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14 ottobre 2021

Non lo so.

È per via del fatto che ormai i giorni buoni scarseggiano, diventano come un'eccezione immersa in una marea di giorni non buoni. È per via del fatto che ci sono relazioni che durano, che crescono fiere anche senza toccarsi, vedersi, sentirsi, e altre che dopo qualche tempo non sanno più trovare cose da scambiarsi. Perché ogni relazione è uno scambio, un baratto. Ti do un mio pezzo se mi dai quel tuo pezzo che io non ho ancora, perché lo desidero tanto. Ma non si prende senza sacrificare qualcosa. È così, ed è nell'ordine naturale delle cose.

[E, quindi, perché stai così, se tutto questo è normale?]

Vedi, quando uno passa la vita a limarsi gli spigoli, finisce che da quadrato diventa tondo. Quando si è tondi e non si ha qualcosa a cui aggrapparsi, ogni refolo di vento diventa leva. Motivo per scappare, dicono i più. Si scappa, si rotola, si scappa continuamente. Diventa quasi la modalità elettiva per andare avanti. Rotolare via e ricominciare.

[Credi che smetterai mai?]

Non lo so.



15 settembre 2021

Parole a latta di tonno

Quando è che certe parole e certe immagini smetteranno per me di essere il bordo di una latta di tonno? "Sussurri tu, mi slabbro, io", avevo scritto.

Ed è così.

Certi argomenti mi tagliano dentro, lacerandomi profondamente. E a me non resta che tamponare l'emorragia, alla bell'e meglio. Con dei cenci presi chissà dove, da chissà chi. Con chissà quale istinto di sopravvivenza.

I sogni stanotte mi hanno portato via labbra e voce, che al di là dell'essere le sole due cose, insieme al collo, che preferisco di più di me, beh, hanno quel sottile filo conduttore che riguarda l'esprimersi. Ma sono io. Io me lo sto impedendo. Trovo questo sfogo nel blog, mi illudo che possa essere sufficiente, ma le giornate mi si accartocciano addosso. 
Vedo una sirena nell'angolo. Si è attivata, rossa, e mi osserva col suo occhio rotante. Mi dice "Fai qualcosa. E fallo in fretta".

Fai qualcosa.
E fallo in fretta.

Fai qualcosa.
E fallo in fretta.

21 agosto 2021

Elenco di quindici #11

1. Sono sempre quella che si veste di buoni propositi e poi non conclude un cazzo. Vi starete chiedendo come si presenta un outfit di buoni propositi: beh è scintillante e apparentemente comodo, con sbuffi di tessuto qua e là.
2. Sono sempre quella che cerca ciò che non dovrebbe nei posti in cui meno dovrebbe, tipo una scatola di biscotti nel frigorifero.
3. Non è vero che non mi manca. Vaffanculo, mi manca ogni singolo secondo di ogni singolo giorno.
4. Riesco a stare al passo coi miei obiettivi quando sono da sola, altrimenti mi adatto alla nullafacenza altrui.
5. Non riesco a non tentare di boicottare le cose belle che mi devono capitare nella vita.
6. Mi mangerei qualsiasi cosa.
7. Resterei senza mangiare per tre giorni.
8. Ripenso ai lucernari, alle mattonelle bianche, alle travi a vista, al rumore del pub sotto casa, al mio letto vuoto, alle porte bianche, a tutto il tempo per me.
9. Non voglio ricominciare a lavorare, succederà fra più di una settimana e già io mi rovino giorni e umore al pensiero della ripresa.
10. Sono stufa di incitare gli altri, non ho nemmeno forza per credere in me, figuriamoci nelle battaglie degli altri.
11. Essere presa. Questo è ciò di cui ho bisogno.
12. E cantare. C'è qualcuno che abbia voglia di strimpellare qualcosa in sottofondo mentre io canto, in una saletta dove il mondo non possa sentire nulla di tutto ciò?
13. Adesso ho bisogno di autunno. Settembre mi fa sempre paura, perché so che adoro fare cazzate nel nono mese dell'anno, ma non fa niente. Andrebbero bene anche le cazzate, a questo punto.
14. Devo continuare a scrivere, ma già oggi sento di aver quasi mancato l'obiettivo. Capita per caso a 20:33 che io pigi questi tasti. Non va bene.
15. Mi manca anche la terapia. Ogni tanto mi chiedo se avrà mai fine. Probabilmente sì e quando succederà mi sentirò male. Fa ridere.



14 agosto 2021

Terzo giorno

Stanotte ho fatto uno di quei miei sogni ansiogeni.

Mi trovavo in una casa nuova che mi apparteneva per chissà quale ragione dettata dal caso: non l'avevo scelta, né arredata, né acquistata. Eppure era mia. Era nostra, a dirla tutta. E, a dirla tutta tutta, in realtà era un'abitazione che non mi è nuova, perché ha popolato un sogno simile già fatto tempo fa.

Nella scena iniziale mi trovavo in cucina, sul lavello, e provavo ad aprire il rubinetto. Al posto dell'acqua scendeva una schiuma che mi consentiva di pulire il lavandino con facilità, cosa che mi faceva quasi pensare: "Beh, niente male questo optional".

Peccato che poi mi accorgessi che l'acqua non fuoriuscita dal rubinetto in realtà lo aveva fatto altrove, allagando il piano cottura e il portastoviglie (una sezione colorata di nero che ospitava teiera e un grazioso servizio da tè, sempre nero e lucido). Una volta andata in bagno - un enorme stanzone a mo' di docce della palestra, che mi faceva pensare "Beh, almeno il bagno è grande, non mi posso assolutamente lamentare" - mi accorgevo che anche qui al posto dell'acqua scendeva solo schiuma, e maledivo chiunque avesse fatto i collegamenti delle tubature, a mio pensare errati per colpa del mio coinquilino, ovvero il mio compagno, sempre lui.

