30 agosto 2015

Nomadi stanziali. Un post che non doveva stare qui ma starà qui perché qui posso dire ciò che voglio.

Cantano in piazza stasera. Un Vasco francamente evitabile, non essendo Brondi. Nomadi passabili. Qualche pezzo antico rispolverato, di Artisti Vari.
Poi ci sono io, dalla mia camera da letto che si affaccia sul campanile. Una volta le campane erano vere, adesso sono solo registrate. La mia casa sembra qualcosa di nuovo, che non vedo da tanto tempo.
Sono i Gang questi? Mica è possibile, ma mi pare di sentirli ovunque. Ma no, figuriamoci. Sarà un Finardi di qualche tipo.
Ad ogni modo. È solo a casa che riesco ad evacuare come si deve. L'argomento è delicato, lo so, ma è proprio così: altrove mi è difficile liberarmi da quello che ho dentro. Forse in molti sensi.

È quando i sogni inizi a sfiorarli con i polpastrelli, che ti si crea quella paura di perderli o vederli sfumare in una folata di vento. È quando il tuo castello di carte si dota di Supercolla Sigillante che ti domandi ("è un Dio che è morto, ai bordi delle strade..") quanta violenza ci vorrebbe ora per smantellarlo pezzo per pezzo.
Vaneggiamenti. Insensatezze, così usavo chiamarle.
Ci sono tante zanzare quest'anno. Le zanzare del Nilo, la malaria, l'ebola, il morbillo e la dissenteria. "Impressioni di settembre". Io so chi questa serata musicale farebbe andare in brodo di giuggiole. Settembre. Manca poco.

La chitarra ancora non ho imparato a suonarla. Per forza, volevo esercitarmi e poi ho mollato tutto per pucciare piedi e sederone nell'acqua salata di Roma. Roma, la Città Eterna. Una Fontana di Trevi coi lavori e comunque lacrime che scendevano. Ma non era questo il discorso.
La gente. Persone ovunque che parlano e lanciano rasoiate e io mi chiedo cosa succederà quando feriranno davvero a morte qualcuno. Chissà se la saliva che sputano farà da coagulante o se avranno imparato la fine arte della sutura, per quel giorno. Per ora sostano in club privati, disinteressandosi del mondo e di quello che c'è fuori - perchè quello dentro parrebbe essere più importante -. E chi dissente? Io no. Ma conosco il rispetto.

 E so che esiste anche il numero 21, di articolo della Costituzione. E so che la Comunicazione è il punto nevralgico del mio lavoro: no, della mia vita. So che ("..io voglio vivere, ma sulla pelle mia..") violenza significa anche tappare la bocca, strappare una pagina scritta e bruciarla nel magico mondo virtuale, cliccare e cancellare il prodotto di altri. Violenza è non ascoltare, violenza è ignorare. E Nessuno voglia mai che io lo faccia con chi amo, con chi aiuto, con lo sconosciuto che incontro per strada.

Perché allora avrò fallito.
Come logopedista.
Come donna.
Come essere umano.

16 agosto 2015

Nemmeno se.

Nemmeno se mi perdessi continuamente chiavi, portafoglio e telefono lasciandoli sul marciapiedi o sul tettuccio della macchina.

Nemmeno se Mannarino mi dicesse che a Carroponte mi ha notata nel mezzo della folla e ha riscritto la canzone cambiandola in "Me so' 'mbriacato de Martina".

Nemmeno se dovessi sbagliare sempre strada col navigatore e arrivassimo in ritardo a qualsiasi appuntamento, costretti ad andare avanti indietro sulla stessa via per dieci volte, col trattorino che ci prende per il culo.

Nemmeno se mi comprassi decine di mantelline per la pioggia rosa confetto.

Nemmeno se dovessi impiegare ore per svegliarti al mattino, sfiorandoti il braccio e tu che mi assicuri "sì, sì", col testolino per dirmi "sono sveglio". E invece non è vero.

Nemmeno se il passato dovesse continuare a ferirti e io a lottarci contro, provando a cancellarlo col nostro presente.

Nemmeno se tutte le volte si inaugurasse il viaggio morendo di incidente stradale*.

Nemmeno se continuassi a farmi notare "patatine" per le strade e fotografare gente casuale per poi modificare le immagini e mandarmene trenta per volta (sì, bella 'sta sciura che guarda il Colosseo, ma io e te dove siamo?).

Nemmeno se continuassi a ungermi di creme di ogni tipo e io facessi SWISSH ogni volta che mi abbracci e/o scivolassi sul pavimento sbattendo il sederone (perchè mettersi ettolitri di crema "fa bene").

Nemmeno se continuassi per l'eternità a portarmi in posti dove sono morte persone, a farmi sentire canzoni in cui si racconta la storia di persone morte, a chiedermi informazioni geografiche e storiche sapendo la mia innata riluttanza per l'argomento (Quito. La capitale dell'Ecuador è Quito).

Nemmeno se tutte queste cose si avverassero io ti mollerei. Ma manco morta.
Mettilo in conto, perchè è una minaccia, sì.


Ho imparato che più si pospone il momento in cui si vuole scrivere qualcosa, più significa che si ha paura di far uscire i concetti dalla propria testa.
Perchè perdere belle cose, o comunque farle sbiadire, fa tremare un po' dentro.

*
Per non far preoccupare nessuno (..ma chi?).