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13 novembre 2018

Camere oscure.

Attendo sempre la sera per ritrovare momenti in cui "silenzio" vuole davvero dire assenza di rumore. Solo prima di dormire, infatti, esistono attimi in cui, tentando di acchiappare un pensiero nella mia testa, proprio non ci riesco. Lì, so, anche il desiderio più complesso e irrealizzabile diventa possibile. Non servono parole per etichettarlo o per spiegarlo, solo lampi di luce per partorirlo e osservarlo.
Quello che mi resta addosso, lì nell'ombra, é una bruma di irrealtà. Una coperta per la notte, uno scudo tiepido sotto il quale ripararmi in attesa del giorno successivo.

Vorrei saper estendere quei momenti a mio piacimento. Ritrovarli la sera, sul marciapiede, gli auricolari nelle orecchie e il mondo fuori ovattato. Ridefinirli mentre sorseggio il caffè macchiato, un solo pallino di zucchero, al mattino. Farli rimbalzare nella testa al posto delle paure, delle preoccupazioni, delle ansie, degli obiettivi metodicamente stesi a mò di elenco della spesa proprio lì, dietro le rughe di espressione sulla fronte. Se solo sapessi quale bottone premere, quale percorso imboccare per manipolarli, quale formula magica pronunciare tra i denti.

Forse la chiave di tutto sta nella notte. Al buio i minuti si dilatano e diventano controllabili, quasi flessibili. Una fisarmonica il cui mantice è regolato dal flusso dei respiri.
Mi servirebbe una camera oscura portatile. Un luogo protetto dove anzichè appendere fotografie in fase di sviluppo, io possa appendere pensieri; quelli non ancora adatti per essere formulati alla luce del sole, non adatti - addirittura - per essere pensati.

E allora sì che riuscirei a far pace con me stessa. Riuscirei a darmi tregua, a trovare soluzioni, a non consumarmi sotto il peso dei problemi del mondo di cui mi faccio carico sempre.
Riuscirei addirittura a trovare altro tempo, a moltiplicarlo nelle mie mani.

Riuscirei ad essere serena.
A lasciarmi andare, forse.

A lasciare andare tutto il resto.


17 luglio 2017

Il doppio fondo della contestazione.

Sei muschio bianco sul collo,
la ferita sanguinante
che non mi farò cadendo,
rimanendo a camminare
su scarpe rovinate dalla mia
incrollabile
fede pedonale.

Sei il nero del caffè al mattino,
novanta centesimi
in centro
a marzo [deve esistere per forza],
quello che esci in piazza felice e ti dici
quant'è bello
il sole sui sanpietrini è bello.

E sei infine lenzuola pelose di notte
calda
e nascosta all'estate [che fa paura],
di code scattanti
nel parco dietro casa - non fa rumore la vita -
e la libertà
a tratti

dilaga.




19 marzo 2017

Nulla resta.

Un cerotto,
un'asola senza bottone,
sperduto in un tombino - rotolato
come il tempo del pomeriggio -
e una bambina
a cercare mattonelle
che facessero un rumore
cadendo nel secchiello.
-
Un'isola felice:
la nonna, l'ombra
di una quercia nata
da una ghianda delle Colonie Padane
raccolta in mezzo ad altalene
e protetta da fuseaux troppo stretti.
L'aria sulla faccia, l'odore
della fabbrica di glicerina dove
anni dopo
avrebbe cambiato idea
sul suo futuro.
-
Sola:
un biglietto sul comodino,
l'altro sarà già partito
- politico non so -,
e di certo stropicciato.
Guarda come si alza
con le ginocchia fracassate;
guarda, perchè nulla resta mai a lungo
di lei
tranne gocce rosse (ora marroni).
-
Rosse,
ora marroni.


18 aprile 2016

La fiera di San Pietro.

Ricordo una sera di quando ero piccola in cui desideravo a tutti i costi andare alla fiera in città.
Solo che in quel periodo - quando ancora la Tamoil non era diventata il mostro da rinchiudere e il mio papà ci lavorava ancora - c'erano sempre manutenzioni da fare nella raffineria, e lui tornava sempre ad orari improbabili.
La mamma mi disse che non poteva assicurarmi che papà sarebbe tornato in tempo per poter fare un giro sulle giostre.

