30 agosto 2013

Dipendenze (caffè).

Una tizia qualsiasi un giorno va a cercare una macchinetta del caffè nuova, perché quella vecchia - con suo sconvolgimento e somma disperazione - si è guastata in maniera pressoché definitiva. E perché è una caffeinomane, chiaramente. 
Gira e gira per i reparti, osservando tutti i più moderni ed infernali aggeggi spara-caffeina, rimanendo affascinata da luci al neon, superfici d'acciaio, pulsanti colorati, led che la salutano da lontano, intuendo la sua presenza dall'aumento della temperatura ambientale circostante. Alla fine prende una decisione. Prenderà quella macchinetta a buon prezzo perché è di buona marca, ha tre sistemi di caricamento (cialde, polvere e capsule) ed ha pure una deliziosa forma a moka che mette assai di buon umore.
Ha preso una saggia decisione, pensa. Questo le eviterà di fare questa fine (si ringrazia Eli per il suggerimento, come sempre):



26 agosto 2013

Consegna: riordina le sequenze.

Ho le dita dei piedi fredde, e ripeterlo per la terza volta mi fa sorridere.
Incrocio le dita delle mani con quelle dei piedi e scuoto la testa per scacciare vecchi ricordi.
Uno scooter fuori romba e la tv continua a passare volti troppo giovani. 
Non ho più voglia di scrivere storie, non mi vengono. Quelle che mi vengono non le caga nessuno, e io ho bisogno che qualcuno caghi quello che scrivo. Si capisce? O capisco sempre e solo io? 
Fa niente, nel caso.

Ho le dita dei piedi fredde.
Sono qui un lunedì mattina davanti alla televisione che passa un video in collaborazione tra due “artisti” che non c’entrano nulla l’uno con l’altra e mi viene in mente che lui, una volta, abitava sopra casa tua. 
Così mi avevi detto. Sembra un viziato. Uno che è lì non si sa perché.
Mi tengo dentro il vuoto che di te mi resta.

Ho le dita dei piedi fredde e questo post non ha decisamente senso, letto così fino alla fine.
Chiedo scusa.
Ora lo dividerò in sequenze e le mescolerò, per darvi l’idea di come tutti questi concetti siano posti a casaccio nella mia testa. Cosicché io non capisca proprio un bel nulla.
A chiunque riesca a riordinarlo o ci tenti, va un mio GRAZIE, insieme a un sorriso.

23 agosto 2013

Tempi moderni

Okkei. Ho scaricato l’applicazione gratuita che consente di messaggiare, videochiamare (e sicuramente molte altre cose che ancora non so) sul mio telefono. Non faccio nomi ma, per farmi capire, è quella pubblicizzata dal personaggio che la mia ignoranza calcistica - e sportiva in generale, ehh sì - mi porta ad etichettare “essere umano brutto e col nasone”. Cioè Messi.
Uno di quei miliardari in mutandoni che rincorrono una sfera che rotola, per intenderci.

Comunque.
No, è carino eh. Una valida alternativa per quando UOZZAP mi scadrà in versione free.
Ma la cosa che intrippa sono tutte ‘ste opzioni SOCIAL. Che fafffigo dai.
Ditemi: potevo io resistere???
Ma no! Ora vi illustro alcuni dei miei risultati.



22 agosto 2013

Meteo

Una bufera da freddo della madonna dentro.

Chiamiamolo Billy

Stamattina è capitata una cosa abbastanza schifosa.
Rifaccio il letto e raccolgo il copriletto da terra (lo butto giù ogni sera, visto che fa un caldo porco).
Beh, tra le pieghe, salta fuori un bacarozzo nero gigantesco. Ma gigantesco nel senso che sarà stato 5 cm di lunghezza. NEL MIO LETTO, si capisce?

Bene. Entro in panico e mentre scarto l’opzione Bear Grills (prendilo con le dita e mangialo) corro a prendere la paletta per la polvere. Non considerando che quei cosi ad 8 zampe sono dannatamente rapidi.
Beh, il bacarozzo (chiamiamolo Billy) finisce sotto il mio letto incassato nell’armadio a ponte (chiaaaro).
Impanicata ancora di più estraggo il cassettone sotto al letto e lì lo vedo: Billy è al sicuro all’ombra immerso in alcuni gatti di polvere. Porcazzozza. Sposto i mobili e prendo la scopa.

