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9 settembre 2021

Nascondino.

Ero calma mentre parlavo con V., il mio psicologo, stamattina. Ero appoggiata allo schienale della sedia e avevo le gambe incrociate, cosa per cui mi avrebbe ripresa, se solo lo avesse intuito. Ma lo schermo mi inquadra dal petto in su, di solito.

Mi ha sentita raccontare tante cose, poi ad un certo punto ha chiesto se avessi mai giocato a nascondino, da piccola, perché a volte è come quando batti la mano su "tana libera tutti". Ci sono posti sicuri, posti ai quali sappiamo di appartenere; tane, appunto.

Possederne uno (o più di uno) non è scontato. C'è chi non si sente a casa in nessun posto. Mai. 
Quindi sapere che c'è un luogo dove siamo liberi di tornare e che ci permetterà di sentirci bene è una fortuna. Sapere che ci sono le nostre persone, lì, è una fortuna. Poterci riparare, salvare, riposare, fermare lì, è una fortuna.

Indipendentemente dal fatto che V. mette le cose sempre in un modo in cui non si può non essere concordi con lui, stavolta (come se le altre volte non finisse mai così) ho anche pianto molto. È un po' come aver girato pagina e cambiato capitolo, e mi fa strano. 
Eppure quella tana lì non è stata coperta affatto dalla cellulosa, perché è uscita dal libro e mi si è posizionata dentro.

E fa bene.
Fa bene saperlo.
Sentirlo.



21 novembre 2018

Colpo di coda.

No, niente.
Questo post fa parte del mio "FARE". Che uno si domanda: fare cosa? Cosa fa? Beh. Fa tante cose.

1. Fa freddo.
2. Fa niente, a me il freddo garba proprio.
3. Fa male, quando qualcuno torna e mette nell'orecchio parole dimenticate.
4. Fa incazzare, quando - porcaccialamiseria - devi finire di lavorare prima e finisci comunque dopo e pure male. Oh.
5. Fa schifo la barbabietola. Sa di erba zuccherata al sentore di acqua di bollitura del cavolfiore. Però ha un colore interessante, mi ci farò la tinta.
6. Fa strano sentire la propria voce cantare in modo potente. #nellavitamai
7. Fa piacere tornare in una casa calduccia col temporale fuori e ticchettacchettà sui lucernari.
8. Fa 4. Due più due fa quattro.
9. Fa 30. 2018 meno 1988 fa trenta. Cioè ciao.
10. Fa sospirare, tutto questo. Sospiro e penso che non ce la farò mai, dopotutto. Sono sempre la ragazzina con le gambe storte che cerca il posto esterno della fila, per escludersi un po' già da sola. Per defilarsi senza far scomodare nessuno. Per dare un'occhio al gruppo, alla massa, avere tutto sotto controllo. Per mantenere un profilo basso. Per essere notata solo dal ragazzino strambo che osserva una mosca volare e la vede posarsi sul mio banco, vicino alla mia mano. Vedrà che le mie dita tamburellano, infastidite dal tempo. Vedrà il polso attaccato alla mano, la felpa ripiegata a livello del gomito. I miei capelli un po' viola che si allungano sulle spalle. Probabilmente mi vedrà commossa per quel pensiero che improvvisamente mi passa per la mente, come una nuvola che, per prima, oscura il cielo di ottobre e non ne conosce il motivo. Mi guarderà e penserà che sono bella, nel mio modo strano e invisibile, e giusto, e prezioso. Forse un giorno troverà anche il coraggio di dirmelo. Sí, lo troverà.


11. Fa strano; farà strano, sì. Io a quel "Sei bella" non crederò davvero mai.

29 ottobre 2016

Tesori.

Io non so cosa voglia dire essere genitori, però so di sicuro che per essere bravi ad esserlo, occorre conoscere i propri figli nelle loro essenze più pure.

Nella mia vita è qualcosa che ha a che fare con tanti aspetti.
Volermi bene, per esempio, anche se l'ultima volta che l'ho abbracciata - e maldestramente, anche - è stata quando è morta la prozia, 4 anni fa.
Apprezzarmi anche quando la sera al telefono, incazzata come sono con il mondo, le rispondo a monosillabi e se mi dice "ti voglio bene" (sempre lei, per prima), ribatto svogliata "anche io", sforzandomi di aggiungere le successive tre parole come eco alle sue, per non farla rimanere male.
È esserci anche se nel tragitto Crema - Cremona o viceversa in macchina io non spiaccichi parola eppure lui riesca a capire se son stanca, arrabbiata o triste e non mi dica nulla in aggiunta al solito "mangiamo una caramella alla menta?", perchè sa che star zitta è il mio modo di guarire.
È decidere di coccolarmi con gli sguardi anzichè con le braccia, perchè sa che odio le persone che mi toccano, mi baciano sulle guance, mi cingono le spalle o mi accarezzano, perchè sono cose che solo i bambini e l'Amore possono fare.

