma io non mi ammalo mai.
Significa che ho le difese basse.

Ciò mi preoccupa molto.
Ma molto eh.


14 ottobre 2014

E per ora ce l'ho.

Succede così. Che uno sente parecchie volte una canzone e le dà un significato, un senso - ecco -, poi tutto d'un tratto le cose cambiano.

Per esempio una tizia qualsiasi cammina costeggiando il Centro di Formazione Professionale e pensa "che due balle, ancora pochi passi e devo spegnere il lettore", perchè è praticamente arrivata a destinazione. Poi nelle cuffie passa quella precisa frase cantata - una frase sentita decine di volte, perchè non è stato il fato a metterla nella lista della riproduzione automatica, eheheheh no - e qualcosa BOM. Scatta. Cambia.
E quella tipa dice..va beh io, sono io - e che mi devo nascondere? -..ricomincio.

E io dico "ma pensa te, ma te pensa: che roba diversa quest'oggi mi è passata per la testa". Che è un pensiero dolce, no? Da favola che uno legge quando è bambino perchè solo da bambini certe favole hanno una loro credibilità.

L'avevo sempre preso come un concetto in negativo. Una mancanza. 
Qualcosa che si vorrebbe avere ma che non si ha. E quindi rosica, babbea.
Invece stamattina, davanti al CFP, ho avuto questa immagine. Una specie di bauletto, uno di quelli in cui potrebbe anche esserci una ballerina su un piedistallo girevole (non fatemi usare la parola carillon, mi ha sempre nauseata). Un bauletto, quindi, in cui riporre qualcosa di prezioso, che non è qualcosa che manca, che non si ha, di cui essere invidiosi, no. È un qualcosa che non appartiene alla nostra persona ma che si ha la fortuna di avere vicino - ogni tanto capita, anche se non si sa per quanto, ma va bene lo stesso -. Qualcosa che va riposto in un bauletto sonoro quando è stanco perchè non si sciupi, che va cullato sul cuore per rallentare i suoi battiti da grillo salterino, che va maneggiato con cura per non modificarne i suoni.

Mi è venuto da sorridere, anche se una volta entrata nell'ascensore ho dovuto spegnere la canzone. Mi è sembrato bello sentire quanto preziosa sia diventata quella frase, ora, per me. Significati nuovi, nuovi percorsi, nuovi orizzonti, nuovi confini, vento nuovo. E ordine. Ordine e gioia.


"Tu hai l'anima che io vorrei avere".
E per ora ce l'ho. Punto.

8 ottobre 2014

Idiozie.

Vi capita mai di avere così paura che qualcosa accada da provare a viverlo virtualmente, a far finta che sia accaduto, come per prepararvi psicologicamente all'eventualità?

A me capita, e anche spesso.
Mi faccio male da sola e penso a quelle che sarebbero le reazioni migliori da avere, le battute da pronunciare, gli stratagemmi per non crollare e le difese da mettere in atto . Un po' per avere una sorta di occasione per dirmi "tanto lo sapevo che sarebbe finita così", credo. Come se in quel caso si soffrisse meno.

Ultimamente la situazione virtuale è sempre la stessa, ed ogni volta mi trovo punto a capo col naso pieno, l'emicrania e gli occhi rossi.
Vorrei non avere bisogno di difese, vorrei non sapere cosa dire, cosa fare, come reagire. Vorrei che il passato mi condizionasse meno e che la mia fosse una tela bianca su cui nessuno avesse mai sputato nulla. Vorrei non dovermi chiedere se sia più difficile avere a che fare con qualcuno che ti dà motivi per allontanarti o che non te ne dà per niente. Se sia difficile avere a che fare con una come me che non dà motivi per allontanarsi e se siano giusti tutti questi anni a chiedermi se vado veramente bene. Se sia giusto pensare che sentirsi una seconda scelta sia un modo di vivere.

E va beh.

28 settembre 2014

Learnings #7

Quando si inizia a scrivere un post, si dovrebbero avere le idee chiare riguardo all'argomento su cui si vorrebbe scrivere.
Quando ciò non accade, e sembra che al cervello siano incollati tanti post it gialli con argomenti interessanti, allora io concludo che potrebbe essere il caso di creare un learnings nuovo.

Questo cappello introduttivo è presente solo perchè volevo avere un'occasione per scrivere "cappello introduttivo". Scusatemene.