[A questo proposito, dopo Uomodimerda e Naso, credo che occorra trovare un nomignolo anche per lui. Lo chiameremo Effe]

In casa mi raggiungeva anche mia madre, la quale non mi aiutava affatto, ma si limitava a predire le peggiori sfortune sventagliando le mani in aria per scongiurarle meglio, nella peggiore rappresentazione del gufaccio che è seriamente nella vita reale.

Una volta pulito e assorbito tutto quel macello alla bell'e meglio, come se non bastasse arrivava anche un gruppo di amici (non miei) che si dirigeva deciso al lavello per sciacquare della verdura, e prima che li potessi avvertire o bloccare, la casa ritornava piena di schiuma e allagata.

Ora. So già cosa mi direbbe chi di dovere, ma va bene così. Oggi mi limito a riportare tutto questo in preda di una delle mie emicranie con aura, di cui non soffrivo da parecchio e che non mi mancavano affatto.

Ciao.



12 agosto 2021

Pattume.

Portare fuori la raccolta differenziata è una di quelle cose semplici, sulla carta. Basta riempire i sacchi con i rifiuti giusti, farci un bel nodo col laccetto perché la puzza non fuoriesca, scendere le scale e attraversare la strada per lasciare l'immondizia al punto di raccolta. 

La verità è che portare fuori il pattume è un compito che si evita come la peste. Perché è faticoso. È noioso. Lasciamo che a farlo siano gli altri e, se mai si lamentassero, diremmo loro che - oh, mamma mia, che sarà mai! - non è poi un impegno così gravoso.

È un po' come quando uno si impegna a buttare via la merda che ha dentro, dopotutto. Tira fuori le schifezze una dopo l'altra, ci mette le etichette giuste, impara a conoscerle dalla puzza, dal peso, dalla consistenza scivolosa che lasciano sull'anima, come macchie oleose che non se ne vanno da quel paio di pantaloni. Poi infila il tutto nei sacchi, si sobbarca l'onere di trasportarli sul marciapiede opposto, la schiena curva sotto il peso dei fantasmi che soffocano la sua vita da anni.

E poi, così, lungo il tragitto sbuca fuori quel vicino che non vedeva da mesi, lui e le sue odiosissime infradito hawaiane. Lui, che lo guarda sudare e sorride, beffardo. E gli dice che non ne vale la pena, che l'esistenza può essere molto più facile di così, che basta gettare il pattume fuori dalla finestra, senza fare tanta fatica. Che la montagna di merda non crescerà mai a tal punto da raggiungere il balcone, no?

E d'improvviso quel qualcuno si rende conto che non sono il lavoro su se stesso, l'energia spesa copiosamente, la spossatezza, l'ansia di non riuscire, no: non è per quello che si sente un idiota. Si sente idiota perché è l'unico a comprendere il motivo per cui lo fa.

L'unico, sì, nonostante si senta profondamente uno di quei sacchi di pattume da abbandonare sul bordo della carreggiata, senza curarsene troppo.

21 dicembre 2019

Capirsi.

Allora: c'è questa cosa. 
Ho comprato un pc nuovo. Sono in una casa con un WiFi e ho la possibilità di scrivere su queste pagine digitali tutto ciò che mi passa per la testa.
Il punto è che mi ritrovo spesso a fissare il cursore lampeggiare senza avere la benché minima idea di come poter far uscire quello che la mia scatola cranica contiene (metaforicamente, s'intende). Forse servirebbe trasformare la metafora in realtà. 
Con un trapano, ad esempio. Un aggeggio meccanico che riesca a creare uno sfogo per quella massa informe in sovrapressione che costituisce il mio pensiero.

Me la immagino uscire in un gigantesco blob, spiaccicarsi sul pavimento per poi rigirarsi, guardarmi incazzata e urlarmi in faccia cose terribili. Se ne uscirebbe con frasi tipo: "Che ne hai fatto di Martina?", "Perfida aguzzina, torturatrice di idee creative e usurpatrice di libertà!".
"Va bene", risponderei. "Chiedo scusa, hai ragione, signora massa blobosa e pensosa".

Insomma, un attimo. In fondo, mi domando: che cazzo voglio da me stessa?
Sono cambiata, fisicamente e mentalmente. Sto abbandonando una casa, un lavoro (dopo 9 anni), una città, uno status da donna indipendente che abita in un monolocale. Cambio modo di approcciare alla mia professione, le regole, i letti, le idee. Cambio gli specchi con cui mi osservo.
Non ho fatto l'albero di Natale, ma la neve mi ha fatta piangere, la scorsa settimana.
Sono io. Non sono più io.

Mica si può tornare indietro, da tutto questo.
Sono rana, non gambero. Salto avanti, senza voltare il collo.
Prendo da chi mi pare. Prendo da chi passa e mi tende una mano. 
Dono pezzi di cuore, non superficialissime piume. Dono trasparenza e pensiero, e cura, e amore.
Chi vuole restare, resta. Io resto.

Nessuno cambierà mai tutto questo. Nessuno mi costringerà mai a cambiare tutto questo.
Le corazze si rinnovano, si ricostruiscono, si aggiustano. 
L'anima no.

'Fanculo al cursore, stasera.
Ho vinto io.
Vinco sempre io.

Vinco.
Sempre.
Io.

1 marzo 2019

Disturbo Specifico di Movimento.

Ebbene.

Voglio iniziare un nuovo capitolo del blog: le autodiagnosi ad cazzum.
Lo scorso weekend è stato impegnato in uno dei corsi di formazione ai quali la mia professione mi obbliga; così, tra una slide e l'altra, mentre si parlava di dislessia, disortografia e simili, sono pacificamente giunta ad una conclusione. Io soffro di disturbo specifico di movimento.