Non condannano, mamma e papà, il senso di inutilità che mi fa annaspare dopo un'uscita con le persone "normali", cosa che capita nella vita di tutti, prima o poi.
Intendo quelle che si baciano sulle guance, appunto, e discutono dei viaggi, dei libri, dell'attualità, del tempo balordo, delle foto belle, mentre io sono impegnata ad osservare le dita del cameriere che scorrono sui bordi dei piatti e mi chiedo come faccia a portarne quattro in equilibrio senza farli cadere. 
Le persone che snocciolano aneddoti come se non ci fosse un domani mentre io mi ripeto nella testa che devo tenere la schiena dritta e le spalle distanziate e perdo inevitabilmente il filo del discorso. 
Di solito sono le stesse che sono infastidite dai miei silenzi, le mie ancore di salvezza alla sopravvivenza. 

La verità è che passare la vita sperando mi capiscano è un sacco faticoso.
E io faccio tanti tentativi per cercare di non deludere le aspettative.
Per esempio, mi sono obbligata a crescere e ora ho un paio di stivali alti, metto vestiti con le gonne e ho un lavoro di responsabilità. 
Dentro, però - dentro, dico - sono ancora quella che si stupisce dell'approvazione degli altri tanto quanto dell'aria novembrina che taglia le guance al mattino presto. Quella che crede nel Natale magico. 
Quella che i sassolini colorati nell'orto della nonna erano pietre preziose. 
Ecco, i sassolini che, se li raccoglievo con la paletta e una volta filtrati col setaccio, finivano nel secchiello di plastica, non nel portafoglio.

Perchè era lì - lì, sì! -. 
Era lì che andavano i veri tesori.


30 aprile 2016

Pillole di logo (33)

Da quando ha iniziato il suo percorso terapeutico gli obiettivi logopedici raggiunti sono stati pochi. Tuttavia, quelli personali, comportamentali, umani - mi dico - sono stati immensi.
Non lo vedo sorridere come fa ultimamente da mai. E se il mio contributo rispetto a questo progresso si situasse attorno allo 0,001% penso che sarebbe comunque un qualcosa di cui potermi ritenere soddisfatta.

Resta il fatto che lui è un bambino capace di distrarsi in una stanza vuota e bianca, magari osservando il pulviscolo atmosferico raggiunto da un fugace raggio di sole. Che, peraltro, in questa giornata che sa di autunno non c'è manco per sbaglio.
Stiamo lavorando su lettura e comprensione di frasi brevi brevi. Ma molto brevi, se non si fosse inteso. In pratica lui deve leggere e, una volta compreso il concetto, lo deve rappresentare con un disegno. 
Lui diventerà un fumettista da grande. Io lo penso davvero.

Arranca sulle parole che gli ho scritto in stampato maiuscolo.
- "CI..no..CHI E DO..SSSS CUUU SA..A..LA..MAMMA!" - dice.
- Bravo! "Chiedo scusa alla mamma". Dai, prova a disegnare nel rettangolo sotto -.
Vedo che si ferma a pensare, e forse si perde nel suo rimuginare infinito.
- Allora!! Oggi ci stiamo perdendo in un bicchiere d'acquaaaa! - gli dico scuotendo la mia bottiglietta di plastica vicino all'orecchio. Lui si mette a ridere, poi prende la matita e si mette a tracciare il disegno.

Inizio a compilare la cartella di oggi e poi rialzo gli occhi. Quando lo faccio, sbuffo con disappunto.
- Ma dovevi disegnare "Chiedo scusa alla mamma"! Cosa sarebbe questo bambino con la testa pasticciata? Se stai disegnando non ti devi distrarre e fare gli scarabocchi..era un bel disegno, giusto! Mi spieghi? - dico con durezza, mentre afferro la gomma.
Lui osserva il foglio mogio mogio.
- E va bene, scusami. Era un bimbo che voleva prendere i biscotti in alto, ma ha fatto cadere la scatola e gli è finita in testa e è tutto sporco, vedi? E allora vuole chiedere scusa alla mamma perchè non si fa..non si fa vedi? E va bene, e va bene scusa..dammi la gomma -.
E sono io ora che mi sento sporca. Non in testa ma dentro. Dentro. 
E mi viene voglia di piangere.