Mi dico “Ehi..è da un po’ che qui sotto non pulisco” (cercando nella mia mente un momento passato in cui io lo abbia davvero fatto…ehm…).
Non sapevo cosa sarebbe saltato fuori da lì sotto. Nell’ordine:
1. Polvere. Di quella soda, condensata. Lo so, fa schifo.
2. Bacche rosse. Rapido flash di quella carinissima piantina secca che si trovava sulle mensole nella parte opposta della stanza e che, durante la mia assenza in un weekend, ha bellamente deciso di cappottarsi disfacendosi per tutta la stanza. Era lo scorso inverno. Il termometro in casa (dopo 3 giorni di stufa spenta) segnava 9.8 gradi e io, nel raccogliere i cocci del bicchierino della pianta, mi sono tagliata il dito. È stato allora che mi sono chiesta se mi trovassi per caso sul set dell’ultimo capitolo della saga “Saw l’enigmista”.
3. Un insetto di gomma arancione. No, cioè. Che cazzo è questa cosa? Di quale proprietario del mio monolocale sarà mai stato quel COSO? Approposito: prima di buttarlo nel cestino ho fatto delle foto. Vorrei che qualcuno, se mai lo sapesse, mi spiegasse a quale specie appartiene.
4. Una pallina trasparente.





Lo so che qualcuno a questo punto se lo starà chiedendo.
NO: il bacarozzo Billy non so assolutamente che fine abbia fatto.
Penso che stanotte acquisirò il potere della levitazione e dormirò nell'aria. 
Sì, farò così.

20 agosto 2013

Stoc...

19 agosto, 21.15
Rientrata da circa mezz'ora nel mio alloggio in solitaria a Crema.
Ferie finite, domani si torna a lavorare.
È appena iniziato uno di quei temporali con lampi, tuoni, acqua, venticello.
Stato umorale: FIGATA ASSURDA.
Per ora il mio ruolo da asociale incallita sta andando alla grande.
Vedremo domani a fine giornata come andrà.

Domani (cioè oggi, cioè ora) a fine giornata
Oggi solo 7 pazientini. Mooolti meno del solito; sintetizzabili con:
-          No xy, se non parli, Po (sì, quello dei Teletubbies) non te lo do! *mescolino* Nonnonnò! Se non mi dici “prendo Po”, allora lui resta nella scatola a fare la nanna! *faccio il verso zzzz-ffffiuuu-zzzz-fffiuuu*
-          Che hai fatto xy in queste due settimane? NIENTE. *okkei..*
-          xy, mi stai guardando? Ma cerrrrrto Marrrrrtinona! *sputacchia sul foglio e sulla mano, guardando palesemente i disegni sul muro* xy, ti ho detto: guardami, non vedo i tuoi occhi sui miei! Ti guarrrrrdo! *non guarda decisamente me*
-          Che begli occhiali nuovi xy! Sìsì sono come i tuoi ma i miei sono rosa e i tuoi verdi (…già. Identici insomma) Dove vanno i bimbi, xy? Al cimeva! Al cidela! Al cimema! Al civeda! *lo ammetto, dopo 20 volte ho rinunciato*
-          Ciao xy! Salve papà! Come sta la mamma? Bene…lievita, ma bene! (è in dolce attesa, devono piacerle i poeti, a quanto pare)
-          Ma ciao xy! Come sono andati gli esercizi con la S di serpente? (la mamma) Bene bene, falle sentire xy! SSSSCHIACCIANOCI! *mi dirà schiaccianoci tipo 15 volte fino alla fine della seduta*
-          Ciao Xy! Hai fatto gli esercizi in questi 15 giorni? NO *fucile a canne mozze, per cortesia*.

Un ottimo rientro!!!! E io sono di ottimo umore (sono seria!!!!).
Continuo a pensare che fare la logopedista sia la cosa più bella del mondo.



