29 luglio 2016

Svastica.

Questa è la dimensione nella quale ritorno quelle volte in cui ho nostalgia di casa, quando avrei voglia di spaccare tutto ma poi non lo faccio perchè, anche se ne avessi il diritto, sono - in fondo - un essere pacifico. È la dimensione che mi accoglie ogni volta e mi dice che sono la benvenuta, che assicura che capirò motivi e ritmi senza sforzo.
È un racconto. Un racconto di Charles Bukowski, il primo per me che di suo non ho mai letto niente. Gli ubriaconi non mi stanno simpatici, a dirla tutta.


Il racconto narra del rapimento del Presidente degli Stati Uniti, e non di un Presidente qualunque, ma del prescelto; quello che, dopo l'organizzazione degli omicidi Kennedy, è l'unico che possa davvero diventare il destinatario più compatibile.
Un contenitore, a tutti gli effetti, di un'identità altrui; quella che appartiene ormai ad un vecchio uomo, un ex dittatore tedesco creduto morto e invece sopravvissuto al Tempo e alla Storia. Uno che non ha mollato le redini del potere e, imbracciata la potente arma del progresso scientifico, la utilizzerà per sovvertire la gerarchia mondiale.

Uno scambio di corpi, per la precisione: chi era canuto e claudicante diverrà potente e pericoloso. D'altro canto chi crederebbe a un vecchio che nemmeno ricorda il proprio nome, se dovesse affermare di essere il Presidente degli USA?
Verrà naturalmente rinchiuso in un ospizio, dove sarà richiamato per il pranzo e distolto dalle sue solite fantasticherie, compatito perchè la troppa passione per la politica lo ha ridotto ad uno straccio. 
Per non parlare di quei baffetti sotto al naso, così simili a vecchi estremismi decaduti.

È una storia che insinua, insomma. Verrà infatti censurata per lungo tempo in Italia, esclusa dalla raccolta di cui fa originariamente parte, "Storie di ordinaria follia".
Ma il punto cruciale, per me, è un altro.

"Svastica" è - al di là delle insinuazioni appena citate - un racconto ben scritto, ben pensato, ben architettato.
È quella dimensione sicura e ben delimitata che assicura cinque minuti di lettura e l'attivazione del pensiero. Forse addirittura una notte tranquilla.
A chi scrive bei racconti dovrebbe essere dato un contributo economico, nessuno escluso: professionisti, principianti e appassionati amatoriali.

Chi scrive racconti, e forse Charles lo sapeva, ha una grande responsabilità: quella di avere poche parole e righe a disposizione per raggiungere lo stesso obiettivo che i grandi romanzieri ottengono con un libro intero, forse una saga: un sospiro di serenità.

E mica si dice merda, nè?

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