- No, sai? È una storia meravigliosa, quella che hai inventato. È bellissima e giusta. Non c'è mica bisogno della gomma, stai facendo bene. Continua, per piacere - dico a bassa voce, piena di vergogna. Aggiunge una mamma a braccia conserte e continua come se non gli avessi fatto nessun torto, perchè i bambini sono così. Puri.
O forse perchè sanno che gli adulti sono stupidi.
- È così perchè è arrabbiata - mi dice drammatizzando la scena, tutto divertito.

Bene, penso. È proprio successo, e io non me ne sono accorta.
Devo essere diventata grande, tutto d'un colpo.

È tanto triste.


18 aprile 2016

La fiera di San Pietro.

Ricordo una sera di quando ero piccola in cui desideravo a tutti i costi andare alla fiera in città.
Solo che in quel periodo - quando ancora la Tamoil non era diventata il mostro da rinchiudere e il mio papà ci lavorava ancora - c'erano sempre manutenzioni da fare nella raffineria, e lui tornava sempre ad orari improbabili.
La mamma mi disse che non poteva assicurarmi che papà sarebbe tornato in tempo per poter fare un giro sulle giostre.

Così mi misi sulla poltrona davanti alla tele, nella mia vecchia casa, e affondai la faccia nel tessuto del bracciolo. Non vedevo niente, solo nero.
E - non so per quale assurda ragione - mi convinsi che se avessi pensato a papà che in quell'istante usciva dalla raffineria, si dirigeva in macchina, accendeva il motore eccetera..beh: lui sarebbe tornato in tempo. O meglio: sapevo che l'avrei visto comparire nell'esatto istante in cui lo avrei immaginato abbassare la maniglia della porta di casa.
Ricordo di essere stata meticolosa, quella volta. Vidi le strade, calcolai i tempi di percorrenza, i semafori che l'avrebbero visto imprecare, la cenere della sua Marlboro che sarebbe caduta dal finestrino abbassato di due dita esatte.

Non so dire come, ma la magia funzionò.
Ebbi il tempo di immaginarlo salire le scale e bussare poichè la mamma aveva chiuso a chiave l'ingresso. Poi lui entrò davvero in casa. Alzai la testa dal bracciolo e mi sentii così felice e potente che per quell'istante mi dissi che davvero bastava credere a qualcosa, per farla succedere. Fu una serata meravigliosa, e tutto sapeva di estate che stava per iniziare, pantaloncini corti e caramelle.

Ci sono dei momenti, ora, in cui mi sembra di aver esaurito tutta la mia magia. Affondo la faccia nel cuscino, di notte, ma quello che ottengo è una sensazione di soffocamento. Forse è soltanto che non so che cosa immaginarmi; forse è che il futuro pare una massa globosa e astratta, che quello che voglio non è più così netto e definito, che ciò che resta della raffineria è ipoacusia, articolazioni andate e un deposito vuoto, che alla fiera non vado più da anni, le giostre le odio e la folla mi mette ansia. Forse è che dovrei ancora desiderare cose piccole, semplici, sempliciotte.

Qualcosa del tipo: andiamo a prendere i trasferelli e riempiamo le pagine dell'agenda? Nel frattempo succhiamo un lecca lecca alla cocacola, che se stiamo attenti e non ci facciamo prendere dalla foga, la cicca nascosta sotto rimane integra da masticare. Chi ce la fa vince il primo giro sull'altalena. 
Con l'altalena si può arrivare vicino al cielo, e - se qualcuno ci spinge poi - ancora più in alto, fino a toccare le nuvole, le stelle. In men che non si dica si può annusare lo spazio infinito, per tornare infine indietro ma diversi, sì, diversi da ora. 

Più belli, più puliti.

Più pieni.
Aldo Angelo Cortina _ Fiera di paese
È morto quando io sono nata. Peccato.

15 novembre 2015

Sembra di metallo.

Risuonano.


Chiedo scusa per la faccia.
D'altro canto è la mia, che mi aspettavo?

2 aprile 2015

Tama 'n lumagot.

Forse quella persona, tempo fa, aveva ragione.
Aveva ragione a dire che io coi poco normali ci sto meglio che coi normali.
Qui si aprivano le diatribe sul "cosa è normale e cosa no", ma se uno fa poco il sofisticato, allora, va bene e si capisce.