PS: dopo il lavoro, io e Anna ci premiamo da Waffle & Co, discutendo di lunghezze di piedi maschili (…..ho detto piedi!) e traducendo la parola “tozzo” in inglese (stocky…really stoc...stocky).

Il premio è questo. Cioè, dai. Ho detto tutto.

19 agosto 2013

Mica cazz(uol)ate.

Era un edificio brutto, fuori.
Padiglione 9 - Hospice. Salivi le scalette, avevi davanti due porte vetrate.
Superata la prima, sulla seconda stava scritto “Tenere chiuso il passaggio. Ambiente climatizzato. Grazie”.
Grazie, dicevano. Era la cortesia, a stupire.
La sua stanzetta era quella di fronte all’ingresso, che se salivi le scale con la testa alta, ancora prima delle doppie porte, la vedevi sul suo trono di lenzuola. Come scettro la bombola dell’ossigeno, come mantello i vari cuscini impilati per far respirare meglio i polmoni pieni di cancro.
Che se le dicevi “Ma perché non chiudi la porta? Sai che ti si vede da fuori?”, lei rispondeva che a chiudere le sembrava di non respirare. E poi le piaceva vedere la gente che passava.
Curiosona (se interessasse, sempre SE, andate QUI ).



Anche lui era brutto, fuori.
Vecchie cicatrici che si era fatto volontariamente. Tredici tatuaggi (quelli no: bellissimi). Chili e anni di troppo. Alcool di troppo. Anche per lui una sorta di doppia vetrata da superare. Superata la prima, sulla seconda stava scritto “Guarda che se apri devi farlo davvero. Io faccio il figo ma la verità è che se soffi troppo forte cado a pezzi”. Stava su con lo sputo.
E io, a lungo andare, una stampella. Marty-stampella. Marty che se si allontana di un passo lui impazzisce. Lui che non ce la fa. Lui che cade. Ma lui ha aveva ha quelle mani. Quelle mani mi toccavano e mi facevano sentire le mie linee, i miei confini. La mia forma. Quelle mani mi davano un senso. Con quelle mani io sapevo chi ero e loro sapevano chi io fossi.



Ma. Ma. Non potevo recitare per sempre il ruolo della stampella. Come non avrei mai potuto essere i cuscini che sorreggevano una paziente oncologica al vecchio Padiglione 9, la bombola che permetteva l’ingresso di qualche molecola di ossigeno in più nella sua trachea. Da poco vedo la similitudine (una delle solite che di sicuro noto solo io). La similitudine è il concetto di malattia. C’era malattia in entrambe le situazioni, solo una – la seconda – più subdola e nascosta.

Perché è parso più naturale “lasciar andare” una persona malata terminale di cancro ai polmoni, e invece mi son trascinata mesi e mesi (non mentire, Marty, ti ci trascini ancora, vacca miseria) in una situazione che non aveva ha senso d’esistere? 
Perché le sue mani mi davano un senso.
Eh. Cara bella. Cazzate. Il senso, se ne hai voglia, ti fai il culo e te lo trovi da sola.

Ti fai il culo.
E te lo trovi.

DA SOLA.

18 agosto 2013

Ricetta #1

INGREDIENTI:
-          50 g di ispirazione notturna per la scrittura di una orribile canzone metal.
-          ½ giro al mercato con ascella sudata di qualità.
-          1 tramezzino tonno uova da Ugo dopo coda di 10’.
-          1 pomeriggio intero condito con pennichella non riuscita e sbuffo regolare.
-          2 saluti alla nonna, accompagnati da caffè forte o gelo da split del condizionatore direzionato sul collo.
-          1 uscita con discussione di particolari “particolari” e commento di esseri umani (evitabile ).

Mixare il tutto con cautela, cercando di separare sprazzi di sogno della notte passata, cose realmente accadute in passato, fantasie elaborate ad occhi aperti e/o chiusi. Passare alla frusta elettrica per eliminare eventuali grumi di stato confusionale quando appaiono nello stesso contesto 4 persone con il nome identico al tuo (e non solo). Lasciare riposare l’amalgama per evitare risposte impulsive e volgari. Incorporare per ultimo qualche grammo di decisione chiara, della marca “Continuiamo ad avvelenarci con l’ingrediente che avremmo dovuto buttare nel cestino millenni fa e invece si ritrova arrotolato ancora nei nostri circuiti corticali”. Infornare a 180° per il tempo necessario ad elaborare una scusa valida per la nostra prossima scelta incoerente. Servire ancora tiepido, in modo da simulare un seppur lieve calore corporeo.

