Era un
edificio brutto, fuori.
Padiglione 9
- Hospice. Salivi le scalette, avevi davanti due porte vetrate.
Superata la
prima, sulla seconda stava scritto “Tenere chiuso il passaggio. Ambiente
climatizzato. Grazie”.
Grazie,
dicevano. Era la cortesia, a stupire.
La sua
stanzetta era quella di fronte all’ingresso, che se salivi le scale con la
testa alta, ancora prima delle doppie porte, la vedevi sul suo trono di lenzuola.
Come scettro la bombola dell’ossigeno, come mantello i vari cuscini impilati
per far respirare meglio i polmoni pieni di cancro.
Che se le
dicevi “Ma perché non chiudi la porta? Sai che ti si vede da fuori?”, lei
rispondeva che a chiudere le sembrava di non respirare. E poi le piaceva vedere
la gente che passava.
Curiosona (se interessasse, sempre SE, andate QUI ).
Anche lui
era brutto, fuori.
Vecchie
cicatrici che si era fatto volontariamente. Tredici tatuaggi (quelli no:
bellissimi). Chili e anni di troppo. Alcool di troppo. Anche per lui una sorta
di doppia vetrata da superare. Superata la prima, sulla seconda stava scritto “Guarda
che se apri devi farlo davvero. Io faccio il figo ma la verità è che se soffi
troppo forte cado a pezzi”. Stava su con lo sputo.
E io, a
lungo andare, una stampella. Marty-stampella. Marty che se si allontana di un
passo lui impazzisce. Lui che non ce la fa. Lui che cade. Ma lui ha aveva
ha quelle mani. Quelle mani mi toccavano e mi facevano sentire le mie linee, i
miei confini. La mia forma. Quelle mani mi davano un senso. Con quelle mani io
sapevo chi ero e loro sapevano chi io fossi.
Ma. Ma. Non
potevo recitare per sempre il ruolo della stampella. Come non avrei mai potuto
essere i cuscini che sorreggevano una paziente oncologica al vecchio Padiglione
9, la bombola che permetteva l’ingresso di qualche molecola di ossigeno in più
nella sua trachea. Da poco vedo la similitudine (una delle solite che di sicuro
noto solo io). La similitudine è il concetto di malattia. C’era malattia in
entrambe le situazioni, solo una – la seconda – più subdola e nascosta.
Perché è
parso più naturale “lasciar andare” una persona malata terminale di cancro ai
polmoni, e invece mi son trascinata mesi e mesi (non mentire, Marty, ti ci
trascini ancora, vacca miseria) in una situazione che non aveva ha senso
d’esistere?
Perché le sue mani mi davano un senso.
Eh. Cara bella.
Cazzate. Il senso, se ne hai voglia, ti fai il culo e te lo trovi da sola.
Ti fai il
culo.
E te lo
trovi.
DA SOLA.
la seconda storia sembra una di quelle di nicchia. Nel senso, una di quelle vicende che sopravvivono solo perché il contesto, l'insieme dei ricordi, delle scelte e delle strade imboccate è rimasto circoscritto a una nicchia di sopravvivenza, una bolla, che amplifica e conserva ciò che non soddisfa appieno. Uno a volte si convince che sia tutto lì in quella bolla,che non vi sia altro superata la soglia, e allora lo protegge, lo difende, lo alimenta.
RispondiEliminaPer lo meno, io ho fatto così per tanto. Poi ho spezzato il cerchio.
C'era un soldatino (cit.) che per una volta si era fermato, seduto per terra vicino a qualcuno e aveva visto che il mondo era bello anche da lì. Ci aveva creduto sul serio e ora, riprendere la marcia con l'armatura nuova, pesante e sbarluccicosa, non era facile.
EliminaMa andare avanti era l'unica cosa che sapeva fare, perciò...