Passa il tempo e io continuo a non sapere come comportarmi con i normali.
Continuo a non essere in grado di starci in mezzo senza sentirmi una lumaca. Sì, una lumaca. Che se mi toccano le antenne sparisco nel guscio che - per carità - sarà anche un bel guscio, ma è pur sempre poco comunicativo.

Ringrazio i masseteri, che sono ancora in grado di digrignarsi e serrarsi per non far spuntare fuori lacrime salate, concentro tutta la tensione nei denti, nei molari, e poi scoppio a piangere perchè non ce la faccio più a mordermi. E continuo fino a tardi, quando ormai il letto mica è più tiepido, e le mie braccia da camionista non mi stringono a sufficienza il torace.

Come una lumaca.
E non so più stare con me stessa. E ingoio discorsi che si dovrebbero fare.
E vorrei sembrare normale, in grado, competente, simpatica, carina, perfetta.
E pensare che invece so impostare una CI, so stringere una mano e comunicare una disabilità intellettiva, so far stare 10 persone in 9 stanze, so insegnare la tabellina del nove con le dita, so correggere test, so soffiare il naso a qualcuno senza smoccolarmi le mani, so piangere perchè la tristezza non è solo adulta e l'ingiustizia non è nel mondo, ma è appena fuori dal pianerottolo.

Non sono mai stata in giro per il mondo, approposito. Non ho assaggiato l'acqua di mare, non fumo, non bevo, non mi drogo. Non ho preso un aereo. Lascio le chiavi di casa nella toppa, quando esco al mattino. Perdo carta d'identità e codice fiscale, la testa l'ho ancora attaccata al collo, fortuna vuole.

Come una lumaca. Io sono una lumaca.
Senza bavetta, però.

Dai, è carina.

1 gennaio 2015

Mica tutti han dentro.. #2

Mi ritrovo a pensare al mercurio (quello di cui avevo parlato qui secoli fa).
La mia zavorra, quella che si fa sentire ora più ora meno, quella sfera magica che è tale perchè è meraviglia liquida e metallica da osservare, ma il cui peso specifico è alto, ergo pesante da trasportare.

Il mio mercurio è vita, se ci rifletto. Bella, brutta, metà e metà; a volte la vita - appunto - scorre senza che tu te ne accorga, altre volte arranca come ruota dentata arrugginita in un meccanismo complesso. Ma fa parte di noi. Ci camminiamo, ci respiriamo, ci dormiamo insieme: la vita è qualcosa che non solo ci sta alle calcagna, ma impregna ogni nostra singola cellula. Ci colma.

In questo momento, ecco, il mio pezzo di mercurio - la mia vita - risulta frammentata in tante piccole unità, sferette del diametro di pochi millimetri. Queste si muovono in me ad una velocità pazzesca, quasi vorticando. Non capisco nulla. Vado avanti perchè le gambe reggono, e vorrei che qualcuno si offrisse in qualche modo di attirare magneticamente il mercurio, renderlo meno instabile. Non ho certezze, solo pezzi di vita che mi passano sotto il naso facendomi sentire diverse fragranze. E  ho idee, nuove possibilità, attimi tiepidi che scaldano il cuore, gocce di ghiaccio a gelarmi, silenzi in cui mi sento inutile, spiegazioni snocciolate a lacrime, voglia di futuro che mi fa...

Paura. Ho paura.


8 ottobre 2014

Idiozie.

Vi capita mai di avere così paura che qualcosa accada da provare a viverlo virtualmente, a far finta che sia accaduto, come per prepararvi psicologicamente all'eventualità?

A me capita, e anche spesso.
Mi faccio male da sola e penso a quelle che sarebbero le reazioni migliori da avere, le battute da pronunciare, gli stratagemmi per non crollare e le difese da mettere in atto . Un po' per avere una sorta di occasione per dirmi "tanto lo sapevo che sarebbe finita così", credo. Come se in quel caso si soffrisse meno.

Ultimamente la situazione virtuale è sempre la stessa, ed ogni volta mi trovo punto a capo col naso pieno, l'emicrania e gli occhi rossi.
Vorrei non avere bisogno di difese, vorrei non sapere cosa dire, cosa fare, come reagire. Vorrei che il passato mi condizionasse meno e che la mia fosse una tela bianca su cui nessuno avesse mai sputato nulla. Vorrei non dovermi chiedere se sia più difficile avere a che fare con qualcuno che ti dà motivi per allontanarti o che non te ne dà per niente. Se sia difficile avere a che fare con una come me che non dà motivi per allontanarsi e se siano giusti tutti questi anni a chiedermi se vado veramente bene. Se sia giusto pensare che sentirsi una seconda scelta sia un modo di vivere.