Chiedo scusa. Ma il mio umore fa schifo in questi giorni.

E odio tutti, tipo.
Ma - tranquilli - è solo il premestruo, chiaramente.

14 agosto 2013

PROPRIO PER NIENTE.

È un po’ tipo la sensazione che ti piglia quando la gente ti racconta delle sue vacanze sapendo che tu non le hai fatte, o di quando si lamenta di quanto è grassa e lo fa con qualcuno che grasso lo è davvero (e succede, cazzo se succede). È come quando la gente fa entrambe queste cose insieme.
O quando cerca dei parallelismi fra la sua condizione e la tua e a te verrebbe da dire “Ah sì? Senti un po’: FANCULIZZATI”. Sì ecco. È esattamente così.

Che provassero loro a far passare l’ago della bilancia da 85 a 64, chissà se poi si lamenterebbero ancora con te del loro presunto grasso. Che provassero loro a passare mesi con una persona che sta morendo. Che provassero a cadere e poi rialzarsi, come hai fatto tu. Che si stupissero loro, nello stesso modo in cui lo hai fatto tu, di essere arrivati a dicembre lasciando dietro sé una fila di mesi terribili. Che provassero ad accettare di sé le cose che hai imparato ad accettare tu. Che provassero a credere in qualcosa per la prima volta davvero, per poi capire che era solo un miraggio. Che provassero a vivere in un costante circolo vizioso, che tutti gli altri ruotano attorno a velocità supersonica mentre tu stai ferma. Sempre lì. Sempre immutabile. Né felice né triste.

E TU ADESSO TI DEVI METTERE A ROMPERE I COGLIONI CON ‘STI CAZZO DI MESSAGGI DI MERDA??!!!!
Pensavo di essere arrivata indenne alla fine di questa giornata, e invece…”ti vorrei parlare di me..”, mi dici.
Di te? Di te? Di te? Di te…non so perché, ma ne avevo il sospetto. 

Né odio né amore.
Né felice né triste.
Né magra né grassa.
Né bella né brutta.

..e che succede se odio il grigio?

Succede il solito rospo in gola.
E io mastico e mando giù.


12 agosto 2013

Learnings #1


  • "Darsi alla macchia" è un'espressione ridicola, se rivolta a te;
  • E' inutile aspettarsi qualcosa di grande - come un cambiamento radicale - da certe persone, se hanno dimostrato di fallire anche nelle piccole cose;
  • Non essere felice non vuol dire essere triste;
  • Si può togliere la vibrazione ai cellulari Samsung, stupida!
  • Fare gli addominali bene per dieci minuti ti farà svegliare il giorno dopo abbastanza dolorante;
  • Se sei un po' costipata, vai un altro giorno a cercarti dei nuovi pantaloni, perché ti vedrai grassa e gonfia con qualsiasi modello (QUALSIASI);
  • "Che vita di meeeeerdaaaaahhh!!"*;
  • Il cocco vero (il frutto intendo) non sa tanto di cocco come gli alimenti "al cocco" (o era sciapo il cocco che ho comprato?);
  • E' bello giocare ai giochi da tavolo che non si conoscono;
  • Il rimmel sulle ciglia fa "tanta robbba";
  • Sperare davvero (e in fondo sapere) che "io e mio fratello saremo così legati davvero per sempre, mica come te e lui";
  • Si trova supporto da persone che manco t'immagineresti;
  • E' proprio vero che "l'abito non fa il monaco" e che "non bisogna giudicare dalla prima impressione";
  • Se non hai una reazione strana, vuol dire che non ritieni strano quello che ti viene detto, quindi non ritenerlo strano;
  • * "..Ho rischiato di dormirti addosso. Stronzo, tanti auguri ma non ti conosco..";
  • Azzagar è ragazza al contrario (se vi interessa guardate QUI, non se l'è cagato nessuno ma a me piace);
  • Se una persona fa 8 chiamate e manda 4 messaggi se non rispondi, vuol dire che non è sana di mente e che non è tanto sicura quanto vuol far credere (se non si tratta di tua madre, chiaro);
  • Nottiprego..a lavorare no!
  • Tenere un blog è una cosa figa.
*

11 agosto 2013

Strati.

