16 novembre 2014

Porto di mare: fermata Porto di mare.

Da quando ho abitato per un anno vicino alla fermata M3 "Lodi T.i.B.B" di Milano, ho scoperto che nomi delle stazioni della Metro mi affascinano.
Sarà iniziato tutto proprio perchè quel T.i.B.B. non sapevo - e non so ancora oggi - cosa volesse dire, ma indipendentemente da quello, l'idea che qualcuno abbia intitolato le tappe di una lunga marcia nella città mi suggerisce qualcosa di solenne e al tempo stesso genialmente fresco (non so se si capisca davvero).

La realtà è che credo ci si possa associare di tutto, a quei nomi. Credo che gli ideatori abbiano fatto qualcosa di meraviglioso. A loro modo, molte fermate hanno etichette evocative, potenti ecco.
Ieri, obbligata a un viaggio della speranza per un corso di formazione (pessima idea, essendo rincasata dopo le 21), riflettevo su "Porto di mare". Mi è sempre stata simpatica: era l'ultima fermata prima di Rogoredo ai tempi dell'università, e Rogoredo voleva dire "treno per tornare a casa". Mi ha sempre dato l'idea di una zona franca prima del confine da oltrepassare per essere felice. Chiamatemi scema, ma è così.

Ieri "Porto di mare" sembrava il nome più azzeccato, dato il nubifragio. Ma non solo.
Ho un po' questa sensazione, ultimamente, di essere una barchetta di carta in un mare in tempesta. Non trovo pace, ci sono venti che mi fanno sbandare di qua e di là e non mi sento sicura, perchè non ho ancore che mi fissano al fondale nè funi che mi legano al molo e che impediscano che mi perda in mare aperto. 
C'è mare ovunque, e io non so nuotare. E mi sento in pericolo, disorientata, e i venti che portano acqua salata mi graffiano la faccia. Ho la certezza che il mio "Porto di mare" sia da qualche parte qui vicino; lo sento che mi chiama, lui con il suo faro, ma il cielo nero e la burrasca mi rendono impossibile stabilire quale sia la direzione giusta da seguire.
Non ho voce perchè ho la gola malata, e mi è difficile anche chiedere aiuto e spiegarmi in queste condizioni. So che occorre farlo, però, che forse è necessario provare a parlare anche a costo di ingoiare un po' di acqua salata e sentire bruciare l'esofago.
Così non mollo. Vado avanti, perchè come so da sempre andare avanti è l'unica cosa che so fare bene davvero.

E così, nel frastuono umido di una metro che si sente solo se ci stai attento (non capita lo stesso con molte cose della vita, dico io?), una scopre che una rana salterina non è così diversa da una barchetta di carta che sussulta sulle onde. 


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