E va beh.

19 aprile 2014

Game Over.

- Vede, mamma? Sarebbe come - facendo un esempio assurdo ed esagerato - se mi mettessi seduta davanti a un bimbo senza mani e gli chiedessi di prendere in mano una matita e scrivere -.

Rifletto su questa cosa che ho detto alla mamma di un mio pazientino, non più tardi di tre giorni fa.
La mamma ha sorriso ed annuito. D'accordo sul fatto di non pretendere certo troppo poco, ma nemmeno troppo dal suo bambino. Pretendere il meglio che possa darci con le sue potenzialità. Perché è il giusto. Perché il troppo farebbe male a lui e a noi.

E, tre giorni dopo, ci rifletto.
Perché predico bene e razzolo male.
Mi rendo conto di cullarmi in idealismo e utopia (forse); mi rendo conto di pretendere dalle persone ciò che molteplici volte hanno dimostrato di non sapermi dare. Di starci male a livello unidirezionale. Di farmi condizionare la giornata sulla base di queste richieste inesaudite.
E mi sento proprio stupida, perché sapevo di combattere una guerra persa in partenza.

Soprattutto a livello non pratico ma emotivo, sentimentale e intangibile, non si può chiedere a nessuno quello che non ha da dare. Un sentimento non si può obbligare, si può solo provare; e se non c'è, beh: non c'è.
Non ci si può restare male una, due, tre volte nel corso degli anni. Bisogna alzare bandiera bianca e affermare di avere almeno tentato di dare il proprio massimo perché emergesse.
Se non c'è è perché non doveva esserci, punto.

Occorre mettere in tasca l'orgoglio, smettere di dare capocciate ad un muro che non può crollare, medicarsi i bernoccoli, attorcigliarsi in uno strato protettivo in più, che non faccia notare la sconfitta e il proprio esserci rimasta male.
Ogni volta mi sorprendo della mia fragilità. Di quanto la cocciutaggine e la tenacia si sgretolino con poco. Il rendermi conto di tenere troppo a qualcuno che a me non tiene per niente.

La sensazione di essere un pacchetto che occupa il proprio posto. Che se cadesse dallo scaffale un giorno, potrebbe essere prontamente sostituito, come già successo con altri pacchetti. Tutti utili, nessuno indispensabile. Quell'etichetta di "seconda scelta", come con la carne, che sbrilluccica sulla fronte con le luci di Las Vegas.

Sono stata sconfitta.
Mi sono sconfitta da sola, come al solito.

3 marzo 2014

Segni al sole.

- Al sole si vedono i segni, vero? -.
Mi avevi chiesto così. Non che ti avessi detto nulla: avevi intercettato i miei occhi che scrutavano la tua fronte e avevi capito, con quel modo straordinario di anticipare i miei pensieri.
Io avevo annuito senza dire nulla, e avevo passato il dito su quelle piccole cicatrici biancastre, odiandomi perché non avevo il potere di cancellarne nemmeno mezza. Biasimandomi perché prima, a casa, non avevo posto obiezioni quando mi avevi spiegato che era stato il tuo cane a graffiarti le braccia.

Oggi c'è il sole dopo giorni di diluvio e, per strane connessioni sinaptiche del cervello, mi è venuto in mente questo ricordo di un anno fa circa.
Sì, il sole mostrava i segni sulla tua pelle mentre eravamo seduti alla bell'e meglio su una statua del centro, un panzerotto in mano e l'odore della quasi primavera nel naso. E tutto sembrava bello. Colorato.

Ma la verità è che, a forza di splendere, il sole ha palesato altre cose, oltre ai segni invisibili al buio.
Cose che non potevo accettare, ben più profonde di cicatrici autoinferte.
E allora perché? Perché anche a grattare con la superficie ruvida della spugnetta non vieni via?

Oddio, in questi giorni c'è anche 'sto cantante.
Ho sorriso subito perché mi ricordava te.
Forse perché mi è piaciuto ancora prima che iniziasse a cantare.


Punto.

26 gennaio 2014

Learnings #4

Per il numero tre: QUI.