A furia di costruirmi attorno strati, sto diventando una cipolla.


PS: però io non puzzo. E non faccio nemmeno piangere.

9 agosto 2013

Se scrivo TETTE mi censurano?

OK. Non prendiamoci in giro.
Mi hai guardato le tette, amico.
No, no: NO. Non credere che il tuo sguardo successivo all'averti beccato in stile "sto guardando verso l'infinito e oltre, riflettendo su quello che mi si sta dicendo come se fosse l'ultima domanda di Chi vuol essere milionario", mi abbia fregata. No. Mi sono accorta benissimo che mi stavi guardando le tette.
Che per altro (voglio specificare) erano coperte. Mica che si pensasse che vado in giro con le minne fuori.

Ora. Perché diventa fonte di riflessione questa cosa?
Ve lo spiegherò subito. Mi sono chiesta quale potrebbe essere la reazione di una ragazza a cui vengono guardate le tette (quante volte sto scrivendo tette, dannazione??!). E, razionalmente, il mio cervello mi ha suggerito due opzioni logiche:
1. La ragazza ne è compiaciuta e ci gioca sopra;
2. La ragazza si infuria e prende a parole e/o a pugni il marpione.
Ecco. Io non rientro in nessuna di queste due categorie. Io mi imbarazzo in una maniera assurda.

Perciò, successivamente alla..all'osservazione, diciamo, dentro di me facevo pensieri del tipo:
"oddio..forse dovrei smettere di tenere le braccia conserte",
"oddio..se tolgo adesso le braccia potrebbe far pensare che ci sto pensando",
"che reggiseno ho messo su stasera che sembrano due palloni da basket?",
"forse se smetto di respirare.."
"okkei..sto attenta a ciò che viene detto, sorrido, annuisco..che domanda mi hanno appena fatto??!".

Bene. Quindi. 
Cari esseri umani interessati alle mie tette, vi prego: smettetela.
Vi assicuro che non sono poi sto gran che, una volta liberate dalle gabbie. Non mangiano, non si lamentano, non sono interessanti. Stanno lì. Vegetano. E, ogni tanto, mi piacerebbe regalarle a qualcun'altro.
Tipo quando corro (cioè quasi mai), quando mi voglio guardare la punta dei piedi, quando faccio la verticale (ahahah, questa è buona), quando compro le camicie, quando dormo a pancia in giù (cioè sempre) e quando mi cadono le briciole nello scollo della maglietta (che farsi vedere a rovistare là dentro fa sempre l'effetto "ma che è, la borsa di Mary Poppins?").

Vi prego: abbiate pietà delle povere ragazze con la taglia al di sopra della terza.
La verità è che ci sentiamo emarginate.
Dovreste volerci bene solo per questo. 
Non fissateci la scollatura: adottateci (mioddio, si dice "adottateci"??).
Io, per esempio, sarei meno fastidiosa di un cucciolo di foca.
Giuro.

6 agosto 2013

Che cool..o che cul?

Ditemi: quali sono le vostre chicchierate-tipo al telefono delle 9 di mattina mentre siete in ferie?
Lo so. Chiunque di voi starà strabuzzando gli occhi pensando "le uniche conversazioni delle 9 di mattina in ferie sono quelle con il mio cuscino, cocca".
Ma io sono alternativa. A me le biglie si aprono alle 8 del mattino e alle 9 ricevo telefonate.
Che cool! O che cul, dipende.
Fattostà che è stato tipo:

- Pronto? -. Questa sono io, con Desperate Hosewives che saltellava per il segnale del digitale.
- Come si chiamava quello che portava i morti nella Divina Commedia? -.
- Cosa? -. Probabilmente pensavo di non aver capito bene. E invece sì.
- Ho fatto un sogno -. 
Dentro me è risuonato tipo "I HAD A DREAM", ma lui non era Martin Luther King. Dannazione.
- Dai, quello che portava le anime..chi era? Con Dante, Virgilio! -.
- Ehhhm -. Caron dimonio, occhi di bragia, pensavo. Ma tacevo.
- Va beh. Comunque. Ho fatto un sogno. Il mio pupazzo di peluche mi portava nel viaggio -.
Un pennuto, vi preciso. Un pennuto di velluto (questa rima mi è venuta così, sappiatelo, e ne vado fiera).
- Ti portava..-. Io ero ormai entrata in modalità ripetizione. Modalità "ecolalica" si chiama, ma tanto non succede mai che l'interlocutore capisca che sta dicendo stronzate, o almeno non capita con i miei interlocutori.
- Sìsì. Mi diceva che era andato in pensione -.
- In pensione.. -.
- Sì, ma che era tornato per me -.
- Per te.. -.
- Per me un ultimo giorno di lavoro si poteva fare! -.
- Si poteva fare..-.
- Mi ascolti? -.
- Ti as..sìsì, ti ascolto.. -.
You....what??!

E mentre mi si snocciolava questo delirio onirico, dentro di me riflettevo. Pensavo..avete presente quando aprono il cranio e si vede il cervello di Saw, l'enigmista? (io no, non l'ho visto, ma pensavo a quello lo stesso). 
Mi dicevo: ma se lo facesse lui (magico interlocutore delle 9 di mattina)..sai quanta merda bisognerebbe togliere dagli interstizi sinaptici? Ma proprio tanta.
Sarebbe il caso di consigliargliela, dite? Magari, levandola, quello che resterebbe sarebbe comunque una telefonata alle 9 di mattina (illudiamoci: magari alle 9,30), però il dialogo sarebbe tipo:
- Mmm..pohhnto? -.
- Mm..hutto bene? -.
- Shi..shì -.
- Mmm..ntiamo dopo -.
- Shi..shaaao -.

Che dico: è nella norma, no? 
Chiedo troppo?

5 agosto 2013

I don't give a...

"Mi perderai a fare così, lo sai?"

Se non sei la mia chiave di casa, o il portafoglio, non è che m'importa molto....lo sai?

Me li ha fatti sorbire tutti i suoi film, tanto vale che li sfrutti per qualcosa...

4 agosto 2013

Scadenza

In quella foto, risalente alle elementari, Nan aveva le sopracciglia folte e lo sguardo da bimba imbronciata.
Pensava fosse proprio quest’ultimo che lo aveva fatto innamorare, insieme alle lentiggini.

Erano passati quindici anni da allora, e lei aveva fatto tanta strada.
Si era laureata (in qualcosa che lui non aveva ben compreso), si era sposata con uno dei ragazzi dell’oratorio con cui era cresciuta, si era trasferita (fortunatamente per soli tre mesi) negli Stati Uniti dopo la cerimonia e aveva coltivato le sue passioni più grandi: corsa, fotografia e arrampicate.

Sembrava felice. Il giorno del matrimonio l’aveva spiata dal bar posto in fronte al sagrato della chiesa. Era una dea, non una donna di venticinque anni. Era una dea che qualcuno aveva posato lì sul cemento, per far capire a tutti che il paradiso esisteva. Non era tanto il vestito vaporoso – tulle bianco ovunque –, né le spalle e le braccia abbronzate che avrebbero fatto invidia a qualsiasi essere umano. Non erano i lunghi capelli scuri acconciati nella crocchia, non il collo che disegnava una linea morbida verso il seno. Era il suo sguardo: suggeriva carattere, forza, fortuna. Chiunque ne sarebbe rimasto estasiato.
Con un bicchiere d’acqua fredda davanti a sé, al tavolino del bar, lui si era innamorato di Nan una seconda volta.

Circa sei mesi dopo era arrivato l’invito per la cena di classe, stampato su carta bianca dove era stata aggiunta alla bell’e meglio quella vecchia foto. Intuiva da chi potesse essere sorta l’idea; la solita rompiballe ficcanaso – lo era stata sin dall’asilo – che conosceva gli affari di tutto il paese. “Sarà come tornare ai vecchi tempi”, diceva l’invito. “Un modo come un altro per aggiornarci. Nessuno ha il diritto di mancare!”.
Lui ci aveva pensato molto, ma alla fine aveva deciso di presentarsi alla serata.