Sì, perchè dovete sapere che io non guido.
Non nel senso che non ho la patente, no. Ho preso la patente eccome! Ero al primo anno di Università e ho passato esame teorico e pratico al primo colpo (una secchiona). Ma, ecco, le cose accadono (*espressione vaga*) e la mia patente - non so nemmeno io come - è scaduta due dicembri fa (si dice due dicembri fa? Al plurale? Bah).

Ora: io ho fatto pace con me stessa e con la mia situazione.
Nasco bambina grassa e goffa, poco incline alla misura a occhio di spazi, distanze, grandezze, pianificazioni motorie per raggiungere un obiettivo prefissato. Nella bidimensione sono un fenomeno (i miei record a Tetris ne sono testimoni), ma quando si aggiungono la terza dimensione e la cinetica, beh. Sono una frana.
Non ho mai imparato ad andare sui pattini (quelli a 4 rotelle, eh), avevo il terrore delle scale mobili e dei tapis roulant, ho fatto un incidente in bicicletta contro una macchina PARCHEGGIATA (potete ridere ma siete delle BRUTTE PERSONE). Sin da piccina faccio regolarmente incubi che vedono come protagonista me che guido un'auto e creo disastri (dai più banali incidenti stradali fino ai più truculenti: omicidi, esplosioni, tamponamenti a catena, riaperture del buco dell'ozono, compromissione degli equilibri diplomatici mondiali che nemmeno Kim Jong-un).

È una condizione che mi affligge da sempre, fa parte di me come la mia miopia mista a lieve astigmatismo. E ci ho fatto il callo. Mi sono stesa un PDP (Piano di Deambulazione Personalizzato) che prevede i seguenti mezzi compensativi: utilizzo di mezzi di trasporto pubblico, passaggi da parte di amici (nonostante mi odino di nascosto poiché sperpero il mio papabile ruolo di autista perfetta, essendo pure astemia), acquisto di abitazioni nei pressi dei luoghi lavorativi. Posso affermare di godere anche di benefit: non pago benzina, bollo, assicurazione. Non so cosa significhi fare una revisione, forare una gomma, bruciare un faro. Ho acquisito ottime abilità conversazionali quale accompagnatrice non guidante nell'abitacolo. So mimare alla perfezione la sintesi vocale di qualsiasi navigatore. Su richiesta posso anche sostituirla con una voce più calda e suadente. Posso cantare. Leggere libri ad alta voce. Recitare freddure. Anche stare zitta, per i più scontrosi.

Io mi ci sono abituata, sí. Ma la gente no.
Quando ancora la frase "veramente io non guido" non è terminata, iniziano fenomeni quali apertura esagerata e coordinata di occhi e bocca, oppure verbalizzazioni confusionarie:
- "nooo, ma perchè?"
- "ma l'autonomia è imprescindibbbile"
- "ma non ti senti in trappola?"
- "e come fai?".
- Poi ci sono gli uomini, quelli che: "Ah, se stessi con me, te la farei riprendere in mano io la macchina! Un paio di guide nel piazzale vuoto, e via andare". Simpatici.

Vedete? La verità è che bisognerebbe lasciare che ognuno fosse quello che è, permettere a ciascuno di raggiungere i propri obiettivi nel modo - pacifico e di buon senso, si intende - in cui crede. Usare tutti i compensi più adatti, spronare ciascuno a dare il meglio di sè a seconda delle sue possibilità. Lasciar perdere i vari "oltre a non essere capace, sei pure pigro, però!", i "vedrai che se provi un po', tutti i giorni, poi ci riuscirai anche tu". Soprattutto bisognerebbe evitare di svilire, di far sentire in colpa o inetti. Bisognerebbe, una volta tanto, mettere in atto il non fare, anzichè l'agire, e smetterla. Sì, smetterla.


Ad esempio, smetterla di rompere i coglioni.
Amen.


10 dicembre 2018

Loop.

Vado in libreria; regalare libri a Natale dovrebbe essere stabilito per legge.

- Sai che con la tua card puoi acquistare questo libro con copertina rigida al prezzo del tascabile? -. La cassiera ha uno sguardo buono e una voce intelligente; forse sorride perché ha visto che, nonostante non fosse disponibile il libro che le avevo chiesto appena entrata, io ho comunque fra le braccia una pila di cinque volumi da acquistare.
- Ah - faccio io.
- Va alla grande, sai?  Lo puoi prendere a 12€ anziché a prezzo pieno -.
- Ok. Non mi interessa per ora - proseguo abbastanza decisa, illudendomi di poter arginare il suo spirito promotore.

- Senti eh: è la storia di questa ragazza - inizia indicandomi - che sta vivendo un periodo molto difficile della sua vita -. Io deglutisco a vuoto.
- ..alla ragazza viene fatto un atto di gentilezza disinteressato, da parte di un estraneo - ora avvicina le mani al suo sterno - ..e conseguentemente inizia ad analizzare la sua vita concludendo che forse il problema non sono gli altri, ma se stessa! -.

La fila dietro di me si è allungata, lo avverto.  Forse quello che sento è il rumore di una scarpa che ticchetta la sua punta sul pavimento. Batte, stizzito.
Rimbomba nelle mie tempie.
- Oh. Io forse.. -. Mi interrompe.
- Ma la morale di tutto, è che la ragazza capisce che la vita merita di essere vissuta! È un inno alla gioia di vivere! -. Conclude quasi con un inchino; ora il ticchettio della scarpa assomiglia quasi ad un applauso. Sbatto le palpebre due o tre volte.
- Dai, bello - ribatto annuendo, sentendo il mio mal di gola, il mal di testa, le poche ore di sonno accumularsi proprio lì, sotto gli occhi, a tirarmi in basso la pelle.
- Dodici euro, se pensi che ti possa interessare! - ribadisce civettuola.
- Ah ecco..io mi.. informerò. Magari poi torno. Grazie -.
Pago i miei 60 euro frenetica. Poi me ne vado, una sensazione di straniamento non indifferente. Fatico a trovare l'uscita della libreria, quasi si tratti di un labirinto.