Così mi misi sulla poltrona davanti alla tele, nella mia vecchia casa, e affondai la faccia nel tessuto del bracciolo. Non vedevo niente, solo nero.
E - non so per quale assurda ragione - mi convinsi che se avessi pensato a papà che in quell'istante usciva dalla raffineria, si dirigeva in macchina, accendeva il motore eccetera..beh: lui sarebbe tornato in tempo. O meglio: sapevo che l'avrei visto comparire nell'esatto istante in cui lo avrei immaginato abbassare la maniglia della porta di casa.
Ricordo di essere stata meticolosa, quella volta. Vidi le strade, calcolai i tempi di percorrenza, i semafori che l'avrebbero visto imprecare, la cenere della sua Marlboro che sarebbe caduta dal finestrino abbassato di due dita esatte.

Non so dire come, ma la magia funzionò.
Ebbi il tempo di immaginarlo salire le scale e bussare poichè la mamma aveva chiuso a chiave l'ingresso. Poi lui entrò davvero in casa. Alzai la testa dal bracciolo e mi sentii così felice e potente che per quell'istante mi dissi che davvero bastava credere a qualcosa, per farla succedere. Fu una serata meravigliosa, e tutto sapeva di estate che stava per iniziare, pantaloncini corti e caramelle.

Ci sono dei momenti, ora, in cui mi sembra di aver esaurito tutta la mia magia. Affondo la faccia nel cuscino, di notte, ma quello che ottengo è una sensazione di soffocamento. Forse è soltanto che non so che cosa immaginarmi; forse è che il futuro pare una massa globosa e astratta, che quello che voglio non è più così netto e definito, che ciò che resta della raffineria è ipoacusia, articolazioni andate e un deposito vuoto, che alla fiera non vado più da anni, le giostre le odio e la folla mi mette ansia. Forse è che dovrei ancora desiderare cose piccole, semplici, sempliciotte.

Qualcosa del tipo: andiamo a prendere i trasferelli e riempiamo le pagine dell'agenda? Nel frattempo succhiamo un lecca lecca alla cocacola, che se stiamo attenti e non ci facciamo prendere dalla foga, la cicca nascosta sotto rimane integra da masticare. Chi ce la fa vince il primo giro sull'altalena. 
Con l'altalena si può arrivare vicino al cielo, e - se qualcuno ci spinge poi - ancora più in alto, fino a toccare le nuvole, le stelle. In men che non si dica si può annusare lo spazio infinito, per tornare infine indietro ma diversi, sì, diversi da ora. 

Più belli, più puliti.

Più pieni.
Aldo Angelo Cortina _ Fiera di paese
È morto quando io sono nata. Peccato.

31 luglio 2015

A tutto.

Ottimismo, sì.
Sono ufficialmente in ferie, scrivo questo post con una nuova, fantastica tastiera bluetooth (grazie A.S.S.) e per 17 giorni nessuno mi romperà piu' le scatole.

C'è qualcos'altro. Vacanza.
Per la prima volta questa parola assume per me un significato concreto, io che da sempre sono abituata a pensare che le vacanze siano per la gente che sta bene, che ad andare via ce la fa, che non ha sacrifici da fare per arrivare alla fine del mese.
Non sono abituata ad andare in vacanza. Non ne ho mai avuto possibilità e motivazione; non mi è stato insegnato, ecco.

Quest'anno la motivazione è forte e importante, e voluta.
Quest'anno ho abbandonato le mie vesti usuali e ne ho indossate di nuove, colorate, strane. In molti sensi, davvero.
Ringrazio chi ha deciso di darmi questa possibilità. Ringrazio me stessa, per essere quella che sono. Ringrazio chi ho scelto e che mi sta accanto in ogni modo, e lo fa con pazienza e comprensione, quasi che il reciproco adattamento non sia compromesso ma immenso piacere. Ringrazio che tutto questo non mi sia fatto vivere come un peso ma come un'immensa fortuna.

Sono felice. Sorrido.
L'estate, per la prima volta, non è gabbia ma opportunità. Voglio coglierla a palmi aperti, godendone ogni secondo.
Un anno fa stava per cambiare il mio mondo, e io ancora non lo sapevo.
Non è tutto facile, non è tutto chiaro, ma io so che sarebbe bastato un nulla e tutto quello che sto vivendo sarebbe potuto non accadere.