1. Il silenzio è più comodo delle parole.
2. Un silenzio dopo aver posto una domanda fa sentire fottutamente stupidi.
3. Nessuno che fa domande è stupido, ma non è una consolazione al fatto di non ricevere una risposta.
3.1 Se tagli uno stuzzicadenti in punta, puoi fare dei fantastici pois color borgogna sullo smalto verde petrolio.
4. Sentirsi una seconda scelta è un modo di essere.
5. Nessuno dovrebbe sindacare sul fatto che una persona si senta una seconda scelta, vuol dire che la sua vita l'ha portata a crederlo.
6. Se la vita porta a credere di essere una seconda scelta, vuol dire che non è stata una passeggiata.
6.1 Se hai 38.3 di febbre, ti puoi fare una cultura riguardo la tv spazzatura del sabato pomeriggio.
6.2 Fottutissima damigella: sono o non sono io la sposa? E allora il vestito me lo scelgo come voglio io!
6.3 Buddy: voglio uno dei tuoi fantastici cannoli. Ora. Spediscimelo col furgoncino.
7. Essere difficile non esclude il diritto di trovare una persona che sappia tenerti testa.
8. Riuscire a resistere all'impulso di gettare il pc fuori dalla finestra del terzo piano e rispondere "ok, spiegami", è segno di grande maturità (o del fatto che ami il tuo pc).
8.1 Duecentotrentasei. Le volte che mi sono soffiata il naso (pron. DASO) oggi.
8.2 Ho già detto dei pois color borgogna? Ah.
9. Fidarsi è una questione di comodità.
10. Non si ascolta solo con le orecchie.
11. Più giovani/più vecchi è uguale, ve l'assicuro.
12. Sarò una logopedista atipica: non parlerò mai più con nessuno.
12.1 Il vento spazza via le stronzate, resta solo la verità. Che a volte fa male.
12.2 Oh ma quanto sono simpatica e positiva io, in premestruo?

Io.

5 dicembre 2013

E se domani.

E se domani nessuno sapesse realmente come stai?
E se domani capissi che non ti importa così tanto?
E se domani mancassero anche le forze per respirare?
E se domani fermarsi e pensare fosse letale?
E se domani, all'improvviso, quella mancanza si facesse sentire?
E se domani resistervi facesse peggio di una testata al muro?
E se domani ti sentissi una foto sfocata? 

..e se domani io non potessi rivedere te?
Mettiamo il caso che ti sentissi stanco di me:
quello che basta all'altra gente non mi darà
nemmeno l'ombra della perduta felicità..

E se il domani, un giorno, arrivasse davvero?

25 novembre 2013

Ferma.

Alias: "Non ti muovere"

Lui la violenta. Lei vive in una catapecchia lasciatale dal nonno che tra poco dovrà lasciare. Resterà in mezzo alla strada. Da piccola lei subiva abusi dal padre. Poi si innamorano, ma lui ha una moglie. Poi lei resta incinta, ma resta incinta anche la moglie. Allora lei decide di abortire in un villaggio zingaro senza avvertirlo. Alla fine lui decide di essere coraggioso, lasciare la moglie e la neonata e di vivere con lei. Ma lei muore. Il tempo passa e quella che era una neonata è un'adolescente. Fa un incidente e rischia la vita. Lui viene accompagnato dallo spirito di lei, lungo tutto il periodo di sofferenza in cui non sa se sua figlia vivrà oppure no. Poi sua figlia ce la fa e lo spirito scompare. 

QUESTI SONO I MOTIVI PER CUI LA GENTE PIANGE NORMALMENTE DAVANTI AL FILM.

Lei: L'erba cattiva non muore mai.
Lui ride.
Lei: Sai come mi chiamava mia madre?
Lui: Come ti chiamava tua madre?
Lei: Gramigna..
Lui: Io ti amo, Gramigna..
Lei: Se mi prendi in giro io t'ammazzo. IO T'AMMAZZO.

QUESTA E' L'UNICA BATTUTA DEL FILM CHE FA PIANGERE ME.

Sono da guardare solo i primi 50 secondi.
Non sono capace di tagliare i video.
Uff. Che sfigata.

4 novembre 2013

XX

Basta. Ho deciso che mi sono rotta i coglioni per l'ennesima volta di essere il bravo soldatino.
Depongo in terra il fucile e mi siedo su un sasso a piangere.

Basta prese per il culo.
Possibilmente, solo prese per il cuore.


[Ed è subito premestruo (cit.). 
Fottuto, fottutissimo doppio cromosoma X ].

26 agosto 2013

Consegna: riordina le sequenze.