Esco. Jingle Bells torna a trillarmi nelle orecchie. L'albero con le luci blu mi abbaglia lo sguardo. Una bambina piange perché  vuole i popcorn. Cazzo.
Fare i regali di Natale non è mai stato così spossante.

Eppure l'avevano detto, sí, che dopo i trenta....

21 novembre 2018

Colpo di coda.

No, niente.
Questo post fa parte del mio "FARE". Che uno si domanda: fare cosa? Cosa fa? Beh. Fa tante cose.

1. Fa freddo.
2. Fa niente, a me il freddo garba proprio.
3. Fa male, quando qualcuno torna e mette nell'orecchio parole dimenticate.
4. Fa incazzare, quando - porcaccialamiseria - devi finire di lavorare prima e finisci comunque dopo e pure male. Oh.
5. Fa schifo la barbabietola. Sa di erba zuccherata al sentore di acqua di bollitura del cavolfiore. Però ha un colore interessante, mi ci farò la tinta.
6. Fa strano sentire la propria voce cantare in modo potente. #nellavitamai
7. Fa piacere tornare in una casa calduccia col temporale fuori e ticchettacchettà sui lucernari.
8. Fa 4. Due più due fa quattro.
9. Fa 30. 2018 meno 1988 fa trenta. Cioè ciao.
10. Fa sospirare, tutto questo. Sospiro e penso che non ce la farò mai, dopotutto. Sono sempre la ragazzina con le gambe storte che cerca il posto esterno della fila, per escludersi un po' già da sola. Per defilarsi senza far scomodare nessuno. Per dare un'occhio al gruppo, alla massa, avere tutto sotto controllo. Per mantenere un profilo basso. Per essere notata solo dal ragazzino strambo che osserva una mosca volare e la vede posarsi sul mio banco, vicino alla mia mano. Vedrà che le mie dita tamburellano, infastidite dal tempo. Vedrà il polso attaccato alla mano, la felpa ripiegata a livello del gomito. I miei capelli un po' viola che si allungano sulle spalle. Probabilmente mi vedrà commossa per quel pensiero che improvvisamente mi passa per la mente, come una nuvola che, per prima, oscura il cielo di ottobre e non ne conosce il motivo. Mi guarderà e penserà che sono bella, nel mio modo strano e invisibile, e giusto, e prezioso. Forse un giorno troverà anche il coraggio di dirmelo. Sí, lo troverà.


11. Fa strano; farà strano, sì. Io a quel "Sei bella" non crederò davvero mai.

1 settembre 2018

Rane.


Credo che occorra ripartire da qui, cioè dalle rane.
È un po' per via del fatto che ho definito questo posto uno stagno, e anche perché quello mi sento, spesso: una rana.
Una rana, sí, un esserino verde che altro non sa fare se non saltare avanti, lasciandosi alle spalle il passato.

Voglio avvisare me stessa del fatto che settembre è arrivato, alla fine. Il nono mese è ormai giunto e, sottolineando l'ironica somiglianza con una gravidanza (ma no, non sono incinta), posso dichiarare a tutto il mondo (o circa) di quanto io me la stia facendo sotto.

Perché settembre è il mese degli inizi. Delle fini. Dei punti di rottura. Delle rotture, sì, di coglioni. Delle novità. Delle farfalle nella pancia. Dei salti nel vuoto. Dei "Martina: che caspita stai combinando?". Dei sorrisi strani. Dell'amore. Delle prime notti senza zanzare. Delle maglie più pesanti. Dei compromessi. Dei desideri.

E io, che ancora fatico a credere di non dover più preparare lo zaino con astuccio e diario, mi invento ogni volta meccanismi arzigogolati perché settembre significhi per me la stessa cosa di quando ero bambina: l'inizio di una nuova me.
Perciò, ogni anno, la Marti ranocchia fa un salto (quello solo, sa fare) da me. Mi chiede se sono pronta a saltare anche io dal precipizio. Mi informa che potrei spiaccicarmi al suolo, che potrei ferirmi, che il posto da raggiungere non è detto sia migliore del precedente.
Ma mi ricorda anche e nonostante tutto, che sono sempre sopravvissuta.
Che me la sono sempre cavata.
Che posso contare su me stessa.
Così salto. Sempre. Di nuovo.

Buon settembre, Marti.
Buon tutto, col cuore.
Buon salto.



19 novembre 2017

Learnings #16

1. Non è mai troppo tardi.
2. Cambiare è bello.
3. Cambiare implica fare tante cose.
4. Fra queste cose sono contemplate anche delle telefonate.
5. Odio fare telefonate. Questo non cambierà mai.
6. Sono interessante. So parlare in modo interessante. C'è gente a cui piace come parlo.
7. Mettere tanta carne al fuoco ogni tanto fa bene.
8. "Entrare in contatto con" significa sentire dolore inizialmente. L'importante è che l'ago tu lo veda dopo il forone.
9. La crema al pistacchio sul fondo del caffè al posto dello zucchero è buona. Soprattutto perché dà l'idea che in fondo a tutte le cose ci sia del verde.
10. Vediamo di recuperare questa scrittura.
11. Vediamo di recuperare questa vita.
12. Sarei pronta.
13. Una manciata di giorni può sembrare un serbatoio immenso.
14. Una casa bianca e legno, che profuma di lavanda e muschio bianco. Dove ci sia sempre del tè da scegliere.
15. Amami.
16. Il peccato più grave di tutti è l'egoismo.


2 giugno 2016

La Marti pescivendola.

