8 agosto 2014

Non parlare con gli sconosciuti.

Ecco: mi chiedo cosa ci spinga, a volte, a parlare con degli sconosciuti. A dare loro fiducia. Non ce la ricordiamo la mamma di quando eravamo piccoli? 
Non abbiamo interiorizzato la regola a cui non dovremmo sgarrare mai?
Roba che tipo uno accetta l'amicizia su facebook di uno dei giocatori online che fa parte della sua squadra nella piattaforma di gioco, ma non si fila di striscio (e anzi snobba pure) molti dei vecchi compagni di elementari e medie. 
Dico: singolare, no?

Mi è capitato. Probabilmente per quel vecchio fatto che è molto più facile aprirsi con chi non ti conosce da sempre, unito ad un pizzico di capacità nell'entrare in empatia con gli altri.
Quello che di certo so è che in casi come questi i più piccoli e marginali legami che in un rapporto reale non attirerebbero l'attenzione, vengono ingigantiti a dismisura. Qualcosa tipo "Ma scherzi, anche io e la mia compagnia di amici abbiamo fatto un Carnevale a tema cattivi Disney,  assurdo!", oppure "Naaaah, anche tu colazione con le Gocciole, grandissimo!!".
Cioè: ripigliamoci.

Poi no: ci sono quei casi in cui qualcosa di diverso c'è, ma non è sempre un bene coltivarlo. La strana convinzione del "che bello avere un amico che mi attende in ogni parte del mondo", mi pare troppo assimilabile a quel vecchio detto dei marinai con una puttana in ogni porto. E, tuttavia, ci si tenta sempre.
Oh, che alla fine non è poi tanto lontano dalle storie con quegli uomini improbabili, che il sistema di allarme nella testa fa scattare le sirene e urla "NOO! GUAI! GUAI IN VISTA, CASINI, NUBIFRAGI, CATASTROFI AMBIENTALI, ARMAGEDDON, APOCALISSE, BUCO NERO!". E tu lo sai, ahh se lo sai. Ma lo spegni e ti godi quel silenzio carico di elettricità statica, percorrendo un sentiero lastricato di buone intenzioni.

E poi son cazzi tuoi. 
O meglio: cazzi miei. 
A me gli sconosciuti piacciono.

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