Sono pronta a bruciarmi il naso prendendo il sole.
Ad innamorarmi di nuovi posti, nuove città, nuove facce.
A mettermi in gioco ancora e ancora e ancora.
A ricaricarmi, a rilassarmi, a ricominciare.
A fare discorsi seri e idioti, a viaggiare, a non guardare l'orologio.
Con te, sono pronta a tutto.



27 gennaio 2015

Con due "ci".

È per via del fatto che quando una arriva al tetto, poi ha due alternative: o si butta giù o urla con quanto fiato ha in gola.
Non starà a guardare gli ipocriti che si fingono vittime essendo nel frattempo parte integrante - e pure subdola - del problema. Non baderà molto all'arrotondamento degli spigoli ma farà avvertire tutta la loro durezza. Non farà riferimento al fatto che le incombenze per essere tali necessiterebbero di approvazione da parte dell'individuo che le subisce, lungi lui dall'essere mulo da soma.

Non saranno questi i dettagli importanti.
Il fondamento starà invece nel disincanto, nella facilità con cui quest'una sul tetto ci sia arrivata, e non si sorprenda neppure di vedere metri e metri sotto di lei, senza nemmeno avvertire un poco di vertigine.
Il fondamento starà nell'amarezza, quella sensazione di affanno per non si sa più quale corsa, verso quale meta, con quali gambe, lo stomaco e lo spirito gonfi di cosa.
Ritratti gli artigli e abbassata la coda ad assenso, resterà soltanto una sagoma da riconoscere in fretta.
Un felino. Quello sul tetto sarà un felino, sì.

Una micia, con precisione. Una di quelle con due "ci".
Occorrerà badar bene ad avvicinarlesi con del fuoco, poichè lo scoppio sarebbe immediato e inevitabile.
Risparmiategliele, alla micia con due "ci", le scenate patetiche. I grandi, quelli veri, lo sono perchè si sentono piccoli, non perchè ergono palizzate di superiorità. Lo impara ogni giorno, entrando nell'auletta blu ed uscendovi con grandi saggi e trattati provenienti da esserini al di sotto del metro e cinquanta.
Non usate ironia, lei la padroneggia assai meglio, a tal punto da servirsene da scudo per sopravvivere negli anni, che ormai sono quattro. Non crediate che quelle siano crepe, son cicatrici.
Quelle da micia che combatte per non cedere alla paura, e mica del buio.

Che - sappiatelo - la micia, proprio lei, con occhi magici lo sa: il buio vero, quello dei mostri cattivi e delle streghe occhi di giada, non è quello della notte che spunta la luna e non si scorgono più ombre, no.

Il buio di cui aver paura è quello che viene da dentro, con rabbia e angoscia.
È il buio di cuore malato, vuoto, nero.
Solo.

21 dicembre 2014

Let it snow.

Nonna era una grande donna.
Mi ha insegnato ad ascoltare, a non giudicare mai senza sapere e nemmeno quando so, a profumare la casa di lavanda con le bombolette, a cavarmela da sola anche se non guido, che un taxi c'è sempre quando le corriere non passano e le gambe sono troppo stanche per macinare chilometri. 
Conosceva tante persone, nonna. Aveva sempre due parole per tutti e si sbatteva per gli altri. Era buona e sapeva le cose giuste da fare anche se sulla lista della spesa scriveva "candegina, prosiutto e ammorbidiente". E profumava di buono, per coinvolgermi in ciò che avrebbe potuto fare anche da sola mi dava in mano il pettine a conchiglia e mi diceva "ho qualche buco tra i boccoli dietro la testa? Riempilo tu!".
E mangiava pesche e albicocche prima di coricarsi a dormire, nel buio della cucina mentre guardavamo Don Camillo. E rideva di gusto, quando lo faceva.
Si sfregava le mani e le fedi doppie sull'anulare facevano un rumore che mi piaceva sentire. Aveva fazzoletti di tela a non finire, in ogni cassetto. Il pane che comprava lei è il più buono che io abbia mai mangiato, e ora non riesco a trovare lo stesso sapore.

Sono passati sette anni e ancora mi manca da morire, soprattutto vicino alle feste. Ha perso tante cose belle di me, cose di cui so che sarebbe orgogliosa. Avrei voluto mi vedesse diventare grande. Ma sono soddisfatta di ciò che sono, e questo mi basta per sapere che lo sarebbe anche lei.