Oggi ho fatto le treccine dopo essermi lavata i capelli; ci dormirò su, così domani quando le scioglierò avrò un ondulato naturale ottenuto senza calore, cosa essenziale per i miei capelli con le quadruple punte.
Poi ho cercato un film da guardare per stasera.
Quindi ho visto dei video su Youtube di beauty-tubers e cazzare-tubers che mi fanno sempre venire voglie strane. Del tipo che domani vado a comprarmi delle scarpe simil Espadrillas perchè nelle mie All Stars tarocche dei cinesi ho fatto un buco; non guidando cammino troppo e devo avere una camminata sbagliata, dato che rompo tutte le scarpe che compro. E non andarci, dai cinesi, cazzo!, mi dico. Per una volta non fare la tirchia e spendi un po' di più che della tua salute e della postura non ne puoi mica fare a meno, santa pace!
Dopo ho dipinto con gli acquerelli, alla fine ci sto provando da un po' e anche se la carta non è quella giusta e pensavo avrei combinato disastri, invece no. Ecco, mi piace e mi fa passare il tempo. Sto costruendo uno zoo di animali dipinti e Raffa è la migliore. Almeno fino ad ora. 



Al termine di tutto questo ho pensato che avrei potuto togliere lo smalto dalle unghie e rimetterlo anche se non è così brutto, giusto per far passare il tempo, solo che sapevo che sarebbe stato solo per far passare il tempo e la cosa mi ha trovata restia e perplessa. E ho concluso che odio i giorni di festa in cui sono a casa e le mie ansie e i pensieri prendono il sopravvento, è meglio fare 14 terapie al giorno con mezz'ora di pausa pranzo e dover pisciare in fretta quando uno dei pazienti arriva un minuto dopo l'orario esatto e ti dici "Ahh, era da tre bimbi che me la tenevo, la vescica stava per esplodere!". E sei contenta così.

Ecco: penso che dovrei fare la pescivendola. La Marti pescivendola potrebbe trattare a pesci in faccia la gente  (ha i pesci per farlo, va da sè) e - se necessario - potrebbe pigliare a salmoni in faccia anche se stessa quando mai si atteggiasse a "quella figa" che non ha mai problemi, che è super sicura e che non ha bisogno di essere gelosa perchè se dovesse mai succedere qualcosa reagirebbe con tali fermezza e decisione che Xena Principessa Guerriera je fa 'n baffo. La Marti pescivendola puzzerebbe e non avrebbe fidanzati fighi con la parlantina sciolta e la prestanza fisica e la cultura e gli interessi e la vena artistica e quelcertononsochè di cui preoccuparsi perchè si è folli e ci si preoccupa per cose inesistenti e idiote. La Marti pescivendola starebbe con uno scorfano, si sa. E sarebbe più tranquilla, lo so.

Io devo cambiare lavoro, questo è il punto.
E le vacanze fanno male.

1 novembre 2015

Uomini e donne.

Gli uomini sono imbecilli. 
Cioè non lo dico io perché sono io: è il risultato di studi scientifici di alto livello. Io seguito ad essere una delle promotrici ufficiali, tutto qui. Uno dei principali soggetti di cui la scienza si avvale per sperimentare sul campo questa teoria. 
Lo faccio a titolo gratuito, voglio precisarlo. Per la gloria e la sete di conoscenza, che spesso è cosa amara.

Nello specifico, si parla di cellulari.
Quegli oggetti sottili per lo più di forma rettangolare che oggigiorno gli esseri umani utilizzano per tenersi in contatto con gli altri, che siano famigliari, amici, sconosciuti, colleghi, o povere innamorate a chilometri di distanza che si chiedono cosa stia facendo l'amato in quel momento.
Ecco. Lo scarso possedimento di testa dell'essere umano maschio lo porterà ad essere spesso in ritardo e a dimenticare l'oggetto sopracitato nel salotto della propria abitazione, alla mercè di gatti, tempo che scorre e acari della polvere. Un magro destino.

Se non fosse che l'amata - conscia di essere l'unico essere vivente con cui l'uomo si tiene in contatto ogni giorno - inizia alle 8 del mattino a ruminare quelle assurde paranoie esistenziali del tipo: "ahah. Lo ha lasciato a casa di sicuro. Lo avrà lasciato a casa? La devo prendere con filosofia? E se non è stato bene in casa da solo? Avrebbe potuto avvisarmi col telefono di un collega, ma è un uomo, si sa, non ci arriva. E se è caduto per terra e il gatto sta leccando il suo cervello? Non tanto per lui, quanto per il gatto che morirebbe di fame, ecco...". L'amata manderà pochi messaggi, l'ultimo dei quali riporterà questo messaggio: "Spero che tu abbia solo lasciato il telefono a casa..".

E quando alle 17.50, insieme ad ulcera e mal di testa, arriverà la risposta "AHAHAHAHAHA...ma certo amore!!!", non resterà che chiedere una cosa:

 
E soprattutto: CAZZO RIDI????!!

A nulla serviranno le scuse: "Sai come sono fatto! Solo perché siamo nell'era dei cellulari, una volta le persone non si sentivano per giornate intere". Esatto, tesoro. Siamo nel futuro, si chiama progresso, fattene una ragione. "Ma se mi fossi fatto male ti avrebbero avvertito, no?". Cazzo dici? Non sono tua parente io. 
E alla fine della fiera, ragazzi miei, devono avere ragione loro.
Non te la danno vinta manco morti. E allora? Allora te lo dico io:

Ciaone.


5 luglio 2015

Elenco di quindici #7

I maschi: inesauribili fonti di idiozie francamente evitabili. 
Diciamo che la lista si farà più breve, altrimenti questo post potrebbe diventare una rivisitazione della Divina Commedia. 10 punti.
Passiamo all'elenco.

1. L'utilizzo del navigatore, per i maschi, ha caratteristiche del tutto personali. Devi andare al Parco Secchia della frazione Villalunga di Casalgrande? Loro imposteranno Reggio Emilia, sul navigatore. Poi procederanno a spanne. Dopo tre strade sbagliate, la donna estrarrà il suo telefono e li condurrà a destinazione in due minuti.