1. Ci sono momenti in cui è giusto sedersi intorno ad un tavolo (o sopra a delle tegole ondulate che ti piastrano il culo) e parlare.
2. Ci sono momenti in cui chiedersi "e ora cosa faccio? Sono in ballo....ballo.".
3. Ci sono momenti che passano in fretta e il tempo che vola sa di sigaretta. Cit.
4. Ci sono momenti in cui prendere un treno e tornare indietro nel tempo è possibile, e spesso ti dici che avresti fatto Lingue e ora saresti da un'altra parte.
5. Ci sono momenti in cui schiacci il tasto rosso e parli e canti e senti la voglia di svuotarti come in un immenso bicchiere di vetro.
6. Ci sono momenti in cui tenti di impacchettare la paura in capitoli, uno per volta, che se te li leggo e ti piacciono e vuoi sapere come va a finire la storia non mi devi lasciare per molto tempo ancora. La sai la storia delle Mille e una notte? Ecco. Non mi abbandonare.
7. Ci sono momenti in cui parli di qualcosa anche se hai paura che a dirlo ad alta voce sembri stupido o possa scapparti dalle mani.
8. Ci sono momenti in cui le unghie più quadrate sono l'unica cosa che parrebbe avere contorni definiti, l'unico appiglio alla logica, alla razionalità.
9. Ci sono momenti in cui ti senti fiera delle tue capacità, che chiunque dica che non credi in te stessa non ti conosce abbastanza.
10. Ci sono momenti in cui pensi a chi non c'è più, a quanto abbia condizionato il tuo essere, il tuo fare, il tuo reagire.
11. Ci sono momenti in cui le occasioni vanno colte al volo, o almeno così sembra.
12. Ci sono momenti in cui ti accorgi che come al solito ti rifugi nelle frasi che iniziano nello stesso modo, una sorta di trampolino di lancio del pensiero, per non scioccare troppo chi legge.
13. Devo slegarmi da molti sovrapensieri, togliermi i fili ai polsi e vedere dove le mie mani libere mi porteranno.
14. Ho voglia di parlare. Ascoltare l'ho sempre fatto, lo faccio sempre.
15. Non ho rimpianti, sono solo affascinata di come l'affastellarsi delle vicende passate mi abbia portata qui, sempre a credere, a sperare, a VOLERE.
16. Voglio stare bene.
17. Sta cambiando qualcosa e io lo sto avvertendo. Rumore come di cose che vanno al loro posto, ma stavolta è per me.
18. Devo ringraziare. Ringraziare qualcosa, qualcuno. Grazie.

Naturalismo astratto. Mario Zampedroni.
Mi piaceva.

24 settembre 2014

Elenco di quindici #1

Le frasi più improbabili sentite pronunciare - o palesemente pensate - da esseri umani di sesso maschile:

1) Ma non possiamo provare, dico tentare, solo a scopare e nient'altro?

2) Vediamo cosa c'è in questo armadio.. (la prima volta che entrano in casa tua)

3) Tette. Tette. Tette. Tette.

4) No perché dico: mi lava, mi stira, mi fa da mangiare..perchè dovrei uscire di casa?

5) Voglio morirci, qui in mezzo (cit. Frase 3)

6) Oh, che domanda da quindicenneche mi hai fatto (alle 21.34)

7) Mi pitturi un'unghia di nero?(alle 23.04)

8) Ma sei sicura che vuoi stare con me?

9) Sono serio.


10) Venire da te solo per un caffè per me sarà molto difficile, però ci provo.

11) Gioco a calcetto, coltivo un orto e la domenica vado a messa.


12) Giuro che tengo le mani in tasca, non ti tocco!

13) Fidati di me.

14) (dopo mesi che uno lo usa) Ah, quel soprannome mi fa cagare.

15) La donna va capita.
Palle rotanti, venite a me.