Ho le dita dei piedi fredde, e ripeterlo per la terza volta mi fa sorridere.
Incrocio le dita delle mani con quelle dei piedi e scuoto la testa per scacciare vecchi ricordi.
Uno scooter fuori romba e la tv continua a passare volti troppo giovani. 
Non ho più voglia di scrivere storie, non mi vengono. Quelle che mi vengono non le caga nessuno, e io ho bisogno che qualcuno caghi quello che scrivo. Si capisce? O capisco sempre e solo io? 
Fa niente, nel caso.

Ho le dita dei piedi fredde.
Sono qui un lunedì mattina davanti alla televisione che passa un video in collaborazione tra due “artisti” che non c’entrano nulla l’uno con l’altra e mi viene in mente che lui, una volta, abitava sopra casa tua. 
Così mi avevi detto. Sembra un viziato. Uno che è lì non si sa perché.
Mi tengo dentro il vuoto che di te mi resta.

Ho le dita dei piedi fredde e questo post non ha decisamente senso, letto così fino alla fine.
Chiedo scusa.
Ora lo dividerò in sequenze e le mescolerò, per darvi l’idea di come tutti questi concetti siano posti a casaccio nella mia testa. Cosicché io non capisca proprio un bel nulla.
A chiunque riesca a riordinarlo o ci tenti, va un mio GRAZIE, insieme a un sorriso.

19 agosto 2013

Mica cazz(uol)ate.

Era un edificio brutto, fuori.
Padiglione 9 - Hospice. Salivi le scalette, avevi davanti due porte vetrate.
Superata la prima, sulla seconda stava scritto “Tenere chiuso il passaggio. Ambiente climatizzato. Grazie”.
Grazie, dicevano. Era la cortesia, a stupire.
La sua stanzetta era quella di fronte all’ingresso, che se salivi le scale con la testa alta, ancora prima delle doppie porte, la vedevi sul suo trono di lenzuola. Come scettro la bombola dell’ossigeno, come mantello i vari cuscini impilati per far respirare meglio i polmoni pieni di cancro.
Che se le dicevi “Ma perché non chiudi la porta? Sai che ti si vede da fuori?”, lei rispondeva che a chiudere le sembrava di non respirare. E poi le piaceva vedere la gente che passava.
Curiosona (se interessasse, sempre SE, andate QUI ).



Anche lui era brutto, fuori.
Vecchie cicatrici che si era fatto volontariamente. Tredici tatuaggi (quelli no: bellissimi). Chili e anni di troppo. Alcool di troppo. Anche per lui una sorta di doppia vetrata da superare. Superata la prima, sulla seconda stava scritto “Guarda che se apri devi farlo davvero. Io faccio il figo ma la verità è che se soffi troppo forte cado a pezzi”. Stava su con lo sputo.
E io, a lungo andare, una stampella. Marty-stampella. Marty che se si allontana di un passo lui impazzisce. Lui che non ce la fa. Lui che cade. Ma lui ha aveva ha quelle mani. Quelle mani mi toccavano e mi facevano sentire le mie linee, i miei confini. La mia forma. Quelle mani mi davano un senso. Con quelle mani io sapevo chi ero e loro sapevano chi io fossi.



Ma. Ma. Non potevo recitare per sempre il ruolo della stampella. Come non avrei mai potuto essere i cuscini che sorreggevano una paziente oncologica al vecchio Padiglione 9, la bombola che permetteva l’ingresso di qualche molecola di ossigeno in più nella sua trachea. Da poco vedo la similitudine (una delle solite che di sicuro noto solo io). La similitudine è il concetto di malattia. C’era malattia in entrambe le situazioni, solo una – la seconda – più subdola e nascosta.

Perché è parso più naturale “lasciar andare” una persona malata terminale di cancro ai polmoni, e invece mi son trascinata mesi e mesi (non mentire, Marty, ti ci trascini ancora, vacca miseria) in una situazione che non aveva ha senso d’esistere? 
Perché le sue mani mi davano un senso.
Eh. Cara bella. Cazzate. Il senso, se ne hai voglia, ti fai il culo e te lo trovi da sola.

Ti fai il culo.
E te lo trovi.

DA SOLA.