Nonna aveva lo stesso potere e la stessa consistenza della neve. Delicata, impalpabile ma al tempo stesso concreta, mi faceva meravigliare e sorprendere come un bimbo che appiccica il naso al vetro congelato per ammirare i fiocchi. Era magica, era speciale. E mi manca tanto, un po' come la neve.


6 dicembre 2014

Elenco di quindici #4

Tempo di quasi feste, tempo di desideri, di "e se..?", di viaggi con la fantasia.
E allora viaggiamo nel meraviglioso mondo delle ipotesi.
Di seguito, l'elenco di 15 delle cose che vorrei, vorrei tanto, dire a qualcuno. E libertà sia.

1. Domani sarò mestruata, quindi è meglio evitare di rompermi i coglioni oggi.
2. No, signora, non lavoriamo ancora di sabato per necessità varie. Lei invece da quando è costretta a praticare sesso anale?
3. Sì, ogni tanto vedo lucine negli occhi, mi si informicola una mano o metà faccia, il tutto seguito da emicranie lancinanti. È tanto simpatico sentirsi dire "che culo che vai a casa a dormire, anche io mi faccio venire un po' di mal di testa magari". Simpatico quanto soffrire di dissenteria il giorno di Natale.
4. Non ho una stracazzo di opinione in merito, sto dicendo sì sì perchè non avrei elementi per argomentare il mio dissenso.
5. Dovevo spaventarmi, raggelarmi? Sono - credimi - solo amareggiata che il mio responsabile mi consideri un pacco facilmente sostituibile e che consigli al "suo team" di cercare altrove se c'è malcontento.
6. Se appoggi cose l'una sopra l'altra sino a farne una torre, poi non sorprenderti se i mattoncini ti cadono sopra al mignolo del piede.
7. Non sorprenderti che un mattoncino che cade sul mignolo del piede faccia male.
8. Grazie per essere il mio motivo per sorridere; qualcuno ti considera semplice soluzione a molti problemi, ma non è così. Sei molto di più, sei problema e soluzione. Sei male e bene. Sei dolore e gioia. Sei vita.
9. Sono stufa di ascoltare, di leggere per altri, di scrivere per altri, di pensare per altri, di parlare per altri, di pazientare, di fare silenzio, di ingoiare rospi, di far finta di niente, di soprassedere, di accontentarmi, di mediare, di mantenere la calma, di non avere tempo, di respirare piano, di stringere i denti.
10. Non avrai mai il mio consenso. Non dopo che ho scoperto chi sei veramente, non dopo le idiozie, le manie, le cose inutili, le cattiverie, le macchinazioni che ho sentito uscire dalla tua bocca.
11. Ah. Non vuoi fare il puzzle delle principesse con me e chiudere la bocca quando dici "pa", continuando a dire invece "ha"? Benissimo, bambina: esci da questa stanza, vai in segreteria ed informa tua madre che hai deciso di rinunciare spontaneamente alla terapia contro il parere della logopedista. Vai, e apponi la tua firma in calce con la data corretta, grazie.
12. La tua voce mi fa piangere ed è qualcosa che va oltre la tristezza o la felicità, e non te lo so spiegare. E le tue canzoni ormai mi seguono e fanno da contorno alla mia vita e se dovessero sparire un giorno, dimmi: io - senza cornice - dove cazzo finirei?
13. Sogno di prendere colori tra le mani e spalmarli sulla faccia, ma non capisco perchè poi qualcuno dovrebbe sgridarmi. Perchè le persone sgridano i bambini quando si pitturano la faccia?
14. Difenditi da sola. Io l'ho sempre fatto, e quando sapevo non ce l'avrei fatta, ho evitato di mettermi nella situazione di dovermi difendere.
15. Natale, dove sei? Voglio le luci, il freddo, i campanelli, la neve, le guance rosse, le canzoncine, le ferie e i glitter colorati di cui rivesti ogni cosa senza preoccuparti di sporcare o dare fastidio, che a te nessuno poi ti sgrida se sporchi le facce della gente. Tu puoi.