21 settembre 2014

Para-paranoie

Unghie nella mano, due lune rosse che mi fissano e aprono la bocca. Respiro a cercare luce verde che non arriva, battito in gola e voglia di abbattere tutto e tutti con tutta me stessa e farmi male, quel male che so riesce a far tacere voci, che parlano anche con la musica in sottofondo e io odio. Perchè mi sento fragile, molle, stupida, nuda, fianco che svela, fianco che invita, fianco che chiama lancia e io muoio. Trafitta. Rido e non volto pagina. Rido e voglio picchiare. Rido e no: non rido. Piango fiumi e cerco un perchè, una soluzione plausibile, un orario che non mostri ciò che non voglio vedere. Attendere, l'attesa uccide. Molte cose uccidono. Molte cose. Uno più sei più due più otto. Diciassette. Sette. Pensa, perchè non pensi che io muoio? Perchè non pensi che ho bisogno? Qui immersa in un borotalco non mio e che mi pare di sentire labbra sul naso? Respiro che fa fatica ad entrare perchè pesa. Largo, slarga, infiltra, goccia che cade e tu non ci sei. E dico subito. Conto fino a dieci. E se è un mettermi alla prova muori. Ti uccido. Ci sono già io che mi metto alla prova ogni giorno e mi ammazzo. Sarà che non l'ho mai cercata la felicità.
Hanno tutti mostri sotto al letto.
Mostri sotto il letto.


15 settembre 2014

Sigmund è come il prezzemolo.

Allora: è iniziato settembre. Settembre è il mese delle novità, belle o brutte. A settembre succede sempre qualcosa che cambia le prospettive e pone di fronte a nuovi scenari.
Almeno capita a me.

Siccome mi pongo sempre questo problema del fatto che sono ermetica e poco immediata e che su questo blog magari non si capisce proprio dove voglio andare a parare certe volte, mi sono detta che sarebbe bello scendere nel concreto e condividere me in quanto me. Sticazzi questa mi piace, eheh.

Ho ricominciato a lavorare il lunedì lontana da casa, proprio come facevo una volta. Perciò dalla domenica al venerdì sera ho ripreso a fare l'eremita nel mio monolocale troppo arancione e ci sto da Dio, arancione a parte.
Uno scorcio di "Monolocale di La Marti". Bello, vè?
Stare lontana da casa mi pare solo un bene stavo scrivendo pene, Freud fai silenzio! , da una parte perchè mi permette di stare lontana da certi pensieri, dall'altra perchè posso permettermi di focalizzarmi su altri. Sigmund, ho detto di chiudere quella ciabatta!!

Credo di aver ribilanciato i rapporti che ho con determinate persone, in primis con me stessa. Convivo abbastanza bene con Martina, e nonostante abbia la lista delle sue fragilità scalpellata nel cuore, mi sembra di potermene fare una ragione. Si è sicuro aggiunta una lista di punti di forza, ecco. La bilancia è orizzontale. Per quella vera, di bilancia,  possiamo soprassedere.

Ci sono novità anche in campo piccolocuoreverde. Queste faccio un po' fatica a condividerle anche con il mio cervello, che tende a classificarle come "ohohoh. Potrebbe essere un ologramma", "Prova a darti un pizzicotto" e "Non starai mica iniziando a fantasticare?!". Ma ce la posso fare. Pian piano. Poi gli inizi son sempre belli.

Insomma. Questo è quanto. Di carne al fuoco ce n'è parecchia, bisogna solo stare attenti a non farla carbonizzare in fretta.
Auguro un buon nuovo inizio a tutti e tutte, ovviamente.
:)
Sigmund, basta: non voglio sapere a cosa assomigliano!!!

14 settembre 2014

Ice challenge (non bucket)

Piccolo albero innevato davanti ad una calda immensità.

Una richiesta piccola, sussurrata con voce pacata.

La parola un po' rotta dall'emozione, dalla paura, ma detta.

Credendo, sperando. Chiudendo gli occhi per non esplodere.


"Scioglimi".




30 agosto 2014

Dammi tre parole.

Tre cose. Ci sono tre cose che proprio fatico a tollerare.

1. La stupidità. Da non confondere con l'ignoranza: c'è gente ignorante che mi bagna il naso e che sa tenere testa agli altri con la forza della concretezza che possiede. Mia nonna era semianalfabeta, manco aveva finito le elementari. Ma era una buona persona e sapeva il fatto suo. Aveva un orto splendido e la sua casa profumava sempre di buono. Gli stupidi sono quelli che si fermano alla superficie delle cose, che non chiedono perchè è meglio cosí, che non si interessano perchè sono troppo concentrati ad essere stupidi. Non si riesce a parlare con gli stupidi, perchè non colgono il senso celato dietro alle parole, le note tra una riga e l'altra, i doppi sensi, l'ironia. Sono noiosi e mi fanno sentire frustrata.