L’ultima volta che aveva avuto a che fare con Nan era stato dopo il matrimonio. Le aveva lasciato un biglietto firmato, appoggiato al tavolo degli sposi durante il pranzo (al quale non era stato invitato, chiaramente). L’aveva osservata  mentre lo leggeva, per poi guardarsi attorno smarrita con quel solito sguardo imbronciato. Le aveva scritto, semplicemente: “Io sarò sempre qua, lo sai”.
Aveva rispettato la promessa per tutti quei mesi, tranne durante il soggiorno in America. Erano stati giorni difficili: aveva potuto mantenere i contatti solo attraverso i social network e le fotografie da lei postate, tramite amicizie in comune. Ma alla fine Nan era tornata, più bella che mai.

Si era arreso da tempo. Nan non lo avrebbe mai amato.
Del resto, quello che lui poteva offrirle era soltanto terra. Campi coltivati, cascine, animali da allevamento. Era ben lontano dal possedere lo charme o le conoscenze del marito che lei si era scelta. Lui era per la pratica, non per la teoria. Il suo lavoro lo sapeva fare bene, gestiva le attività in maniera oculata, ma sempre di agricoltura e letame si trattava. L’odore di merda – come soleva dire il nonno tanto tempo prima – non lo poteva togliere nemmeno il più potente profumo di lillà. Attecchiva, si spargeva subdolo, per poi pungere le narici alla prima occasione.
Non era fatto per stare con Nan. Questo non escludeva il fatto che lui comunque l’amasse.
L’avrebbe amata per sempre.
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La sera della cena di classe il tempo era mite.
Lui, jeans neri e camicia a quadri con le maniche arrotolate, si appoggiò ad un muretto a lato del parcheggio. Aveva già visto entrare alcuni ex compagni, ma aveva cercato di non dare nell’occhio. Stava aspettando Nan; se avesse avuto un colpo di fortuna, sarebbe riuscito ad intercettarla prima dell’ingresso nel locale e avrebbe scambiato qualche parola con lei.
Proprio in quell’istante vide la sua auto. Il grigio metallizzato si rifletté nei suoi occhi gelidi, provocandogli una palpitazione rapida che cercò di soffocare deglutendo a vuoto.
Si avvicinò piano al veicolo, dando a Nan il tempo di accorgersi della sua presenza.
Lei uscì con lo sguardo puntato verso il suo. Indossava un abito lungo e nero, con maniche a tre quarti e la linea semplice, volta a sottolineare il corpo snello ed atletico.
Appoggiò la mano sulla portiera, e lui si mise a fissare la fede sull’anulare.

-          Sei venuto… - commentò lei.
-          Ho sbagliato? -.
-          Puoi fare ciò che vuoi. Solo mi pare strano -. Vide in lei una finta freddezza che non aveva mai notato, come se patisse un male ovattato e profondo.
-          Perché strano? Ti ho detto che ci sarei sempre stato -.
-          Appunto. Non è andata così, mi sembra -.
Lui sorrise appena, ma continuò a guardare Nan con uno strano disagio addosso.
-          Sono sempre stato con te. Sempre -.
-          No. Mi hai lasciata sola, anche quando pensavo che avresti fatto qualcosa per riprendermi. Mi hai lasciata andare. Al matrimonio.. -.
-          Non mi hai invitato! – la interruppe.
-          Scuse. Dovevi venire e portarmi via da lì. Non l’hai fatto -.
-          Avrei rovinato il tuo… -.
-          Scuse, scuse, scuse! Non hai fatto niente. Non sono abbastanza importante. Non ne vale la pena. Va bene così -.
-          Dimmi cosa devo fare -. Allargò le braccia.
-          Adesso? Nulla. Hai avuto un paio di occasioni per fare. Avevi una data… -.
-          Una data? – le chiese lui non capendo. Lei annuì.
-          Una data di scadenza - gli disse, dirigendosi verso il ristorante. Poi si voltò ancora verso di lui, il solito sguardo imbronciato rivolto ad un punto impreciso fra lei e l’infinito.
-          Sei scaduto – aggiunse.