28 settembre 2014

Learnings #7

Quando si inizia a scrivere un post, si dovrebbero avere le idee chiare riguardo all'argomento su cui si vorrebbe scrivere.
Quando ciò non accade, e sembra che al cervello siano incollati tanti post it gialli con argomenti interessanti, allora io concludo che potrebbe essere il caso di creare un learnings nuovo.

Questo cappello introduttivo è presente solo perchè volevo avere un'occasione per scrivere "cappello introduttivo". Scusatemene.

1. Ci sono momenti in cui è giusto sedersi intorno ad un tavolo (o sopra a delle tegole ondulate che ti piastrano il culo) e parlare.
2. Ci sono momenti in cui chiedersi "e ora cosa faccio? Sono in ballo....ballo.".
3. Ci sono momenti che passano in fretta e il tempo che vola sa di sigaretta. Cit.
4. Ci sono momenti in cui prendere un treno e tornare indietro nel tempo è possibile, e spesso ti dici che avresti fatto Lingue e ora saresti da un'altra parte.
5. Ci sono momenti in cui schiacci il tasto rosso e parli e canti e senti la voglia di svuotarti come in un immenso bicchiere di vetro.
6. Ci sono momenti in cui tenti di impacchettare la paura in capitoli, uno per volta, che se te li leggo e ti piacciono e vuoi sapere come va a finire la storia non mi devi lasciare per molto tempo ancora. La sai la storia delle Mille e una notte? Ecco. Non mi abbandonare.
7. Ci sono momenti in cui parli di qualcosa anche se hai paura che a dirlo ad alta voce sembri stupido o possa scapparti dalle mani.
8. Ci sono momenti in cui le unghie più quadrate sono l'unica cosa che parrebbe avere contorni definiti, l'unico appiglio alla logica, alla razionalità.
9. Ci sono momenti in cui ti senti fiera delle tue capacità, che chiunque dica che non credi in te stessa non ti conosce abbastanza.
10. Ci sono momenti in cui pensi a chi non c'è più, a quanto abbia condizionato il tuo essere, il tuo fare, il tuo reagire.
11. Ci sono momenti in cui le occasioni vanno colte al volo, o almeno così sembra.
12. Ci sono momenti in cui ti accorgi che come al solito ti rifugi nelle frasi che iniziano nello stesso modo, una sorta di trampolino di lancio del pensiero, per non scioccare troppo chi legge.
13. Devo slegarmi da molti sovrapensieri, togliermi i fili ai polsi e vedere dove le mie mani libere mi porteranno.
14. Ho voglia di parlare. Ascoltare l'ho sempre fatto, lo faccio sempre.
15. Non ho rimpianti, sono solo affascinata di come l'affastellarsi delle vicende passate mi abbia portata qui, sempre a credere, a sperare, a VOLERE.
16. Voglio stare bene.
17. Sta cambiando qualcosa e io lo sto avvertendo. Rumore come di cose che vanno al loro posto, ma stavolta è per me.
18. Devo ringraziare. Ringraziare qualcosa, qualcuno. Grazie.

Naturalismo astratto. Mario Zampedroni.
Mi piaceva.

17 gennaio 2014

Quanti cinesi servono per..

Ok, cerco di spiegarmi [che il post precedente è stato 'no sfacelo perché ero in ansia].
In pratica: stamattina avevo questo concorso. I pro erano: il lavoro è a tempo indeterminato, il lavoro è nella mia città, sarebbe un bel cambiamento, mamma e papà sarebbero contenti, potresti prenderti una bella casetta nella BP (Bassa Padana) e non ti daresti della rincoglionita per non averci provato (che non sia mai restare sulla strada semplice senza complicarsi la vita [!!!], è da deboli).
I contro erano semplicemente: ehi, non voglio vincere questo concorso.

1: Sono contenta di averlo fatto.
2: Sono contenta di non aver passato la prova preselettiva.
3: Sono contenta di non aver avuto una decisione da prendere perché, per una volta, la scelta si è presa da sola.
30 minuti per 30 domande. Il must di passarne 21. Io ho fatto 17.
Ha portato bene il venerdì 17, si vede. O il non studio. O il fatto che fosse impossibile e che siano passati solo 4 candidati.