2. L'ingiustizia. Ne vedo tanta, soprattutto col lavoro che faccio. L'esistenza di bambini infelici dovrebbe essere illegale. Dovrebbe essere bandita dalla realtà, lasciata solo per registi o scrittori che vogliano sbizzarrirsi con la fantasia in opere tristi. Ma, a dire il vero, l'ingiustizia non c'è solo nel mio lavoro; dilaga ovunque: nella vita di tutti i giorni, nella famiglia, nella politica. Ovunque. E spesso resta impunita, cosa che è ancora più ingiusta dell'ingiustizia. Resta nascosta, resta muta. Ingiustizia è vicolo cieco, è peso sul petto, boccone incastrato in gola. È quanto di più letale ci sia per il guizzo, l'inventiva, la voglia di cambiamento: se esiste ingiustizia, spesso molti tentativi, ipotizzabili vani, non vengono nemmeno fatti. Ingiustizia è ristagno.

3. La mancanza di rispetto. Mamma e papà me li hanno inculcati forti, i miei valori. Tra tutti, sceglierei il rispetto quale più importante. Rispetto è a volte tacere, o rendere il proprio intervento il più cauto possibile, perchè a volte ci sono equilibri che un piccolo atto poco pensato potrebbe ribaltare. Rispetto è ascoltare, capire e voglia di conoscere. Rispetto è mai giudicare, se non si sa. La mancanza di rispetto mi coglie impreparata, la maggior parte delle volte. Non sono una santa, ma sono quella che sorride alla cassiera e dice "Grazie, buona giornata", e "Oh, mi scusi", e "Permesso". Il rispetto è alla base di qualsiasi rapporto, futile o importante che sia. Senza rispetto non vale la pena di costruire castelli o riorganizzare la propria esistenza.

Di questi tempi ho incontrato parecchi stupidi, ho avuto a che fare con grosse ingiustizie (personali e non) e mancanze di rispetto.
Vogliate scusarmi se non sono proprio di un umore eccelso, se non mi va molto di uscire e incontrare nuova gente da conoscere, plausibilmente molto simpatica e gentile. Penso di avere finito la mia scorta di pazienza e di menefreghismo, per ora; diciamo che sono in fase di ricarica?
In realtà mi girano parecchio i coglioni.


21 agosto 2014

Learnings #6

1. Puoi diventare quello che vuoi.
2. Puoi diventare quello che vuoi, tranne un panda e molte altre cose.
3. Sono socievole.
4. Fare cose a caso può aiutare.
5. Fare cose a caso stanca.
6. Voglio un tatuaggio.
7. Fino a quando nessuno te la conferma spontaneamente, una cosa che sai non la sai davvero.
8. Otto viene dopo sette.
9. Si può dipendere da un profumo.
10. Non piango, no non piango stavolta.
11. "La nostra malattia è quella di esser romantici, di guardar bene nel cuore degli altri, di fare a sputi con gli angeli".
12. Due cerchietti possono guardarti fissi.
13. Posso farlo.
14. Vedere se stessi più grandi di una manciata di anni si può.
15. "Mi riduco a un pensatore, noioso e volgare".
16. Credo in me, la mia faccia non è importante.
17. Sei una faccia di cazzo, Uomodimerda. Lo sapevo.
18. "Sto bene" è facile da dire.
19. Avere una faccia credibile è facile, perchè (ripetiamo tutti insieme) "la mia faccia non è importante".
20. Verde. Voglio verde ovunque.
21. Mi batte forte il cuore. Che sia che son viva?
22. Fare le cose col cuore in mano dà sempre..SEMPRE..qualcosa in cambio.


16 agosto 2014

Acqua calda.

Ho ascoltato Zibba per un buon tre quarti d'ora, oggi. Una delle prime volte in cui parlava e non (solo) cantava.
L'intervistatore avrebbe avuto bisogno di logopedia, per quella S, ma lui no.
Oh..lui è semplicemente perfetto. Quasi supera Mary Poppins nei miei ideali.
Beh l'ho ascoltato e in quei 45 minuti ha detto varie cose, alcune intelligenti e altre simpatiche; e poi c'è stato quel punto dell'intervista in cui ha detto una cosa che dicono in molti. Chissà quante volte l'avrò sentita. Il punto sta nel fatto che o lui l'ha detta molto bene, oppure io era la prima volta che l'ascoltavo davvero. Che volevo ascoltarla davvero.


