19 aprile 2014

Game Over.

- Vede, mamma? Sarebbe come - facendo un esempio assurdo ed esagerato - se mi mettessi seduta davanti a un bimbo senza mani e gli chiedessi di prendere in mano una matita e scrivere -.

Rifletto su questa cosa che ho detto alla mamma di un mio pazientino, non più tardi di tre giorni fa.
La mamma ha sorriso ed annuito. D'accordo sul fatto di non pretendere certo troppo poco, ma nemmeno troppo dal suo bambino. Pretendere il meglio che possa darci con le sue potenzialità. Perché è il giusto. Perché il troppo farebbe male a lui e a noi.

E, tre giorni dopo, ci rifletto.
Perché predico bene e razzolo male.
Mi rendo conto di cullarmi in idealismo e utopia (forse); mi rendo conto di pretendere dalle persone ciò che molteplici volte hanno dimostrato di non sapermi dare. Di starci male a livello unidirezionale. Di farmi condizionare la giornata sulla base di queste richieste inesaudite.
E mi sento proprio stupida, perché sapevo di combattere una guerra persa in partenza.

Soprattutto a livello non pratico ma emotivo, sentimentale e intangibile, non si può chiedere a nessuno quello che non ha da dare. Un sentimento non si può obbligare, si può solo provare; e se non c'è, beh: non c'è.
Non ci si può restare male una, due, tre volte nel corso degli anni. Bisogna alzare bandiera bianca e affermare di avere almeno tentato di dare il proprio massimo perché emergesse.
Se non c'è è perché non doveva esserci, punto.

Occorre mettere in tasca l'orgoglio, smettere di dare capocciate ad un muro che non può crollare, medicarsi i bernoccoli, attorcigliarsi in uno strato protettivo in più, che non faccia notare la sconfitta e il proprio esserci rimasta male.
Ogni volta mi sorprendo della mia fragilità. Di quanto la cocciutaggine e la tenacia si sgretolino con poco. Il rendermi conto di tenere troppo a qualcuno che a me non tiene per niente.

La sensazione di essere un pacchetto che occupa il proprio posto. Che se cadesse dallo scaffale un giorno, potrebbe essere prontamente sostituito, come già successo con altri pacchetti. Tutti utili, nessuno indispensabile. Quell'etichetta di "seconda scelta", come con la carne, che sbrilluccica sulla fronte con le luci di Las Vegas.

Sono stata sconfitta.
Mi sono sconfitta da sola, come al solito.

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