2. L'esibizionismo. Agli uomini fa piacere avere delle cagnoline in calore che sbavano alle loro spalle. Viceversa, se un uomo discretamente tatuato adocchia la loro fidanzata, decidono di andarsene dal Parco Secchia di Villalunga (Casalgrande) - volevodireReggioEmilia, pardon - prima della fine del concerto. 

3. La capacità di procrastinare qualsiasi cosa è del tutto maschile. Potrebbero farsi scoppiare la vescica per via del fatto che "sì, devo fare pipì ma magari ci vado dopo".

4. Avere idee geniali. Ogni tanto ne hanno anche loro. Peccato che due minuti dopo averla partorita, cambino totalmente idea.

5. Minimizzare. Sono bravissimi. Bra vis si mi. Intendo quelle cose del tipo "Ah amore, il mio amico ci ha invitati a cena, vieni?". E, benchè lui conosca la tua innata sociofobia, arrivi sul posto e ti trovi una tavolata di venti persone. Che non si dica che non te l'aspettavi, furbacchiona.

6. L'organizzazione delle vacanze. Fosse per loro partirebbero con il fagotto; no, non lo strumento musicale, ma quello che si vedeva nei cartoni animati quando qualche personaggio doveva intraprendere un lungo viaggio. Un bastone, un fazzoletto adibito a sacco che contiene - in ordine di importanza -: lettore mp3, occhiali da sole, una bottiglia d'acqua e un sacchetto di caramelle. E a dormire: sotto i ponti!

7. L'ipocondria. Non è un modo di dire: davvero credono di poter morire per un taglietto.

8. Agli uomini piace ergersi a modello. Dovresti mangiare questo, dovresti correre di più, dovresti prendere il costume a due pezzi, dovresti provare a fare quell'altro. Se cedessimo, si troverebbero a convivere con esatte copie di loro stessi. È giunto il momento di far loro sapere che il nostro comportarci come pare a noi è in realtà un brutale sacrificio d'amore. Vi amiamo.

9. "Come stai? Dove vivi ora? Lavori ancora lì?". Gli ex uomini sanno ricomparire alla cazzo e inondarti di domande a cui non risponderai. Non si vergognano. Anzi, aggiungono pure: "Oh, non volevo riallacciare rapporti eh, inutile che non rispondi! Volevo solo sapere se era cambiato qualcosa!". Sì. Non ci sei più tu e io sto bene, cretino.

10. "Amore ti scoccia se suono dieci minuti? ". NO, QUESTO FACEVA PARTE DI UN ALTRO POST. E comunque suona, che mi piace. 

Tanti cari auguri di buone vacanze, Calimero.
ps: in realtà io il mio Calimero lo amo tanto. ♡

6 giugno 2015

Learnings #10

È il caldo, credo. Scusatemene, ma non so se riuscirò a rispondere di tutto ciò che sto per scrivere.
1. È bello ascoltare musica in tv alla mattina; passano canzoni migliori che in tutto il resto della giornata. È di sicuro perché sanno che li sto guardando io.
2. Se ti svegli alle 4 però non è considerabile "mattina", quindi non accendere la tv in cerca di buona musica.
3. Odio i matrimoni. Odio l'eventualità di incontrare le care amiche dei tempi andati. Se sono andate, come i tempi - per l'appunto - ci sarà un motivo.
4. Io devo scrivere. Se non scrivo, qualcosa si rompe e io sto male.
5. So esattamente che tasti premere; lasciamo tempo al tempo.
6. La voglia di coppa di gelato si può estinguere solo ordinando una coppa di gelato. Cosa che io ancora non ho fatto (MESSAGGIO SUBLIMINALE).
7. Hai capito che faccino da guru indiano?
8. Bramare l'aria condizionata è funzionale solo nel momento in cui si è sicuri che gli impianti di condizionamento siano periodicamente ripuliti da polvere e batteri. Altrimenti, nei primi due giorni, la puzza di morto non te la leva nessuno.
9. Mi piace lo smalto rosso sangue.
10. Odio le persone che dicono "prima tutti a lamentarsi del freddo, adesso arriva il caldo e tutti a rompere le palle per il caldo!". No, io voglio il freddo. Mai lamentata del gelo porco, anzi lo bramo. Neve, sciarponi, maglioni, pupazzi di neve. Voi, insulsi amanti dell'estate: farete una brutta fine, cuocendovi.
11. Bambini: andate in ferie. Mica vorrete fare logopedia con 'sto caldo. Dico io.
12. E se mi colorassi i capelli di rosso?
13. È inutile fare programmi da strafiga: capelli rossi, gonne, tatuaggi. E poi non fai mai un cazzo, Martì. E datte 'na calmata.
14. Sì. Ho una nuova pillola di logo da scrivere. Ma devo prima rielaborarmela dentro un po'. Che fa male.
15. Vorrei che le cose fossero diverse.
16. Vorrei essere diversa.
17. Ogni tanto nella mia pancia c'è un folletto che salta. Ho imparato a conviverci. Lo chiamo Ansietto. Di notte corre sulla ruota come un cricetino. Me lo immagino coi capelli blu, scompigliati da un vento fresco, e il volto olivastro con brillantini verdi. Deve avere quelle rughette tipiche dei folletti, e secondo me racconta storie divertenti alle mie budella. A ben pensarci è un'immagine raccapricciante. Ma amo queste cose.

Buona estate. Mh.

2 aprile 2015

Tama 'n lumagot.

Forse quella persona, tempo fa, aveva ragione.
Aveva ragione a dire che io coi poco normali ci sto meglio che coi normali.
Qui si aprivano le diatribe sul "cosa è normale e cosa no", ma se uno fa poco il sofisticato, allora, va bene e si capisce.