E gli chiede (Mister Serpente): "Raccontaci della canzone "Anche se fuori piove"..". E lui dice che beh, erano i primi giorni di una storia d'amore. Quelli in cui uno è preso e non gliene frega niente del resto. E alla fine quell'amore è finito.
E poi lui, stavolta di sua spontanea iniziativa, dice di "Margherita": "Per me era un grande amore. Lei mi lasciò dicendo che non aveva tempo e per me era assurdo. Cosa vuol dire non avere tempo per amare? Non aveva tempo per amare me e..peccato. Perchè io di amore gliene avrei dato".


E sta proprio qui il momento in cui io rifletto. Che: cazzo! Da due momenti di merda sono uscite delle cose meravigliose. Ok, probabilmente non rientreranno nei capolavori della storia degli anni duemila, ma sono canzoni che mi toccano, che mi hanno fatto e fanno piangere, più che apprezzabili per quanto mi riguarda.


E, penso io, che Amore è movimento. Amore è cambiamento. Dolore è movimento e cambiamento. Perchè siamo abituati a pensare al dolore come qualcosa che mummifica nella sua dirompenza, qualcosa per cui accasciarsi e fermarsi. Invece no: è da lì che nascono le cose più belle e che rappresentano i tentativi di spostarsi dall'empasse. L'arte, la creazione, il guizzo nascono dall'amore e dai suoi malfunzionamenti. È quando si cade che si può mostrare a tutti - in primis a se stessi - quanto si sia bravi a rimettersi in piedi. Succede anche per me, ora. È successo a me, allora. Probabilmente mi succederà ancora.

Perciò di che crucci si parla? Di quali difficoltà, problematiche? Tutte cazzate.
Gli artisti ci fanno arte, su questi problemi. Io ci pigio tasti e tanto mi basta.
E poi si va avanti.

Ps: che si fottano tutti. A Sanremo doveva vincere lui. Punto.

13 agosto 2014

Ommioddeo.

- Non te la faccio nemmeno, la domanda. Tanto ho l'assoluta certezza che mi dirai di no -.
- Oh, eddai! Mi incuriosisci, che ne sai? -.
- Lo so e basta -.
- Tu prova! -.
- Ok, ma ti dico che lo so. Ti andrebbe di farti incatenare a doppio lucchetto in una cassa di legno col coperchio inchiodato e farti gettare nell'oceano in prossimità di un branco di squali a digiuno da tre giorni? -.
- No. -.
- Che ti dicevo, I knew it -.


Porco diavolo oh. Sei un cazzo di indovino.

8 agosto 2014

Non parlare con gli sconosciuti.

Ecco: mi chiedo cosa ci spinga, a volte, a parlare con degli sconosciuti. A dare loro fiducia. Non ce la ricordiamo la mamma di quando eravamo piccoli? 
Non abbiamo interiorizzato la regola a cui non dovremmo sgarrare mai?
Roba che tipo uno accetta l'amicizia su facebook di uno dei giocatori online che fa parte della sua squadra nella piattaforma di gioco, ma non si fila di striscio (e anzi snobba pure) molti dei vecchi compagni di elementari e medie. 
Dico: singolare, no?

Mi è capitato. Probabilmente per quel vecchio fatto che è molto più facile aprirsi con chi non ti conosce da sempre, unito ad un pizzico di capacità nell'entrare in empatia con gli altri.
Quello che di certo so è che in casi come questi i più piccoli e marginali legami che in un rapporto reale non attirerebbero l'attenzione, vengono ingigantiti a dismisura. Qualcosa tipo "Ma scherzi, anche io e la mia compagnia di amici abbiamo fatto un Carnevale a tema cattivi Disney,  assurdo!", oppure "Naaaah, anche tu colazione con le Gocciole, grandissimo!!".
Cioè: ripigliamoci.