18 agosto 2013

Ricetta #1

INGREDIENTI:
-          50 g di ispirazione notturna per la scrittura di una orribile canzone metal.
-          ½ giro al mercato con ascella sudata di qualità.
-          1 tramezzino tonno uova da Ugo dopo coda di 10’.
-          1 pomeriggio intero condito con pennichella non riuscita e sbuffo regolare.
-          2 saluti alla nonna, accompagnati da caffè forte o gelo da split del condizionatore direzionato sul collo.
-          1 uscita con discussione di particolari “particolari” e commento di esseri umani (evitabile ).

Mixare il tutto con cautela, cercando di separare sprazzi di sogno della notte passata, cose realmente accadute in passato, fantasie elaborate ad occhi aperti e/o chiusi. Passare alla frusta elettrica per eliminare eventuali grumi di stato confusionale quando appaiono nello stesso contesto 4 persone con il nome identico al tuo (e non solo). Lasciare riposare l’amalgama per evitare risposte impulsive e volgari. Incorporare per ultimo qualche grammo di decisione chiara, della marca “Continuiamo ad avvelenarci con l’ingrediente che avremmo dovuto buttare nel cestino millenni fa e invece si ritrova arrotolato ancora nei nostri circuiti corticali”. Infornare a 180° per il tempo necessario ad elaborare una scusa valida per la nostra prossima scelta incoerente. Servire ancora tiepido, in modo da simulare un seppur lieve calore corporeo.

Chiedo scusa. Ma il mio umore fa schifo in questi giorni.

E odio tutti, tipo.
Ma - tranquilli - è solo il premestruo, chiaramente.

14 agosto 2013

PROPRIO PER NIENTE.

È un po’ tipo la sensazione che ti piglia quando la gente ti racconta delle sue vacanze sapendo che tu non le hai fatte, o di quando si lamenta di quanto è grassa e lo fa con qualcuno che grasso lo è davvero (e succede, cazzo se succede). È come quando la gente fa entrambe queste cose insieme.
O quando cerca dei parallelismi fra la sua condizione e la tua e a te verrebbe da dire “Ah sì? Senti un po’: FANCULIZZATI”. Sì ecco. È esattamente così.

Che provassero loro a far passare l’ago della bilancia da 85 a 64, chissà se poi si lamenterebbero ancora con te del loro presunto grasso. Che provassero loro a passare mesi con una persona che sta morendo. Che provassero a cadere e poi rialzarsi, come hai fatto tu. Che si stupissero loro, nello stesso modo in cui lo hai fatto tu, di essere arrivati a dicembre lasciando dietro sé una fila di mesi terribili. Che provassero ad accettare di sé le cose che hai imparato ad accettare tu. Che provassero a credere in qualcosa per la prima volta davvero, per poi capire che era solo un miraggio. Che provassero a vivere in un costante circolo vizioso, che tutti gli altri ruotano attorno a velocità supersonica mentre tu stai ferma. Sempre lì. Sempre immutabile. Né felice né triste.

E TU ADESSO TI DEVI METTERE A ROMPERE I COGLIONI CON ‘STI CAZZO DI MESSAGGI DI MERDA??!!!!
Pensavo di essere arrivata indenne alla fine di questa giornata, e invece…”ti vorrei parlare di me..”, mi dici.
Di te? Di te? Di te? Di te…non so perché, ma ne avevo il sospetto. 

Né odio né amore.
Né felice né triste.
Né magra né grassa.
Né bella né brutta.

..e che succede se odio il grigio?

Succede il solito rospo in gola.
E io mastico e mando giù.


3 agosto 2013

Schifosamente.

Ho voglia di piangere.
Sapete quando gli occhi solleticano, e le lacrime escono piano e bruciano da morire?
Me le immagino a cascata. Ho pure il rimmel. Secco, vabbè.
Sparita un'altra volta.
Cazzo di coraggio ha?
Sparita UN'ALTRA VOLTA.
No. E' che mi sono rotta i coglioni di essere presa per il culo.
Detto diecimila volte, tipo.

Ma lui non ascolta. Lui non sa ascoltare.
Lui non ricorda. Cervello come formaggio bucato.
E cosa pretendo? Cosa pretendevo?
Si sveglia e chiama. Si sveglia e scrive come a dire:
"Non sei libera".
E invece lo sono. E me ne vado.
Nemmeno capace di chiedere aiuto. Che maturità sarebbe?
Io lo odio.

Scrivo vomitando fuori.
Storie che non c'entrano.
False. Passato. Sanguisughe.
IlBorneoèinfestatodallesanguisughe.
Cosa c'entra?
Io dovrei essere felice. Schifosamente felice.
Mi accorgo che prendere e andare non è mai stato così vicino.
Paura.