Beh. Fattostà che apri il foglio e ti trovi scritte domande del tipo (sono esempi, se non si capisse):
- Quanti cinesi servono per avvitare una lampadina? (sì, all'inizio ridi)
- Se possedessi un cubo cavo di rame della grandezza di 30 cm di lato, quante viti potresti rovesciare al suo interno senza farne traboccare nemmeno una sul tavolo (essendo il tavolo costruito in legno di noce e dipinto a mano con un barattolo di vernice verde acqua n°38)?
- Quanti peli del naso possedeva in media Napoleone? (che inizi subito la conta AMBARABACCICCICCOCCO').
- Di che colore è la fragola? (che inizi a pensare: rosso è troppo semplice, se magari intendessero acerba? O se per fragola alludessero ad altro? Che poi: se sono daltonica? Cioè il daltonismo è maschile, ma se io fossi l'unico esemplare esistente al mondo in cui la patologia....'fanculo. Rosa confetto, risposta definitiva, l'accendiamo.)

Sì, non so se mi spiego.
Beh, in ogni caso non mi sono sentita male per il fallimento, quanto in realtà bene, perché ho scoperto di avere attorno delle persone che ci tengono al fatto che io sia lì con loro ogni giorno.
Persone che sanno incoraggiarmi il mattino ma che sono soprattutto contente di sapere che sarò ancora in mezzo ai loro piedi, almeno per ora. 
E è tipo una roba che fa sentire bene. Incoerentemente bene.
[Quando la mia incoerenza lavora così, mi rendo conto di saperla proprio apprezzare, zio pera.]

Tutto questo per dire che - per una cazzo di volta - sono contenta di non avercela fatta e di non essere stata all'altezza. Il lupo dell' "in bocca al" mi ha mangiata. Ma gli resterò sullo stomaco; cazzo se ci resterò.
E boh. Questa giornata fa proprio weekend. Domani lavoro ma fa niente. 

Mi piace, il mio lavoro.
Mi piacciono, le MIE persone.

"..but my legs are fine/after all they are mine"

7 settembre 2013

Aiutati, che il P..

- Ah, ho capito: la donzella paga i biLietti e il messere le pagherà la cena alla locanda..-.
- Eh, già..proprio così..-.
- Ben fatto: son 18 quattrini! Serata di gaudio a voi! -.

E' iniziata così, al Palio di Isola Dovarese (qui qui qui).
Paese chiuso al traffico, riempito di paglia, di fiaccole infuocate e bracieri (chè le luci della piazza sono spente dal venerdì fino alla domenica), vecchi attrezzi rurali, specialità nostrane, musica ad ogni angolo, balli, spade, strade di ciottoli, spalti, isolani vestiti col colore delle contrade, passeggini agghindati con stole e drappi, falchi e arcieri.

E' continuata con la cena alla locanda (scelta tra le locande sparse per il paese: una per ogni contrada, chiaramente). Un vino speziato che - a detta di chi lo ha bevuto - è "ahahaBUONISSIMOahahNON SONO UBRIACAhaha". 

26 agosto 2013

Consegna: riordina le sequenze.

Ho le dita dei piedi fredde, e ripeterlo per la terza volta mi fa sorridere.
Incrocio le dita delle mani con quelle dei piedi e scuoto la testa per scacciare vecchi ricordi.
Uno scooter fuori romba e la tv continua a passare volti troppo giovani. 
Non ho più voglia di scrivere storie, non mi vengono. Quelle che mi vengono non le caga nessuno, e io ho bisogno che qualcuno caghi quello che scrivo. Si capisce? O capisco sempre e solo io? 
Fa niente, nel caso.

Ho le dita dei piedi fredde.
Sono qui un lunedì mattina davanti alla televisione che passa un video in collaborazione tra due “artisti” che non c’entrano nulla l’uno con l’altra e mi viene in mente che lui, una volta, abitava sopra casa tua. 
Così mi avevi detto. Sembra un viziato. Uno che è lì non si sa perché.
Mi tengo dentro il vuoto che di te mi resta.

Ho le dita dei piedi fredde e questo post non ha decisamente senso, letto così fino alla fine.
Chiedo scusa.
Ora lo dividerò in sequenze e le mescolerò, per darvi l’idea di come tutti questi concetti siano posti a casaccio nella mia testa. Cosicché io non capisca proprio un bel nulla.
A chiunque riesca a riordinarlo o ci tenti, va un mio GRAZIE, insieme a un sorriso.