Poi no: ci sono quei casi in cui qualcosa di diverso c'è, ma non è sempre un bene coltivarlo. La strana convinzione del "che bello avere un amico che mi attende in ogni parte del mondo", mi pare troppo assimilabile a quel vecchio detto dei marinai con una puttana in ogni porto. E, tuttavia, ci si tenta sempre.
Oh, che alla fine non è poi tanto lontano dalle storie con quegli uomini improbabili, che il sistema di allarme nella testa fa scattare le sirene e urla "NOO! GUAI! GUAI IN VISTA, CASINI, NUBIFRAGI, CATASTROFI AMBIENTALI, ARMAGEDDON, APOCALISSE, BUCO NERO!". E tu lo sai, ahh se lo sai. Ma lo spegni e ti godi quel silenzio carico di elettricità statica, percorrendo un sentiero lastricato di buone intenzioni.

E poi son cazzi tuoi. 
O meglio: cazzi miei. 
A me gli sconosciuti piacciono.

23 luglio 2014

PER VOI.

Mi chiedo chi mai abbia inventato questa cosa dei regali, che non la capisco proprio fino in fondo. È un po' quel: "Complimentoni, sei rimasta viva un altro anno e in discrete condizioni, quindi ti meriti un premio". Va beh. Leviamoci il costume da sociofobiche e arriviamo al dunque. Volevo fare qualcosa di diverso, tipo scrivere delle cose belle che evidenzino quelli che per me sono i veri regali di tutti i giorni, non del 24 luglio.

Per me "regalo" è:

- la mia famiglia, sempre. Per prima. Fregancazzo del resto.
- fare un lavoro che amo e che odio, ma soprattutto amo;
- il saluto alle 5,30 che arriva mentre dormo ma al quale rispondo non appena riesco, carico di quei significati che hanno solo le cose belle e spontanee;
- aver imparato a scoprire cosa c'è dietro una facciata costruita a forza di strada percorsa, lacrime, orgoglio, "fa niente" e respiri lenti per non scoppiare, che a un muro è più facile pisciarci contro che restare a guardarne i graffiti;
- le lacrime in quegli occhioni neri neri di chi si mette nei tuoi panni e non immagina quanto prezioso diventi quell'istante, che condividere le difficoltà, parlare, parlare, parlare è il modo migliore per riuscire a trovare una soluzione;
- la memoria precisa di chi si ricorda di te, ha timore di perderti, non vuole che sia così, e te lo dice sempre a chiare lettere, senza sbavature di rimmel ma al massimo di cuore;
- la semplicità di chi guarda il cielo con gli occhi ben aperti, anche dietro a occhiali a specchio, e il naso che si muove quando la bocca dice "o";
- la voglia di condivisione di chi non si sente mai abbastanza ma si mette in gioco sempre, e ha occhi speciali per trovare negli angoli più improbabili immagini da immortalare come cartoline di piccola felicità;
- la voglia di fare progetti, di pensare al futuro, di vivere senza bisogno di ascoltare tutto ciò che viene detto, perchè una crosta bruciata da addentare aspetta sempre dietro l'angolo;
- la bellezza enorme, dirompente, violenta di chi ti mette in braccio il proprio cucciolo e si fida di te, delle tue braccia, della tua cautela, e ti lascia addosso solo vita nuova e speranza;
- i messaggi di chi non è mai lontano nonostante lo sia e la cui distanza non ha mai reso possibile l'incomprensione;
- la neve che è nonna e dono dal cielo;
- il caffè condiviso della macchinetta il mattino alle 7.36 circa;
- la delusione che ormai si tramuta in constatazione, perchè distanze inesistenti diventano voragini se non rifocillate di rocce e terra fresca per permettere il passaggio;
- le buone idee da scrivere, che se non ci arriva la realtà, la fantasia dà una mano grande;
- la voce per cantare, che a volte i silenzi si devono riempire con un po' di note, e non sempre le batterie dell'mp3 reggono;
- rendersi conto che son tanti regali, e sentirsi fortunate.

Si diventa grandi, perdincibacco.




9 giugno 2014

Viva i sinonimi.

Siccome riconosco di essere una persona alquanto scurrile e in questo periodo dell'anno la mia indole da scaricatrice di porto si palesa in tutta la sua disarmante loquacità, in questo post farò utilizzo del dizionario dei sinonimi. Si sa mai che qualche lettore ne uscisse scandalizzato.
L'argomento è questo: il caldo MAIALE.

Le vedo, quelle sculet..ancheggianti signorine dotate di occhialetti da sole all'ultima moda (quelli con la montatura di plastica colorata tendenti ad avere una forma nerdica, per intenderci), con le loro macchinette fotografiche marca "Riflesso", le loro gambe perfette adese agli shorts e le canottierine leggere.
Posso descrivervi le fotografie risultanti a memoria, tenendo gli occhi chiusi.

