26 novembre 2016

Come il formaggio.

Oggi sono sei anni che mi sono laureata.
Lavorare come logopedista è un qualcosa che si inizia - se si ha fortuna - sin da subito; essere una logopedista, invece, ha bisogno di una maturazione lenta e graduale. 
Come, il vino, penso. Ma sono astemia, quindi va beh. Come il formaggio, ecco.

Essere una logopedista è qualcosa che riempie e svuota, tante volte addirittura in contemporanea. Chiunque dicesse che versamenti e prelievi si controbilancino sempre, beh, sarebbe un grande bugiardo. Ci sono periodi bui, in questo mestiere. Come nella vita.
Ci sono volte in cui varchi la soglia dello studio senza la minima energia, chiedendoti come farai, quel giorno, a ricorrere alla magia. Perchè è solo con la magia che si può essere una logopedista. Ci sono attimi in cui ti attiveresti per creare fogli su fogli di materiale, giochi, pagine plastificate, documenti a disposizione di chiunque ne necessiti e mille altre cose. Poi succedono i tempi stretti, la stanchezza, le tristezze, la sfortuna, la vita.

Ho letto di qualcuno che diceva che se hai passione per qualcosa, il tempo lo trovi.
Non è cosí. Alle volte il tempo non c'è. Ma non c'è proprio, non per finta.
8-19 tutti i giorni non lascia scampo. Il tempo te lo devi conquistare a forza di battaglie e denti stretti, lacrime che vengono trattenute negli occhi e rivoluzioni.
E le persone in difficoltà sono a volte - per fortuna non sempre - candelotti di dinamite da maneggiare con cura, che se scoppiassero incidentalmente distruggerebbero loro stessi e anche te.

Poi ci sono le soddisfazioni, chiaro; sono grandi e belle, e risplendono come una carezza il giorno di Natale. Ma non ne parlerò adesso, no. 
Ne ho già parlato troppe volte e mi sembra di dare sempre poco spazio, invece, alle fatiche. Non è tutto bello, non è tutto buono.

Sei anni fa nevicava, al mattino. Sono partita in macchina con delle scarpe troppo alte e ho aspettato tesa, in piedi, fino alle quattro del pomeriggio. Per le due settimane successive non ho avuto sensibilità alle dita dei piedi. Forse era un anticipo di ciò che mi sarebbe successo dopo, ma io lo colgo solo ora, e sto sorridendo.
La neve era per me, io lo so. Era qualcuno che mi voleva stare vicino nonostante non fosse più fisicamente con me.
Le scarpe, d'altro canto, me le ero scelte io; anche questo fa un po' ridere.

E quindi sono passati sei anni. 
Le cose non si sono fatte più semplici, perciò quello che sto scrivendo è una virtuale pacca sulla spalla per dirmi che il percorso è appena cominciato. 
Che di lottare non smetterò mai. 
Che di cose da imparare ce ne sono milioni, forse miliardi. 
Che devo rispettarmi di più, perchè anche il Titanic è affondato, una volta impattato l'iceberg. 

Per dirmi che la bicicletta l'ho voluta io, alla fine.
E mo'...eh. E mo' pedala, cretina.

A me il formaggio piace.

2 commenti:

  1. pedala, pedala..... alla fine di una dura salita c'è sempre una bella discesa (ok ok ok ci sono anche i burroni e le strade senza guard rail e i freni si possono rompere.... ma con le scarpe giuste puoi frenare anche con i piedi :P

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    1. Potrei ricordarti che siamo in novembre..selciato umido, pieno di foglie..ma non vorrei fare la catastrofista!!

      ;) ciao frog!

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