Passa il tempo e io continuo a non sapere come comportarmi con i normali.
Continuo a non essere in grado di starci in mezzo senza sentirmi una lumaca. Sì, una lumaca. Che se mi toccano le antenne sparisco nel guscio che - per carità - sarà anche un bel guscio, ma è pur sempre poco comunicativo.

Ringrazio i masseteri, che sono ancora in grado di digrignarsi e serrarsi per non far spuntare fuori lacrime salate, concentro tutta la tensione nei denti, nei molari, e poi scoppio a piangere perchè non ce la faccio più a mordermi. E continuo fino a tardi, quando ormai il letto mica è più tiepido, e le mie braccia da camionista non mi stringono a sufficienza il torace.

Come una lumaca.
E non so più stare con me stessa. E ingoio discorsi che si dovrebbero fare.
E vorrei sembrare normale, in grado, competente, simpatica, carina, perfetta.
E pensare che invece so impostare una CI, so stringere una mano e comunicare una disabilità intellettiva, so far stare 10 persone in 9 stanze, so insegnare la tabellina del nove con le dita, so correggere test, so soffiare il naso a qualcuno senza smoccolarmi le mani, so piangere perchè la tristezza non è solo adulta e l'ingiustizia non è nel mondo, ma è appena fuori dal pianerottolo.

Non sono mai stata in giro per il mondo, approposito. Non ho assaggiato l'acqua di mare, non fumo, non bevo, non mi drogo. Non ho preso un aereo. Lascio le chiavi di casa nella toppa, quando esco al mattino. Perdo carta d'identità e codice fiscale, la testa l'ho ancora attaccata al collo, fortuna vuole.

Come una lumaca. Io sono una lumaca.
Senza bavetta, però.

Dai, è carina.

3 gennaio 2015

Elenco di quindici #5

Il genio della lampada mi si è palesato. Sì, se ve lo steste chiedendo ("steste", ma che è??!), questo è il prodotto degli eccessi di zuccheri e trigliceridi festivi. Una totale follia visionaria.
Il grande omone blu, ad ogni modo, mi avrebbe chiesto di stilare un elenco dei 15 desideri che esprimerei se per caso le nostre strade si incrociassero nel roboante mondo reale (sempre se ve lo steste chiedendo, sì: il mio umore oggi si aggira all'incirca tre metri sotto terra, grazie per l'interesse).

1. Vorrei che i miei chili di troppo si trasformassero in chili di banconote, possibilmente da 500 €. Quanti sono dieci chili circa di banconote da 500 €? Me lo sapete dire?

2. Vorrei avere sempre una risposta da dare, non importa se giusta o sbagliata: l'importante sarebbe evitare il silenzio inutile.

3. Vorrei che la Signora Sfortuna (per gli amici "Sfiga" o "Jella") prevedesse a breve una dipartita verso altri lidi; non occorre nemmeno che mandi la cartolina, tanto non m'offendo.

4. Vorrei che le persone a cui tengo fossero sempre libere.

5. Vorrei che le persone buone avessero sempre il coraggio di affrontare i giganti cattivi e la prontezza di spirito per difendersene nella maniera più giusta.

6. Vorrei ricordarmi i miei sogni.

7. Vorrei saper nuotare e guidare.

8. Vorrei sentirmi adeguata nonostante tutto ciò che non riesco a fare e nonostante l'etichetta "2" sulla fronte.

9. Vorrei più meritocrazia e più punizione per chi non merita rispetto.

10. Vorrei più sincerità e meno facciate di convenienza.

11. Vorrei sentire dal solito qualcuno a caso: "Hai ragione, l'immagine profilo di Whatsapp si può modificare anche su un LG senza bisogno di fare il testone e imprecare in aramaico antico". *Smak*

12. Vorrei avere più spesso l'occasione di scordarmi del tempo che passa.

13. Vorrei avere più spesso l'occasione di sentirmi al posto giusto nel momento giusto.

14. Vorrei che chi amo avesse a disposizione altri 15 desideri tutti per sè.

15. Vorrei che chi amo fosse sereno.

Grazie Genio.


Fine.

9 novembre 2014

Elenco di quindici #3

Dunque: ora vi spiego cosa capita. Capita che un personaggio a caso mi dica, in una situazione ben particolare: "Beh, questa frase che hai appena detto dovrebbe andare in uno dei tuoi famosi elenchi di 15. Facile farlo con gli altri e fare la figa: perchè non lo fai con le cazzate che dici tu?". Ebbene: se provocata io reagisco e accetto la sfida. Che non sia mai che La Marti si tiri indietro.

1. "Era a te che avevo già fatto il tè ai frutti rossi in casa?". Inutile spiegare che non fosse lui, l'uomo in questione.
2. "Ma dai: grosso non vuol dire grasso!". Inutile dire che l'interlocutore avesse problemi di peso.
3. "No, ma questo è proprio uno dei miei casi disperati ed impossibili: non potrei mai frequentarlo, tranquilla". E poi lo frequento.
4. "Come va oggi Ma?". Si chiamava Luca.
5. "Sì, bello quel racconto lì. Cos'è che volevi esattamente dire?".
6. "Mica mi dirai che sei uno che estate vuol dire mare, la domenica il calcio e il sabato sera discoteca fino alle 5? Ahahah!". Sì. Ah.
7. "Ma ti posso assicurare che non me l'hai mai detto, figurati!". Mi presenta le prove scritte.
8. "Va beh, ma è giusto: se devi andare a fare qualcosa vai e ci vediamo un altro giorno, senza problemi". Alle 20.32.
9. "Sì, ti prego vieni da me". Alle 21.04.
10. Alla domanda "Che fai?", "Mi faccio compagnia. DA SOLA". Perchè il sottinteso è sempre una carta vincente.
11. "Che palle. Mi sono rotta. Non ci vediamo da gennaio e tu ogni 3x2 spunti fuori come un fungo. Voglio dire: se ci pensi è assurdo". In altri casi, la chiarezza è tutto.
12. "Belli. Sono i baffi da attore porno anni '80. Belli.".
13. "Che faccia da rincoglionita quella". Quella, che dopo due secondi lui saluterà, sua amica da una vita.
14. "Ah, ma li metti davvero quei guanti per guidare?". Non era una candid camera.
15. "Ho detto più su!". Questa non la spiego.