E se ne andò.

3 agosto 2013

Schifosamente.

Ho voglia di piangere.
Sapete quando gli occhi solleticano, e le lacrime escono piano e bruciano da morire?
Me le immagino a cascata. Ho pure il rimmel. Secco, vabbè.
Sparita un'altra volta.
Cazzo di coraggio ha?
Sparita UN'ALTRA VOLTA.
No. E' che mi sono rotta i coglioni di essere presa per il culo.
Detto diecimila volte, tipo.

Ma lui non ascolta. Lui non sa ascoltare.
Lui non ricorda. Cervello come formaggio bucato.
E cosa pretendo? Cosa pretendevo?
Si sveglia e chiama. Si sveglia e scrive come a dire:
"Non sei libera".
E invece lo sono. E me ne vado.
Nemmeno capace di chiedere aiuto. Che maturità sarebbe?
Io lo odio.

Scrivo vomitando fuori.
Storie che non c'entrano.
False. Passato. Sanguisughe.
IlBorneoèinfestatodallesanguisughe.
Cosa c'entra?
Io dovrei essere felice. Schifosamente felice.
Mi accorgo che prendere e andare non è mai stato così vicino.
Paura.

2 agosto 2013

Mica tutti c'han dentro ACCA-GI

Sono appena entrata nell'ottica "sono iniziate le ferie". O forse non ancora,a dire il vero.
La realtà è che sono contenta di avere due intere settimane lontane da esserini al di sotto del metro e quaranta.
Ho in testa una lista infinita di cose che dovrei fare in questi quindici giorni e so (già ora) che non ne farò nemmeno mezza. Perché? Perché le ferie sono qualcosa con un inizio e soprattutto con una fine, il mezzo è indefinito.

Indefinito come certi sguardi. Come essere trattate di merda, rimanerci di merda e trattare conseguentemente di merda la persona che ti ha trattata di merda facendola restare di merda. 
Come certe telefonate che si fanno non perché si abbia qualcosa da dire. Come le promesse che odi sentire perché sai che non verranno mantenute, ma le ascolti. Perché sei lì.
Come inviti a cena da persone assolutamente improbabili, per esempio. Caramelle ripiene che compri perché non ci sono le toffee alla frutta e poi ti penti perché mica sono buone uguali. 
E l'elenco potrebbe andare avanti. Ma mi fermo.

Come mi sento ora? Chissenefrega? Io di certo no.

Vorrei avere la capacità di riuscire bene nelle foto. Tipo le tizie che assumono qualsiasi posa e sembrano uscite da uno spot di shampoo per capelli. Pulite dentro, strafighe fuori. Pure se stanno sul water a fare le loro cose.
Dico questa cosa delle foto non perché io sia maniaca eh. Però l'estete è periodo di foto, no? E io mi trovo venuta decentemente solo con sto burqa verde (che in realtà mi piace solo perché mi piace il verde...ma va beh). 

Che pazienza. 

Poi c'è la storia del mercurio (Hg). Quel solito pezzettino di mercurio che mi ritrovo dentro da quando son diventata perito chimico (che ancora manco la logopedia era stata presa in considerazione), che sballonzola e mi fa pericolosamente sbandare a destra e sinistra. Meraviglioso da vedere ma pesante da portarsi appresso tutto il tempo. Che pare essere pure meteoropatico (più che altro subirà gli effetti della temperatura, diciamocelo). 'Sta storia me la serbavo per me, poi quando l'ho confidata a qualcuno, quel qualcuno è andato a riferire del mio pezzo di Hg a un'estranea per fare colpo. Perciò (oltre ad aver escluso l'essere in questione dalla mia vita), ora posso raccontare del mio mercurio a chiunque. Non è più un segreto.

Alla fine fa figo. Che uno ti chiede: "Ma tu dentro di te...cosa senti?". 
E gli rispondi "Mercurio. Mercurio che sballonzola". 
Fa figo, dai. Tipo Iron Man col palladio. 
Mica tutti c'han dentro il mercurio.
Tsè.