Luce altissima, a voler dimostrare quanto ca...diamine il sole di quest'oggi brucia la pelle, primo piano sul volto a voler mostrare quanto ca..perdirindindina i loro occhi siano azzurri (il 65% ha gli occhi azzurri), e quanto già si veda (vedete??vedete??) il segno dell'agognata abbronzatura.
Il restante 35% punterà chiaramente o sull'accecante biondaggine della capigliatura o sull'indicibile perfezione delle proprie gambe allungate sulla sdraio o sul tappetino in spiaggia.

Ebbene, vi dirò: quella che parla è la voce dell'invidia. Sì.
La mia carnagione fa riferimento a quella del conte Vlad (era fottu..dannatamente morto, nel caso vi sfuggisse), ponendosi fra le nuances del latte e dello yoghurt magro. Le rare volte in cui mi sottopongo a manciate di minuti (ho detto minuti, sì) sotto al sole senza protezione, il risultato è questo:
Che posa SESSSSSI.
Uno dice: va beh, durante il giorno ti conviene stare rinchiusa nel tuo bunker personale o cambiare lato della strada a seconda di dove si posizioni il sole proiettando la sua ombra. Va beh, dai. Di sera però è piacevole uscire con la libertà di non indossare sciarpe e cappottoni.
NO: NON AVETE CAPITO. Da recenti studi scientifici è stato accertato che la mia personale qualità di sangue è la più apprezzata da zanzare ed insetti simili. Ergo, evitando l'effetto Gabibbo sopracitato, il risultato che in ogni caso si andrebbe ad ottenere sarebbe questo:
Oh. Cielo.
Che si parli di effetto Gabibbo o di effetto Pimpa, diciamolo in maniera univoca: il risultato fa ca..evacuare.
Per cui non ci sarebbe degna conclusione per questo post se non dicessi, dizionario dei sinonimi alla mano e senza incespicarmi manco una volta: "Cara, irresistibilmente affascinante estate: mi stai sul pene".

24 maggio 2014

Tiriamo le conclusioni.

La logica mi porterebbe a pensare che dovrei avere raggiunto una sorta di equilibrio emotivo che mi consenta di stare generalmente bene, inteso come tendente al "ehi: bene davvero, non sto scherzando".

Nella realtà dei fatti, questo è l'elenco delle cose per cui ultimamente mi metto a piangere:
- vignette idiote che si condividono su facebook;
- scoprire di non avere tempo per fare la ceretta alle gambe con le strisce depilatorie (ve le ricordate le strisce?) al giovedì sera;
- scoprire che magicamente, durante la notte, la mia agenda di pazienti disastrati si è allungata ulteriormente prevedendo bambinetti ancora più disastrati*
- *scoprire che per bambini ancora più disastrati si intendono sottospecie umane di diavoletti della Tazmania e/o discendenti diretti e altrettanto vivaci di Otzi;
Otzi.
- occasioni in cui è necessario fare buona impressione e/o mostrare la mia inesistente inclinazione per la socialità;
- vedere persone che oltrepassano la soglia della porta dopo anni (secoli, addirittura) e, non dicendo nulla, nei dialoghi silenziosi tra di voi si odono le parole "sì, lo so: siamo le uniche coglione che resteranno per sempre qui";
- i treni in ritardo, poco tempo per fare le cose e corse da fare, possedendo la stessa attitudine sportiva di un pachiderma. Morto, s'intende;
- la previsione di un'Apocalisse in arrivo;
- la gente intorno che irradia beatitudine per l'estate che arriva. Cazzo ti ridi? Fa caldo, si suda, si puzza, sarà il mio compleanno e io avrò le solite due settimane di ferie in agosto in cui compatirò me stessa e la mia vita;
- l'essere abbastanza o il non esserlo;
- le sconfitte e le conseguenti testate al tavolo che non si possono (più) dare;
- la foto uscita di merda;

- Lo smalto che non è simmetrico tra le due mani, ma non sei ambidestra e quello sulla destra fa schifo ma la destra è la mano che usi di più e quindi FAFFANBAGNO.

Tirando le conclusioni, diciamolo: sono una bimbaminkia di merda.
Andrò a piangere in bagno e mi farò un selfie.