Che non si dica che non ho fegato, miei cari.
Ce l'ho. Anche troppo.

4 novembre 2014

Discalculica.

Discalculica. Sì, perchè mi rendo conto di non contare più, di non sapere più contare. Almeno non nel senso comune del termine. 
Scrivo adocchiando un foglio e il 12 ottobre, che pare alla mia testa così lontano, scopro, in realtà è meno di un mese fa. 
E quanto possono essere difficili da contare 60 giorni? Un pugnetto di date e numeretti che si scombinano nella memoria per dare origine a qualcosa che non riesco a leggere neppure se mi metto a testa in giù. Seduta sul pavimento, le chiappe al freddo e la schiena appoggiata al calorifero.

Quante cose sono state omologate nelle nostre equivalenze? Quante prima di scoprire che un chilo son mille grammi e che a dire l'uno o l'altro si dice esattamente la stessa cosa? Quante equazioni e parentesi graffe a bordare i giorni che da miti si son fatti umidi e poi freddi? Quanti problemi da risolvere senza calcolatrice, che i calli alle dita fan troppo male per poter schiacciare tasti? Quanti scontrini senza resto, quello dallo alla vita, che altrimenti qualcosa in cambio lo chiede a me in persona, ed ora io son troppo ricca di una cosa sola, che non la voglio dare a nessuno. Che è mia, mia soltanto. Mia. 

E le percentuali? Quelle mi osservano sempre, da lontano. Chiedono le fette che io non ho mai saputo fare con precisione, perchè mi son sempre affidata al cuore per dare la giusta dimensione alle cose. Che "affetto" non è verbo ma nome, e nemmeno astratto, ultimamente. E nel palmo della mano riconosco i contorni di un cuore che batte ancora; roba poco scontata, tornando ai numeri.

E quindi discalculica, sì. Perchè non conto più, non nel senso canonico del termine. Con le monete non l'ho proprio mai saputo fare, e ora anche con i giorni. Non voglio più contare, non ne sono capace.
Voglio invece contare per qualcuno, qualcosa che non siano numeri, che non siano tabelle, che non siano ore e giorni e stagioni. Che se non ci sono più le mezze, di stagioni, allora inventiamoci le doppie, le triple, o le frazioni più piccine. 
Che ad attaccare etichette ai quadri, se ne preoccupano solo i commercianti o i compratori, ed io non ho nè esperienza nè soldi a sufficienza per essere uno di loro.

Io sono un'esperta di altro.
So tutto di quello che chiudi gli occhi la sera, e alla mattina li riapri stanca, consapevole di aver viaggiato tutta la notte.
Io sono un'esperta del sogno bambino.
Io sono un'esperta del sogno, bambino.

"Autumn elegy", L. Afremov

25 ottobre 2014

The others: il remake (SPOILER!!)

Avete presente "The others", con la Kidman?
Ecco, è stato recentemente girato un remake.
A casa mia. L'attrice principale è mia madre.

Sostanziali le differenze: la famiglia è sempre composta da 4 elementi, di cui due genitori e due figli (un maschio più piccolo - Fratellopaziente -, e La Marti). Il padre non è però deceduto al fronte e la casa in cui vivono (immersa nella nebbia della Bassa Padana anzichè della brughiera inglese) non è così esageratamente enorme.
Si aggiunga a tutto ciò un rinnovamento del focus attentivo che ruota attorno ai componenti domestici. Se, infatti, nella versione originale erano le porte a farla da padrone (ricordiamo la celeberrima battuta "Nessuna porta deve essere aperta prima che l'ultima sia stata chiusa, è così difficile da capire? Questa casa è come una nave e qui la luce deve essere controllata come se fosse acqua, aprendo e chiudendo le porte"), il remake viene costruito attorno ad un perno lievemente diverso: le finestre.

La trama, infine, racconta di questa madre fondamentalmente ossessionata dalla pratica di rinnovamento dell'aria all'interno delle stanze, di come la figlia (La Marti) lotti strenuamente inseguendola a destra e a manca per chiudere i vetri e di come alla fine (SPOILER!!!) quest'ultima si arrenda di fronte alla furia omicida del genitore.
Riporto soltanto, con criteri del tutto personali (in molti sensi) una battuta del film e la descrizione di una delle migliori scene del remake. Per la prima ho scelto: "Non sai che se non si cambia l'aria ogni tanto i germi e i batteri poi prolificano e qui diventa una fogna? Su, dai, anche se sono le 7.30 apro solo un paio di minuti". 
Per la scena, invece, vorrei sottolineare la profonda riflessione che suggerisce il passaggio in cui la figlia, ammalatasi di tonsillite e sofferente nel suo letto di dolore, estragga il piumone all'alba del 23 ottobre e vi si rintani sotto come un piccolo leprotto in cerca di rifugio per il letargo.

Indescrivibile. Solitamente non amo i remake, ma questo mi ha lasciata senza parole.
Lo consiglio, vale tutti i 7/8 euro del biglietto. Per chi fosse interessato al tour all'interno della casa, mi contatti privatamente. 



Inutile chiederlo, cocca: probabilmente è morta di polmonite.

E ricordate: stanotte allo scoccare del cambio dell'ora, è consigliabile un repentino cambio dell'aria. Per inaugurare l'inverno con una congestione paura. Buoni brividi a tutti!